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QT n. 11, 29 maggio 2004 Servizi

La guerra di Troia da Omero a Hollywood

Troy e l’Iliade: le emozioni, la storia, e soprattutto la differenza tra un bel film di oggi e un capolavoro che ci viene da 3000 anni fa.

Abbiamo trovato francamente uggioso lo snobismo con cui l’intellettualità si è accostata al film Troy: valutato secondo la fedeltà all’Iliade, sprezzantemente misurando i centimetri – o i chilometri – degli scostamenti dall’opera di Omero.

Pura banalità: è ovvio che tra un colossal del 2000 e un poema epico del 700 avanti Cristo le differenze non possono che essere grandissime. Troppo diversi il pubblico, le culture, i media (film da una parte, canto con cetra dall’altra), le finalità (business contro celebrazione nazionale).

Troviamo invece più produttivo valutare il film sotto due altri aspetti. Primo, quanto esso sia riuscito in sé, a prescindere dall’illustre ascendente. Secondo, quanto delle tematiche di fondo e della poetica dell’Iliade – quindi di 2700 anni prima, riferite a fatti ancor più lontani, 3200 anni fa – siano stati ripresi dal prodotto industriale di oggigiorno; e con quali risultati.

Sul primo punto ce la sbrighiamo subito: si tratta di un bel film, decisamente avvincente. In due ore di proiezione i momenti deboli sono pochi, all’intervallo il pubblico sbuffa per l’interruzione; e alla fine, dopo le parole di Ulisse sulla pira dove arde il corpo di Achille, dalla sala si leva un applauso sommesso e commosso. Ancora una volta, l’ennesima, dopo migliaia di anni, questa storia tocca nel profondo.

Una storia che ruota attorno a due tematiche, impersonate dai due protagonisti, Achille ed Ettore. Due temi, due storie, come vedremo, assolutamente eversive per l’epoca e per l’occasione (la celebrazione di una nazione).

Diverbio tra Achille ed Agamennone, con il primo che si trattiene dall'estrarre la spada.

La vicenda di Achille è il crollo del mito del guerriero. Il più forte di tutti, capace da solo di capovolgere le sorti delle battaglie, votato a una vita breve ma gloriosa, Achille scopre il limite della virtù guerresca: è subordinata al potere, di cui è solo strumento. Il re Agamennone, comandante supremo degli Achei (i greci di allora) può impunemente umiliare Achille, molto meno potente; anzi Agamennone perfidamente ricerca il conflitto con Achille, per dimostrare la propria supremazia. E gli altri capi achei, silenti lasciano fare. Ad Achille crolla ogni punto di riferimento, il primato in battaglia gli appare nella sua vacua inutilità; troverà un minimo di pace interiore solo quando capirà il valore di sentimenti come l’umanità e la pietà.

Il film rende in maniera esemplare l’esaltazione guerriera di Achille/Brad Pitt. Le scene degli scontri, se tradiscono Omero nella specifica tecnica militare (rispetto alla lancia prevale un uso quasi danzato della spada, con salti e volteggi ripresi dalle arti marziali orientali) ne interpretano pienamente lo spirito, l’ammirazione per la primordiale vitalità del guerriero. Rende anche bene lo scontro con l’arroganza di Agamennone, reso particolarmente odioso; se la cava sullo sbandamento esistenziale di Achille; e diventa pienamente convincente nel momento della redenzione, il toccante incontro con Priamo (splendido Peter O’Toole).

Fin qui arriva l’Iliade. Non più sorretto da Omero, Troy prosegue senza lode e senza infamia, facendo morire Achille durante il sacco di Troia.

La vicenda di Ettore è una lotta disperata contro il destino. L’eroe troiano (a dire il vero con tipica sensibilità greca) presagisce che la sua amata città è destinata alla rovina: inorridito ne contempla i dettagli, i bambini sgozzati, le donne stuprate, ma prima di allora "che io sia sottoterra!". Di qui l’ardore in battaglia, nel costante, disperato tentativo di capovolgere le sorti di una storia già scritta; e al contempo un legame profondo con l’insieme della comunità, non solo i soldati, ma soprattutto le donne, dalle quali si sente investito di particolare responsabilità, avendogli affidato le vite dei mariti, dei figli, dei padri. I suoi incitamenti in battaglia hanno fatto storia (fino ad essere abusate dal patriottismo guerrafondaio) "E chi di voi deve morire, muoia! Ma avrà salvato le sue donne, la sua città, la sua gente!".

L'incontro tra Ettore e Andromaca (e il figlio Astianatte) alle Porte Scee.

