L’utero in affitto
Molto scalpore per una pratica che, a ben vedere, ha numerosi e illustri precedenti.
La questione dell’utero in affitto ha scatenato un bailamme (dal turco bayram: in effetti nei giornali e in televisione si sono viste e sentite "cose turche" sull’argomento). Nello scontro di opinioni che ancora si affrontano non mi pare che prevalgano le argomentazioni e i ragionamenti, ma piuttosto le posizioni emotive e l’irrazionalismo. Coloro che gridano allo scandalo hanno in comune questo assunto: tutto ciò che va fuori o contro il "corso naturale" delle cose stabilito da Dio è di per sé illecito. Questa posizione non è solo irrazionale, ma a me pare che sia anche irreligiosa. E’ molto presuntuoso, e pecca di superbia, chi pretende di saper quali sono i "disegni naturali" di Dio. L’esperienza dovrebbe insegnare ai credenti, e ai laici che hanno una concezione religiosa della vita, che il Signore è sottile e che i suoi disegni vanno cercati con pazienza e umiltà. Facciamo qualche esempio per capirci più facilmente.
Il taglio cesareo è naturale o innaturale? La risposta è ovvia. Se dunque una donna non può partorire naturalmente, e quindi diventare madre se non con l’aiuto del bisturi che taglia il ventre e l’utero, la nascita del figlio deve considerarsi lecita o no? La domanda è puramente retorica e quasi priva di senso. E’ infatti convinzione comune che se anche ricorre a un "artificio" quella donna è madre. E non ha alcuna importanza che non abbia partorito attraverso la dilatazione del collo dell’utero e la cavità vaginale. Eppure secondo una restrittiva, ma letteralmente esatta interpretazione del Codice Civile si dovrebbe escludere che il nato da intervento cesareo abbia una madre, perché la norma dice: "La madre di un neonato è la donna che l’ha partorito".
Altro esempio: l’adozione. Qui l’artificio non è chirurgico, ma giuridico, e in base ad esso tre estranei (neppure consanguinei) diventano rispettivamente genitori e figlio. Non si potrà mai affermare che, non essendoci stati concepimento, gestazione e parto naturali, l’adottato non sia figlio a tutti gli effetti e che gli adottanti non siano padre e madre. L’esperienza insegna che il vincolo che si stabilisce può essere addirittura più intenso e più forte di quello che si stabilisce fra consanguinei. Non ho ancora letto nelle terribili cronache che ci affliggono che dei genitori adottivi abbiano buttato i figli adottati nel cassonetto dell’immondizia. Il momento iniziale della figliazione non è meno importante di quello della gestazione. Direi anzi che i momenti essenziali che individuano nascituro e genitori sono appunto tre: la fecondazione, la gestazione e il parto. Non vi è cosa più artificiosa, fredda ed estranea ai corpi dei genitori che la provetta, dove possono essere congelati, conservati e successivamente uniti l’ovulo e lo spermatozoo. Dunque la provetta sì, e l’utero no? Perché? Se la fecondazione assistita è una terapia, e vale per il momento iniziale (che in natura è coinvolgente ed emotivamente fortissimo con l’accoppiamento, mentre con la provetta è neutro e gelido), perché non dovrebbe valere per la gestazione qualora sia negata alla madre? Non è preferibile un utero "naturale" che una provetta "artificiale"? Una forma di utero in affitto, assai più radicale che quella moderna, era in uso tra i Semiti migliaia di anni fa ed era sancito e santificato sia dalla Bibbia che dal codice di Hammurabi. Si legge in Genesi: "Sara disse ad Abramo: ecco, ti prego, Jahvè mi ha reso sterile. Entra nella tenda della mia serva Agar. Forse avrò figli da lei". Abramo obbedì, Agar rimase incinta e partorì sulle ginocchia di Sara, che con questo artificio divenne la vera madre del figlio di Agar, chiamato Ismaele. In questo episodio non il solo utero è utilizzato come strumento di generazione, di gestazione e di parto, ma l’intero corpo di Agar che si accoppia "naturalmente" con Abramo. Prendere una schiava per sostituire la moglie sterile al fine di avere una discendenza era permesso dal codice di Hammurabi e anche dall’Antico Testamento. Eppure è difficile immaginare cosa più innaturale e artificiosa non tanto dell’unione con una schiava, ma del "partorire sulle ginocchia della moglie" in modo fisico e non figurato affinché il figlio adulterino diventasse legittimo.
Costumi superati? Certamente, se non altro perché la schiavitù è abolita, e non è più lecita la poligamia. Ma la possibilità di avere figli "per mezzo di un’altra donna" non è mai stato considerato illecito nelle antiche civiltà, e non vedo per quale ragione dovrebbe diventarlo ora. Non l’utero altrui, magari generosamente prestato, ma il suo eventuale "affitto" potrebbe essere considerato spregevole. Ma questo è un altro discorso. Resta il fatto che nessuna legge vieta ancora l’utero in prestito.
L’ordinanza del Tribunale di Roma, tanto criticata, appare perfettamente legittima. Io non ho alcuna verità in tasca da dispensare ai lettori. Può darsi che l’uso dell’utero altrui per la gestazione sia un male. Vorrei però che qualcuno me lo spiegasse razionalmente, senza cantare nel coro e soprattutto senza "steccare".