Fra Oriente e Occidente, il festival è soprattutto Greco
Alla prova dei fatti il nuovo corso del Festival di Rovereto, oltre alla danza, cultura e gastronomia, in attesa del futuro rapporto con il Museo di Arte Moderna. In questa edizione la scoperta di Emio Greco.
La ventiduesima edizione di Oriente Occidente che si è conclusa domenica scorsa, ha segnato la svolta del festival roveretano, ampliando le proposte spettacolari di teatrodanza con quelle gastronomiche e culturali. Quest’anno, infatti, oltre ai teatri Sociale e Zandonai, gran parte di Oriente Occidente si è tenuta al Magic Mirrors, un "pavillon" francese in stile Liberty che ha ospitato incontri con coreografi, studiosi vari, e le cene internazionali: la nuova formula spettacolo, cultura ed edonismo, ha dato ragione al festival, soprattutto numericamente, visto che le tre sezioni hanno registrato, complessivamente, circa ventimila presenze.
I numeri sono andati a vantaggio anche della danza, che ha registrato quasi sempre il tutto esaurito, pur con spettacoli profondamente diversi tra loro, raggruppabili in almeno tre categorie: balletti che occhieggiano ad un futuro rapporto di collaborazione con il Mart, a cui il festival aspira. Poi spettacoli arrivati da India, Brasile e Giappone; infine una sezione dedicata alla danza italiana nata all’estero, la vera sorpresa del festival.
Possiamo annoverare nella sezione "filoMart" anzitutto il balletto "Body Work Leisure" della compagnia belga Charleroi Danses, in cui il punto di forza dello spettacolo era costituito dalla scenografia realizzata dall’architetto Jean Nouvel, che riprende la facciata della Fondazione Cartier di Parigi, progettata sempre da Nouvel. Arte e spettacolo si contaminano anche nel Buren Cirque, in cui l’estetica del circo tradizionale viene rivisitata attraverso l’arte visuale di Daniel Buren. Danza e nuove tecnologie si fondono nella ricerca artistica di Ariella Vidach in "Opus 1", in cui la danzatrice indossa un guanto rosso che dà ordini in tempo reale al computer, modificando in base agli spostamenti del suo corpo scenografia, suoni e luci. Nella sua complessità tecnologica, non sempre perfettamente funzionante, il pubblico è rimasto intimorito, poiché non era facile comprendere il dialogo tra corpo umano e computer.
Il prossimo anno il Teatro Zandonai sarà chiuso per restauri: tra le possibili alternative per gli spettacoli di Oriente Occidente e non solo, c’è la realizzazione di un PalaZandonai e l’auditorium e le sale multimediali del Mart. Ritorna quindi il polo museale come partner ideale del festival: prova generale ne è stato l’assaggio di "Scala 1: Infinito", balletto della compagnia catalana Lanònima Imperial, ispirato al Futurismo e a Depero, coprodotto dal festival e dal museo, andato in scena domenica scorsa sotto la cupola del Mart: questo lavoro inaugurerà il Mart al Teatro Sociale di Trento, il prossimo 14 dicembre.
Tra i più applauditi, i balletti venuti da lontano: da Madras, la bellissima Malavika Sarukkai regina del Barata Natyam, la danza classica indiana; dal Brasile, il Balé de Rua solare e dalla vitalità contagiosa, tra break dance e atmosfere carioca ha travolto il pubblico di Oriente Occidente sia in teatro che nelle sue parate per strada.