Tutto questo in un carattere buono, anzi decisamente gentile, che stride con la barbarie degli ammazzasette che imperversano nel poema. Che non a caso si chiude con il suo funerale e l’inaspettato pubblico elogio di Elena, la responsabile della rovina: "mai da te ho udito parola scortese o d’oltraggio" anzi, se qualche tuo fratello o cognata, o lo stesso re Priamo, per caso avevano qualche espressione di scortesia, tu lo frenavi "con la mitezza tua, le tue concilianti parole". L’eroe mite, forte e gentile.

Di tutto questo il film rende in maniera egregia l’aspetto militare/comunitario. Vediamo Ettore essere effettivamente ilcuore della battaglia, i suoi – in cinquantamila! - stringerglisi attorno, dipendere dai suoi ordini, galvanizzarsi agli incitamenti. E’ un uso sapiente delle scene di massa e quelle individuali, che rende appieno l’identificazione di un popolo in guerra con il suo capo. Ettore era "l’unica speranza della città" ripete Omero. Troy ce lo fa vedere.

Sugli altri aspetti invece il film esagera. Ettore è troppo buono, è anche molto saggio (mentre il padre, il re Priamo, non prende una decisione giusta a morire). A forza di farne l’uomo ideale, forte, generoso, gentile, intelligente, affettuoso, giudizioso, il film va oltre il segno: e il personaggio rischia di perdere incisività. Omero invece, più realisticamente descrive Ettore anche in alcuni momenti di debolezza; e soprattutto gli fa compiere errori militari decisivi.

Ma Omero è di un altro pianeta.

Per farci capire descriviamo le differenze nel momento di massima tensione, quello che precede il duello tra Ettore e Achille. Troy fa arrivare sotto le mura della città un Achille furibondo, a reclamare un duello con Ettore. Questi, per una sorta di codice d’onore, accetta la sfida del nemico anche se più forte, saluta i familiari che pur in lacrime capiscono che non può sottrarsi, e va incontro al suo destino.

Per Omero invece in guerra non esistono codici cavallereschi che tengano, Ettore decide di affrontare Achille per motivi più profondi. Si è appena conclusa una battaglia con una sanguinosa disfatta troiana: il tutto causa scelte, sbagliate, proprio di Ettore. Il quale se ne sente addosso pesantissima la responsabilità: si sente delegittimato, ritiene di aver tradito la fiducia in lui riposta. Decide quindi di affrontare Achille: se vincerà ribalterà le sorti della guerra; se perderà il suo sacrificio sarà d’esempio.

A questa decisione si oppongono i suoi genitori: Priamo ed Ecuba, dall’alto delle mura, lo implorano di desistere. Con frasi di primitivi amore e ferocia: "se tu muori per noi tutto è perduto. Ma a te può essere lieve morire con le armi in pugno, io verrò fatto sbranare dai cani" "Ho perso tanti figli, ed altri me ne ammazzeranno ancora: ma non m’importa di loro, quanto di perdere te, che amo sopra tutti."

Ettore riesce a non cedere, si fa chiudere le porte alle spalle e va incontro al nemico. Quando lo vede, l’istinto di sopravvivenza lo fa fuggire. Poi torna in sé, si ferma; si batte valorosamente ma inutilmente.

Insomma, in Troy vediamo il lavoro di un bravo sceneggiatore, un professionista di talento, che fornisce un buon risultato. Nell’Iliade invece è all’opera un genio dell’umanità.

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Questo risulta ancor meglio se consideriamo le spessore dei personaggi. Nell’Iliade sono figure talora complesse, sempre sfaccettate; in Troy sono semplificate al massimo. Così Achille nel film, per rendere meglio il contrasto con il potere, è troppo anarchico (ed è un guerriero a capo di un pugno di uomini, non un re venuto con 40 navi); Agamennone troppo arrogante; Ettore, come abbiamo visto, troppo buono.

Probabilmente il produttore di un colossal da 200 milioni di dollari teme che il pubblico non capisca. Omero invece sapeva benissimo farsi capire dal suo pubblico; e da quello dei millenni a venire.

Conosceva a tal punto la forza dei suoi versi, da permettersi il contrario delle attese dei re per i quali cantava. Doveva celebrare l’unità della nazione greca attraverso il ricordo di un’antica grande vittoria; e invece celebra la grandezza d’animo dei nemici, Ettore più uomo di Achille, Priamo più re di Agamennone; e canta la superiorità della pietà sull’ardore guerresco; e la meschinità del potere.

Tutto questo con una storia di oltre 3000 anni fa.

Per questo è facile prevedere che, tra altri 3000 anni, il pur bel film Troy sarà conservato in quelli che saranno – speriamo ci siano – i musei degli anni 5000. E al contempo invece, sarà grazie ad Omero che si avvererà ancora la profezia di Ugo Foscolo: "tu onor di pianti Ettore avrai… finchè il sole splenderà sulle umane sciagure".