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Sognando gli occhi azzurri di Lili Marlene

Inglesi, americani, tedeschi... uniti da una canzone mentre si consumava la tragedia dell’umanità.

Qualche giorno fa la stampa ha riportato la notizia della morte di un certo signor Norbert Schultze. Il suo nome non dice niente alla larga maggioranza di noi: eppure Schultze è l’autore del tema musicale che ha fatto da contrappunto al lungo concerto di granate e colpi di mitra durante la seconda Guerra Mondiale. Si tratta di un ritornello, una malinconica cantilena di appena 12 battute, che si accompagna alla poesiola di un altro Carneade, ancor meno noto: tale Hans Leip. Messi insieme, musica e testo, sono divenuti un brano leggendario. Lili Marlene ha costituito un successo discografico nel dopoguerra, interpretato dalla Dietrich e da Bing Crosby, ed ha beneficiato pure di versioni punk. Tuttavia è durante la guerra che il fenomeno risulta interessante: pur essendo un brano di matrice tedesca, il suo canto non conosceva bandiere. Dietro ai rispettivi fronti tutti i soldati lo cantavano la sera, nelle trincee o nelle caserme, prima di lanciare un attacco o in attesa di ricevere quello del nemico, elevando con quelle poche note la loro rassegnata sofferenza.

E’ una cosa che a pensarci fa venire la pelle d’oca: inglesi, americani, tedeschi... tutti uniti da una canzone triste e delicata, quasi una ninna nanna, mentre si stava consumando una tragedia dell’umanità. E’ un quadro epico e altissimo, qualcosa che ci dimostra che l’uomo, questa orrenda bestia capace di scannare suo fratello, conserva dentro di sé la scintilla morale e creativa che giustifica, nonostante tutto, il senso della sua esistenza.

Sono stati i Greci a tramandarci la sensibilità estetica verso la tensione morale dell’uomo, un uomo che soffre, si ribella, ma soccombe contro un destino troppo forte e crudele. La sua sofferenza rappresenta l’unica via per acquisire la conoscenza. La grandezza dell’uomo sta nell’accettare la sfida, già persa in partenza, contro il destino: ecco la terribile bellezza della vita. Solo conoscendo e soffrendo andiamo oltre la cosa che ci sta davanti e ci avviciniamo all’idea che le dà origine e significato. E’ l’idea che ci restituisce il senso del bello. Il filosofo la contempla e ne riceve il godimento più puro. L’artista non si contenta di imitare ciò che appare, ma fa un vero atto di fede: crede, deve credere, che al di là del modello naturale ci sia una forma spirituale: l’idea appunto. L’imperativo è inseguirla, tendere a lei, cioè al bello.

La poetica dell’arte, dai Greci fino agli idealisti romantici, è stata informata da questa concezione. Una concezione che ancora oggi esercita una sua influenza: non ci accontentiamo di un bello che piaccia solamente a noi, non ci soddisfa un’opera d’arte a cui si possa attribuire un giudizio esclusivamente soggettivo, basato sul puro appagamento sensuale. No, per noi occidentali un’opera d’arte deve possedere quel pizzico di universalità che la renda pensabile, comunicabile, condivisibile.

Se consideriamo l’opera d’arte come l’espressione universale di una profonda tensione morale, di un atto di fede verso il bello, di un anelito di un essere povero e debole verso qualcosa di alto, puro, desiderabile, irraggiungibile... Se insomma con l’arte cerchiamo Dio, allora possiamo tentare di spiegare quella straordinariamente struggente e corale rappresentazione di uomini soli che cantano la stessa canzone tra le rovine di Stalingrado o tra i cadaveri di Omaha Beach. Il loro dio non c’è, forse non esiste, oppure, se esiste, troppo crudelmente ha abbandonato le sue fragili creature in quell’inferno. Nonostante questo, il soldato schiacciato nella sua divisa ormai logora e troppo sporca di merda, disperazione e sangue lo cerca ancora e candidamente lo invoca… sognando gli occhi azzurri di Lili Marlene.

Vor der Kaserne, vor dem großen Tor
stand eine Laterne, und steht sie noch davor.
So wolln wir einst uns wiederseh’n
bei der Laterne woll’n wir steh’n
wie einst Lili Marlene, wie einst Lili Marlene.
Unsre beiden Schatten sah’n wie einer aus
daß wir lieb uns hatten, das sah man gleich daraus.

Und alle Leute solln es seh’n
wenn wir bei der Laterne steh’n,
wie einst Lili Marlene, wie einst Lili Marlene.

Schon rief der Posten "Sie bliesen Zapfenstreich!
Es kann drei Tage kosten, Kamrad ich komm sogleich."

Da sagten wir "Auf Wiederseh’n"
wie gerne wollt ich mit dir gehen,
mit dir Lili Marlene, mit dir Lili Marlene.

Deine Schritte kennt sie, deinen zieren Gang
alle Abend brennt sie, doch mich vergaß sie lang.
Und sollte mir ein Leid gescheh’n,
wer wird bei der Laterne steh’n
mit dir Lili Marlene, mit dir Lili Marlene?

Aus dem stillen Raume, aus der Erde Grund
hebt mich wie im Traume dein verliebter Mund,
Wenn sich die späten Nebel drehn
bei der Laterne werd ich stehn,
wie einst Lili Marlene, wie einst Lili Marlene.

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