La compagnia giapponese Sankai Juku, che da vent’anni risiede a Parigi ed è esponente di spicco del Buto, la danza di ribellione nata nel Giappone postatomico, ha presentato "Kagemi", un balletto che, a detta del suo ideatore, il coreografo Ushio Amagatsu, non vuole essere ridotto all’originaria problematica che ha generato questa danza. Partendo da un’atmosfera tipicamente giapponese che richiamava un giardino Zen, con danzatori tipici del Buto, testa rasata, coperti di polvere bianca con una gestualità lenta e sofferente, che si muovono sotto un prato di foglie di loto, il balletto voleva rappresentare sentimenti universali. In effetti abbiamo raccolto tante letture diverse del balletto: negli inquietanti uomini bianchi, che in origine alludevano ai tragici effetti radioattivi causati dall’atomica, c’è chi ha visto delle creature acquatiche,chi degli alieni, e ancora delle larve, chi uno stato prenatale piuttosto che degli spettri. Di conseguenza, i sentimenti erano, a seconda dei casi, di dolcezza, di inquietudine, di paura, di malinconia. Nella troppa perfezione estetica del tutto, c’è anche chi ha ravvisato una stucchevole "giapponesata", con un manierismo figurativa che rasentava il folclorismo da cartolina, tanto per assecondare il gusto per l’esotismo del pubblico occidentale. In effetti come ha spiegato lo stesso Amagatsu nell’incontro con il pubblico, la danza Buto è osteggiata in Giappone e si è affermata soprattutto in Europa ed in America: non a caso, la compagnia di Shankai Juku da vent’anni risiede a Parigi e si confronta quasi esclusivamente con il mondo occidentale.
La danza italiana è stata aperta da "Vento", il nuovo balletto di Virgilio Sieni, coreografo fiorentino affermato sulla scena europea, coprodotto da Oriente Occidente: si tratta di una prima tappa del nuovo progetto di Sieni dedicato all’architettura, che fa seguito al periodo di 5 anni in cui ha messo in scena solo personaggi fiabeschi.
La sezione più interessante è stata "Emigrati", che il festival ha dedicato a due coreografi italiani che si sono formati artisticamente ed affermati all’estero: il napoletano Paco Dècina, da vent’anni a Parigi, di cui il festival ha presentato una piccola retrospettiva ed Emio Greco, attualmente il coreografo della nuova generazione tra i più acclamati in Europa. Nato a Brindisi 36 anni fa, nell’87 Emio Greco ha lasciato la sua terra, un po’ per curiosità, soprattutto per necessità, visto che la danza contemporanea in Italia non è sostenuta. Si è quindi perfezionato all’Accademia di Cannes ed in seguito si è trasferito in Olanda, dove attualmente ha sede la sua compagnia e dove crea le sue opere in collaborazione con il drammaturgo Pieter C. Scholten.
Dopo un serata in sordina a Castiglioncello qualche anno fa, a Oriente Occidente un balletto di Emio Greco è stato presentato ufficialmente in Italia; per questo autentico evento, pubblico del festival insieme a tanti intenditori provenienti da fuori regione e a tutta la critica di danza nazionale, da giorni avevano fatto registrare il tutto esaurito al Teatro Zandonai di Rovereto: un perfetto gioco di luci, musica, intensità fisica e tecnica coreutica sopraffina, questo era "Double Points: One & Two", il balletto danzato nella prima parte da Emio Greco e nella seconda, proposta di seguito, da Greco e da Berta Bermudez Pascual, straordinaria danzatrice ispano-venezuelana, proveniente dalla compagnia di Maurice Béjart.
Il tutto, per un viaggio nel mistero esistenziale sulle note del Bolero di Ravel, nel primo atto, con Greco in una tunichetta di seta bianca, appare e scompare continuamente tra le anse di un labirinto luminoso, interpretando una danza sublime e insieme disperata, angelica ma anche tenebrosa. Uguale costume, solo di maglina semitrasparente, per i due danzatori, nella seconda parte, su musica percussiva, per un passo a due di puro virtuosismo e rivoluzionario, in cui i due danzatori si muovono spesso in parallelo senza toccarsi mai, come invece succede nei "pas de deux" classici. Qui il contatto tra uomo e donna è un continuo sfiorarsi a pelle, cercarsi con il pensiero prima ancora che con gli occhi.
A Oriente 0ccidente Emio Greco è stato salutato con un’ovazione del pubblico; tra i più emozionati, sicuramente i famigliari di Emio Greco, venuti apposta da Brindisi per questo evento; alcuni di loro vedevano un suo balletto per la prima volta. Un nuovo appuntamento con Emio Greco il festival è riuscito ad assicurarselo anche per il prossimo anno con il balletto "Rimasto Orfano", coprodotto da Oriente Occidente stesso.