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I reduci in cattedra

Estremisti o pecoroni? Alcuni ex rivoluzionari giudicano gli occupanti dell’ex Zuffo.

Gli ex occupanti dell’ex Zuffo non mi risultano immediatamente simpatici. Non mi piace certo abbigliamento con cui tendono ad apparentarsi con i disperati della Terra; mi sembra sbagliato quel loro occuparsi più del remoto Chiapas che dei concreti problemi dell’immigrazione in Trentino; mi disturbano tanti slogans enfatici e fuori misura. Eccetera eccetera. Ma subito penso alle infinite cazzate, uguali o contrarie, dei miei verdi anni: lo stolido dogmatismo, le parole d’ordine velleitarie e cruente, il rifiuto (ipocrita, oltre tutto, perché proclamato ma non praticato) della cultura "borghese", la masochistica condanna della dimensione privata…

Ma la più feroce autocritica (volevamo ribaltare il mondo, ci siamo ritrovati con alcuni cambiamenti del costume) non mi toglie la convinzione che fossimo i migliori giovani in circolazione: avevamo delle aspirazioni che andavano al di là del nostro "particulare", le ingiustizie ci indignavano, e per cambiare le cose eravamo pronti a pagare di persona. In questo, che è il nocciolo della faccenda, quelli dell’ex Zuffo non sono diversi. Ma siccome adesso siamo diventati grandi, quasi vecchi, e abbiamo avuto il tempo per capire gli sbagli commessi, qualcuno coltiva la sciocca illusione che i giovani debbano profittare della nostra esperienza e muoversi in maniera inappuntabile; se poi questo, com’è inevitabile, non succede, subito li si liquida.

Ecco: qui non c’interessa (è tempo perso) contestare chi ha definito questi ragazzi dei "monelli", degli "adolescenti spaesati e imbranati", che a Genova "hanno fatto di tutto fuorché sfilare per una giusta causa" (e in effetti la sfilata è subito finita e sono arrivate le botte). Parliamo invece di alcuni "reduci" che da questa vicenda sono rimasti profondamente turbati reagendo, a nostro avviso, in maniera sbagliata. Un imbarazzo che è anche nostro, perché si tratta di polemizzare con degli amici (antichi collaboratori di questo giornale, o ex compagni di lontane formazioni estremiste).

In questo senso, il più fuori posto ci è sembrato il vicepresidente della Provincia Roberto Pinter, che, recatosi sul posto a sgombero in corso, ha spiegato il proprio silenzio col fatto che "la paternità della questione è comunale, sovrapporci sarebbe stato indelicato", e poi, "visibilmente alterato", ha rivendicato: "Quando ero all’università non chiedevo la protezione politica della giunta".

Un altro che sembra accusarli di non essere abbastanza estremisti è Renzo Grosselli, che sull’Adige li rimprovera di voler fare una "rivoluzione di carta", intrattenendo rapporti con le istituzioni e con i giornali. Grosselli, in un pezzo in cui se la prende un po’ con tutti, finisce per salvare solo il cinico sindaco Pacher, che "ha finto di patteggiare un poco e poi ha mandato i vigili urbani". Complimenti.

Nel suo intervento, insolitamente contorto, sul Trentino, Carmine Ragozzino, giornalista e consigliere comunale diessino, rivolge ai no-global l’accusa opposta, quella di essersi "asserragliati dentro un fortino" e di non volere "sporcarsi le mani nel rappresentare i propri bisogni dentro un confronto con le compatibilità istituzionali". Per il resto, si arrabbia soprattutto con chi ha preso le parti degli occupanti, colpevole di non aver lavorato "per tempo a realizzare percorsi chiari, coerenti e capaci di dare un palcoscenico non occasionale all’universo concentrato (in miniatura) dentro quella palazzina abbandonata".

Io dico: va bene, discutiamo pure delle manchevolezze dei giovani e dell’imprevidenza degli adulti che ora li appoggiano. Ma con toni - ci si consenta - meno saccenti; e soprattutto lasciando in primo piano i veri termini della vicenda, così come ce li ricorda una studentessa diciassettenne, che in una lettera parla di "ragazzi che hanno deciso di responsabilizzarsi, di partecipare attivamente alla vita politica, discutendo e confrontandosi fino ad arrivare ad avere un sogno in comune; riuscire a conquistare uno spazio in cui ognuno possa mettere qualcosa di suo per trasformare un edificio abbandonato in un posto pieno di idee, di creatività e voglia di stare insieme".

E’ finita com’è finita: "La città - commenta Vincenzo Passerini - può ora tirare un sospiro di sollievo. Adesso l’edificio tornerà nell’abbandono, come in questi 15 anni. E con i topi torneranno, come in questi 15 anni, drogati e disperati… Ma questa solitudine e questa disperazione ritrovate non disturberanno la città. Si consumeranno nel silenzio, nella pace. La città ora è serena. Nessuno rompe. (…) L’unica lotta ammessa, per i giovani, è ormai quella, spietata, per gli affari e il successo. Questa è sacra, è lotta buona, sana. Quella dei ragazzi che contestano questo mondo è invece diabolica, lotta cattiva. E così la loro piccola illegalità è mostruosa, ci toglie il sonno".