Riforme o poltrone?
Il primo congresso dello SDI (Socialisti Democratici Italiani).
Avevamo ragione noi. "Sulla politica internazionale avevamo ragione, sulle modifiche del welfare avevamo ragione - ci dice Nicola Zoller, nuovo segretario dello Sdi, Socialisti Democratici Italiani - E ora che la storia ha dato il suo verdetto, chi è al potere? Quelli che facevano le manifestazioni in piazza contro gli euromissili e contro la modifica della scala mobile". Gli hanno fregato il posto insomma. E anche il nome: gli usurpatori hanno la spudoratezza di non chiamarsi più comunisti, ma socialisti, anzi di dirsi socialdemocratici e di andare loro, tranquilli, ai vertici europei con gli altri capi delle socialdemocrazie. In questa posizione, dichiarata con la stessa schiettezza dal palco e a quattr’occhi, sta tutta la carica, le ragioni, i limiti, dell’ultimo raggruppamento socialista.
Perchè che avessero ragione loro è vero. (O meglio quasi vero: il problema del debito pubblico lo affrontarono solo nei discorsi, nella pratica furono proprio i governi di Craxi e del Caf a spingere il deficit fuori da ogni controllo). Però se la storia i socialisti italiani non li ha premiati, non è colpa del destino cinico e baro. E’ che di mezzo c’è stato il craxismo, la lottizzazione e le ruberie erette a sistema. E qui scatta il meccanismo successivo: l’odio per i giudici, Tangentopoli come grande trappolone, tutti si finanziavano in maniera birichina e hanno incastrato solo noi, ecc ecc.
Impostato su queste basi, il nuovo partito degli ultimi socialisti non avrebbe futuro: rancori, rabbiosa e disinvolta gestione dei piccoli spazi rimasti, ricatti di passare dall’altra parte.
Non sappiamo a Roma, ma a Trento i più avvertiti sembrano essersene accorti. L’eredità socialista intesa come rimpianto di non essere subentrati al crollo democristiano non ha senso: perchè della gestione dc si era stati pienamente partecipi; perchè alla gente della politica intesa come destino di gruppi di persone importa proprio poco ("sono al potere loro, invece di noi!" e allora, chi se ne frega?); perchè alla politica si chiede di saper dare prospettive per il futuro, non di recriminare sul passato. Dicevamo, a Trento, forse, se ne sono accorti che se un’eredità socialista esiste, essa può consistere non nel rimpiangere poltrone, ma nel saper proporre idee. Ed ecco quindi al suddetto congresso Mario Raffaelli, già sottosegretario agli Esteri quando c’era Lui, incentrare il suo intervento sul necessario ridisegno del sistema politico-sociale italiano, e su quello istituzionale trentino. Con idee magari discutibili, ma appunto idee: di cui è opportuno e utile discutere. E poi ancora Mauro Leveghi, già assessore all’urbanistica e oggi presidente del Consiglio Regionale, parlare di politiche dell’ambiente e dello sviluppo.
Poi però sale sul palco Celso Pasini, dimissionario presidente del Mart (MART: un museo sempre più piccolo): che racconta dei torti che lui in quanto socialista avrebbe subito da Dellai, che gli avrebbe preferito l’orrido Cattani, suo compare politico. Un intervento surreale che nulla dice dei problemi veri (il Museo) e risulta invece esclusivamente incentrato - per venti minuti! - sulla violata pari dignità tra "roselline" e "margherite". Una esplicita, financo ingenua nella sua sfrontatezza, esibizione di cultura partitocratica, che però subito solletica gli spiriti più grevi della platea, che nulla sa del Mart, ma che subito solidarizza con "uno dei nostri" torteggiato.
In questo succedersi di interventi sta secondo noi il destino dello Sdi. Prevarrà la progettualità o la lottizzazione? La volontà innovatrice che ha portato alcuni socialisti a sostenere le riforme elettorali maggioritarie, o i gretti calcoli di quelli che le hanno sabotate, per mantenere spazi al partitino?