Conservazione o speculazione?
Belluno e Trento: due modi diversi di concepire gli usi civici.
Quando gli ambientalisti entrano nelle valli trentine per ostacolare l’avvio di speculazioni sciistiche o edilizie, vengono attaccati dalla solita misera litania: le grandi speculazioni sono sempre venute da Trento… Noi dobbiamo mantenere la montagna abitata… Statevene a casa vostra a fare politica.
Quelle stesse persone che così parlano, il giorno dopo si trovano nelle stanze della politica trentina a elemosinare contributi, a forzare pareri tecnici favorevoli alla realizzazione di opere devastanti. Quelle stesse persone, dalla valle di Fassa alla Rendena, da Fiemme e dal Primiero fino alla valle di Sole hanno svenduto per due lire ettari ed ettari di bosco e di pascolo altrui alle imprese sciistiche, hanno trasformato le malghe in chiassosi ristoranti d’alta quota, hanno trasformato mulattiere forestali in ampie strade trafficate, anche asfaltate, mantengono i pascoli e la viabilità al servizio di motoslitte che rompono i silenzi delle quote più alte, dei posti più sperduti.
Quando va bene, nel nostro Trentino, le ASUC, o i comuni, o le Regole feudali, chiedono alle società che occupano i terreni un risarcimento irrisorio per il mancato utilizzo dell’uso civico. Non mettono mai nel conto dell’area che viene penalizzata il danno reale subìto dai residenti, non tanto materiale ma affettivo, di conoscenze, storico.
Qualche contadino protesta, qualche boscaiolo anche, ma sempre più debolmente: gli interventi del Commissario degli usi civici a tutela di diritti secolari vengono irrisi dalla arroganza delle amministrazioni comunali e della Giunta provinciale.
La giustificazione usata dagli amministratori pubblici per giustificare la soppressione di questi diritti è sempre la stessa: il mondo cambia, noi trasformiamo vincoli oggi incomprensibili in opportunità. Della cultura del territorio, della passione verso l’ambiente, non rimane più nulla: questi amministratori sono ormai asserviti ai poteri forti delle vallate.
Queste stesse persone, quando parlano dei boschi bellunesi, esprimono giudizi netti, ovviamente negativi. Qualche ragione tecnica è effettivamente presente, ma costoro dimenticano come la storia politica del bellunese nei rapporti con lo Stato centrale sia diversa da quella trentina: meno autonomia, meno disponibilità finanziarie, servizi forestali accentratori imposti dall’esterno. I commenti: "Sono boschi abbandonati e miseri, un patrimonio sprecato; nel Cadore nessuno più si interessa del territorio". E’ evidente un senso di superiorità che forestali trentini e popolazione locale vivono nei confronti dei loro cugini dolomitici.
Quando però si valutano i comportamenti concreti delle ASUC bellunesi o delle locali Regole, troviamo ben altra cultura, altre emotività e passioni, radici ancora forti nel territorio e nella tradizione.
All’inizio degli anni Ottanta, quando Cortina d’Ampezzo e San Vito di Cadore volevano ampliare le aree sciistiche, le Regole locali hanno risposto costituendo il Parco Naturale delle Dolomiti Ampezzane, oggi parco regionale, con divieto di caccia (ascoltino, i nostri assessori provinciali, anche verdi!).
Contemporaneamente, nella civile Fiemme, la Magnifica Comunità si metteva a capo del movimento di opposizione alla nuova leggesui parchi naturali e conduceva un’azione di ostruzionismo, tutta ideologica, un’azione culturale devastante, basata sul falso che essa impediva di fatto la costituzione del più importante parco naturale della nostra provincia, quello del Lagorai, e influiva negativamente sulla stesura del piano parco e faunistico di quello di Paneveggio, costruendo in tal modo un’incisiva alleanza con impiantisti e cacciatori.
Mentre da noi ancor oggi si svendono per due lire all’anno i terreni agli impiantisti, nel bellunese le Regole impongono forti no; l’ultimo dei quali, recentissimo, riguarda il piano d’area del Comelico-Ost Tirol.
La Regola di Santo Stefano non accetta nemmeno la monetizzazione, dice che è inconcepibile vedere boschi e pascoli trasformarsi in percorsi-vita, aree per il tiro con l’arco, cementificazione per i servizi d’accesso e di ristoro.
Lo scorso anno altre Regole impedivano l’avanzare delle proposte di costruzione di impianti nell’area di monte Pelmo, o verso Auronzo, verso Pieve di Cadore. Queste Regole si stanno impegnando in Regione per impedire alla giunta di centro-destra di approvare il piano neve (una specie di variante al PUP, con gli stessi deleteri contenuti di quella sostenuta dalla giunta di centro-sinistra trentina).
Altre Regole del Centro Cadore da anni collaborano con gli ambientalisti per proporre l’istituzione del parco naturale del Centro-Cadore- Marmarole, trovando opposizione nei poteri politici provinciali e regionali.
Come si vede, l’attenzione delle comunità locali verso il proprio territorio è ben diversa da quella che si riscontra in Trentino. Anche a Pera di Fassa, dove sembrava esserci un risveglio di orgoglio da parte della comunità contro lo strapotere della società Buffaure, i terreni di val Jumela sono stati oggetto di una banale contrattazione economica, e di fronte al cospicuo assegno della società sciistica, i princìpi storici dell’inalienabilità degli usi civici sono venuti meno.
I trentini,dunque, avrebbero solo da imparare in fatto di coerenza e di attaccamento alla terra dai vicini bellunesi, e com’è dimostrato dagli eventi degli ultimi vent’anni, il territorio delle valli trentine non è stato distrutto da volontà venute da Trento, ma dai poteri e dagli amministratori dei comuni e delle ASUC delle nostre vallate. Solo nell’area di Campiglio, e in modo contraddittorio nell’alta Anaunia abbiamo potuto vedere posizioni diverse provenienti dalle ASUC.
I comportamenti tanto diversi della gente di montagna bellunese rispetto a quella trentina non stanno a indicare un immobilismo imprenditoriale delle popolazioni delle Dolomiti orientali, ma un diverso attaccamento alla propria terra. Anche nelle valli del Boite c’è bisogno di sviluppo, anche nel Cadore si assiste allo spopolamento della montagna e di intere vallate.
Ma ci si rende conto, a differenza che da noi, che lo sviluppo intensivo proposto dalle società impiantistiche non aiuta la montagna, i boschi, i pascoli, non costruisce sicurezza idrogeologica, non consolida un presidio umano del comprensorio, ma rafforza interessi economici già forti e impositivi, mantiene vive spaccature sociali e sacche di emarginazione.
Da tempo si sta chiedendo su quali valori rifondare l’autonomia della nostra terra. Una strada ci è indicata dagli usi civici, che vanno reinventati come dimostrato dalle Regole dell’ampezzano.
Il Trentino deve investire in umiltà, imparando anche da cugini presunti poveri e marginali, ripartendo dal territorio e dalle motivazioni, dai valori che hanno diffuso sulla mostra terra in modo tanto forte gli usi civici, per ritrovare autenticità, vissuto, emozione nel gestire un territorio tanto prezioso.