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Marco Tirelli: geometriche visioni

Nelle opere di Marco Tirelli geometria e gioco realizzano una nuova mistica della visione.

Può sembrare assurdo scrivere un testo critico su una mostra tenutasi alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna che ha chiuso i battenti il 15 giugno scorso, ma quando penso alle mostre dell’estate mi vengono alla mente ai Sassi di Matera le sculture di Antonietta Raphaël, moglie del pittore Mario Mafai nonché madre di Miriam, esponente di grande rilievo della Scuola Romana e soprattutto lo straordinario allestimento e la forza delle opere dell’artista romano Marco Tirelli (classe 1956), che insieme a Gianni Dessì, Nunzio, Bruno Ceccobelli, Piero Pizzi Cannella costituisce quella che viene chiamata la Nuova Scuola Romana. Dato l’esiguo spazio la scelta è caduta sulla seconda (poco urlata!) esposizione che ha offerto ai visitatori non pochi spunti di meditazione e di contemplazione, una nuova mistica della geometria.

Marco Tirelli, "Senza titolo" (1996).

Come in un edificio a pianta centrale la regia espositiva ha privilegiato il grande salone (il Bel Étage) con le pareti stracolme di opere più significative, memore di un’antica quadreria, colte con un gran colpo d’occhio. Le varianti e le serie hanno trovato poi nelle "stanze" poste attorno al nucleo centrale il luogo ideale per formalizzare il superamento del rigido ostacolo delle pareti, la possibilità per l’opera di essere parte di un tutto come elemento in sequenza che relativizza e contemporaneamente esalta l’opera tutta in una nuova creazione.

La lezione dei grandi maestri del passato, lo studio delle geometrie e dei volumi, la centralità del disegno che prova a definire di volta in volta quel che è ambiguo, spaesante conducono l’artista a superare le regole accademiche e creano originali scatole sceniche in luogo di una visione non acquietata.

Hieronymus Bosch, "Il paradiso" (Venezia, Palazzo Ducale).

Tirelli reinventa così la luce e l’ombra; il nero (che non è del tutto nero) è il sacco dei doni che contiene al suo interno quello che il vasaio si appresterà a realizzare. E’ la luce che modellerà le forme e provocherà autentiche "visioni". Lo star dentro-fuori rimanda a problematiche kantiane intorno alla verità. Noi che stiam dentro fino al collo possiamo vedere l’universo dal di fuori? No; eppure possiamo provare a costruire questa ricerca di assoluto coniugando procedure disciplinate e "uno spazio dove fantasia e gioco sono ammessi" (Klaus Wolbert).Quel cono di luce che vedete riprodotto su questa pagina e che tanto ricorda l’ascesa delle anime a Dio di Bosch diventa allora metafora di esistenza (emanazione-attrazione, centro-periferia) e ricerca di paradiso.

Per conoscere l’opera di Tirelli rimandiamo al catalogo depositato presso la Biblioteca Comunale di Trento.

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