Il baratto
Una collezione di dipinti in cambio di un maso più un pacco di milioni. L’affare, combinato dalla Provincia, è legale, ma...
Anche questa dovevamo sentire. A Bolzano, in contemporanea con la discussione sull’opportunità o meno di realizzare un museo di arte contemporanea, sfrattato dalla sua sede attuale e di cui viene messo in dubbio il senso in un’ottica regionale che vede già a Rovereto un polo importante nel MART, il presidente della Provincia e un suo amico, potentissimo professionista delle costruzioni, hanno organizzato una permuta. "La permuta non è altro che un baratto, il contratto più antico del mondo, attraverso il quale si scambiano cose contro cose" - ha detto un notaio bolzanino. Normalmente avviene fra costruttori, che scambiano appartamenti con un terreno. La permuta è possibile anche nel settore sportivo: ad esempio le squadre di calcio si scambiano i giocatori. In tutti gli altri casi, la si usa poco.
I due nostri protagonisti, di cui solo uno è un esperto di arte, quello che i quadri li cede, si scambiano 127 quadri di autori tirolesi con un bel maso e dodici ettari di terreno, e qualche soldino (novecento milioni) extra.
La cosa che fa indignare molti non è solo che la spesa di nove miliardi viene fatta con denaro pubblico, e questo nel momento in cui il bilancio provinciale deve effettuare i primi tagli e che questi vengono adottati nel settore degli insegnanti di sostegno e dell’insegnamento della seconda lingua o che della collezione Unterberger (questo il nome del professionista meranese) fanno parte anche 14 quadri firmati "Franz Richard Unterberger", mentre mancano i quadri di Leo Putz, certamente i più belli e interessanti della collezione.
Colpisce di questa stravagante e spendacciona operazione soprattutto la mancanza di un progetto culturale. Non si tratta solo di porsi la domanda se sia il mito del Tirolo a colpire ancora, o se sarebbe meno indecente l’acquisto se vi fossero i quadri di Putz o ancora se altri esperti avrebbero dato una stima analoga del valore dei quadri da acquistare.
La questione principale è che i criteri con cui un collezionista raccoglie i quadri sono legati al suo gusto o a sue frequentazioni personali, assolutamente legittime e che in casi come quelli dei Guggenheim (Salomon e Peggy) hanno dato nel corso dei decenni seguito a sviluppi straordinari nei musei di New York, Venezia e Berlino. Rigorosamente privati.
Un museo tuttavia, privato, ma soprattutto pubblico, deve avere un progetto, sapere che cosa vuole mostrare, o che cosa vuole indagare, di che cosa si vuole occupare, qual è il "messaggio" che vuole dare a chi lo visita. Non può accontentarsi dei gusti di un privato. E i criteri di scelta delle opere dipendono dai suoi obiettivi.
A tal punto che nel corso del tempo, il Guggenheim di New York, pur pieno di opere d’arte di primissimo valore, ha ritenuto necessario fare degli scambi con altri musei per colmare lacune che sentiva inammissibili (ad esempio la mancanza di opere di Matisse, che di recente ha ottenuto dall’Hermitage di San Pietroburgo in cambio di altri artisti) e comunque è aperta la discussione sul progetto del museo e la possibilità di sviluppi e di scambi continui fra le tre sedi internazionali, per garantire un percorso significativo soprattutto nel campo dell’arte contemporanea.
La seconda considerazione è che, da che mondo è mondo, se un collezionista vuole lasciare il segno, dona le opere in suo possesso ad un museo, creando un fondo che porterà il suo nome.
Che un ente pubblico baratti masi e conguagli con denaro dei cittadini per acquisire una collezione privata, senza avere uno spazio per l’esposizione, è a dir poco incredibile.
La proposta di vendita, in questo caso, è partita dal collezionista, e ci permettiamo anche di dubitare, nonostante le sue molte qualità, di quelle di esperto d’arte del presidente della giunta provinciale (l’amico), che infatti per rendere la cosa più regolare, ha incaricato l’assessore alla cultura di lingua tedesca, Hosp, di portare a termine la trattativa.
Se dunque il baratto è legale, previsto anche dal Codice civile, nella sostanza tuttavia, esso appare in questo caso grandemente inopportuno. E ci si chiede se ogni cittadino che ha nella sua casa o cantina qualche quadro, o qualche mobile, o altro oggetto di cui disfarsi, possa da oggi rivolgersi all’ente pubblico, per rifilargli in cambio di un bel maso o di un palazzo pubblico, le cose che non ha più voglia di tenere per sé.
Infine: per niente impressionato dall’indignazione sollevata dalla prima operazione, approvata peraltro all’unanimità dalla giunta provinciale, l’ente pubblico ha già rilanciato, pronto ad acquistare un’altra collezione, in questo caso d’arte contemporanea, questa volta per dieci miliardi.