Incidenti sul lavoro: perché non si riesce a ridurli?
Colpa dei frequenti subappalti? O gli operai hanno troppa familiarità con gli strumenti e i luoghi di lavoro?
Se è vero che il Trentino ha la nomea di essere una realtà fortemente conservatrice e tradizionalista, ciò si può smentire almeno nei settori produttivi, osservando come, alla stregua di tutti i paesi occidentali, anche nella nostra provincia le forme del lavoro si fanno ogni giorno più dinamiche e flessibili. Ma questi nuovi rapporti di lavoro, per definizione meno stabili e tutelati, comportano anche una differenza a livello di standard di sicurezza e, di conseguenza, di rischio di infortuni? Per cercare di rispondere abbiamo interrogato rappresentanti, da una parte del sindacato, e dall’altra dell’Associazione degli artigiani e delle piccole imprese.
In base ai più recenti dati sugli infortuni in Trentino, elaborati sulla base delle rendite, ossia per gli infortuni gravi, e presentati dalla CGIL nel corso di una conferenza stampa la settimana scorsa, sembrerebbe che il numero degli infortuni sui luoghi di lavoro, dopo una fase in netto declino fino al 1996, negli ultimi due anni abbia conosciuto un periodo di sostanziale stabilizzazione. "Ciò è quanto meno preoccupante - ci ha detto Franco Ischia che per la CGIL ha curato la raccolta dei dati INAIL - anche se il fenomeno non è tanto una caratteristica peculiare del Trentino, quanto una condizione nazionale."
Il problema della sicurezza nella nostra provincia è tornato però a riempire la cronaca locale in occasione della tragedia di Ziano di Fiemme, dove due operai meridionali, che lavoravano per una ditta subappaltatrice, sono morti in un cantiere di neanche grandissime dimensioni. Per il sindacato, il caso di Ziano è emblematico: in primo luogo perché, come ci informano i dati INAIL, il comparto dell’edilizia è quello in cui si registra il numero maggiore di infortuni (11 infortuni all’anno su 100 occupati, mentre la media provinciale su tutti i settori è di poco sotto i 6); in secondo luogo perché, secondo Ischia, rappresenta bene una tendenza generale, che vede il rischio di infortuni crescere di pari passo con quella che lui definisce frammentazione del sistema di lavoro, in cui sono sempre più rare le aziende di grandi dimensioni che si occupano di tutti gli aspetti dell’opera da realizzare, mentre è sempre più frequente il ricorso (con conseguente frammentazione delle operazioni e dei cantieri) al subappalto, spesso affidato a imprese piccole o piccolissime.
Sul fatto che il massiccio ricorso ai subappalti possa in linea di principio comportare un aumento del rischio di infortuni, si è detto d’accordo anche Rensi, che per l’associazione degli artigiani e delle piccole imprese segue il settore dell’edilizia: "Ciò però - ci ha detto Rensi - non significa che si debba criminalizzare l’istituto del subappalto, visto che in ogni modo tutte le imprese sono tenute a mantenere determinati standard di sicurezza. E’ ovvio poi che il sindacato se la prenda con il subappalto, visto che molto spesso i lavoratori che vi sono coinvolti sono privi di sindacalizzazione: ai sindacati farebbero più piacere cantieri gestiti da un’unica grande azienda, nei quali avrebbero certamente più potere.
E poi non capisco perché si parli così poco degli incidenti mortali nell’agricoltura (per esempio le morti sui trattori): che sia perché si tratta di lavoratori autonomi?"
Rensi però ha una sua spiegazione per il perdurare degli incidenti sul lavoro: "Oggi, a creare gli infortuni, più che comportamenti omissivi è l’eccessiva familiarizzazione con gli strumenti e i luoghi di lavoro, che fa diminuire la concentrazione e accresce i rischi. E, in ogni caso, va anche preso atto che, per quanto si faccia, rimarrà sempre un certo tasso di infortuni, per così dire fisiologico".
Rensi contesta inoltre l’idea che, negli ultimi due anni, il tasso di infortuni abbia smesso o quasi di decrescere: "Il calo è costante, del resto anche tra gli artigiani si è diffusa una maggiore coscienza dell’importanza delle problematiche legate alla sicurezza: noi, come associazione, abbiamo contribuito a ciò con l’organizzazione, che prosegue tuttora, di numerosi corsi di formazione su questi argomenti, che hanno preparato finora oltre 5.000 addetti del settore".
Fra le iniziative dell’associazione anche un servizio di consulenza, che si affianca a veri e propri "controlli simulati" nei cantieri condotti, su richiesta delle imprese interessate, da esperti del Centrofor (organismo multilaterale per la formazione professionale e la sicurezza), i quali attestano la conformità o meno alle norme vigenti.
Un problema concreto sembra essere comunque, in questo ambito, quello di avere a disposizione dei dati precisi sul fenomeno nella nostra provincia: non che sia impossibile trovarli, ma essi sono, per così dire, sparsi e disarticolati. Da un lato quelli in possesso dell’INAIL riguardano le sole aziende con sede legale in Trentino, sia che l’infortunio sia avvenuto qui che in qualunque altro luogo d’Italia: di conseguenza, mancano i dati relativi a quello che accade in Trentino ad imprese che non hanno sede qui. Dati, questi, che sarebbe possibile recuperare attraverso altre fonti, in particolare l’autorità giudiziaria che riceve le obbligatorie segnalazioni, e la UOPI, l’Unità Operativa per la prevenzione degli infortuni, che fa capo all’Azienda sanitaria e che ha tra i suoi compiti lo svolgimento dei controlli sulla sicurezza: a quanto pare, tuttavia, fino ad ora nessuno si è preoccupato di raccogliere e analizzare tutti questi dati. Per questo Ischia propone di istituire un osservatorio sugli infortuni che permetta di monitorare costantemente il quadro e gli sviluppi della situazione: solo in questo modo infatti si potrebbero evitare le solite diatribe sui dati e contestualmente programmare nuovi e più proficui interventi in materia, qualora, di fronte ai continui mutamenti delle forme di lavoro, se ne verificasse l’opportunità.
Altro capitolo riguarda i controlli: per Franco Ischia "si può pensare di rendere ancora più sistematica e decentrata sul territorio l’attività di controllo sui luoghi di lavoro ampliando il ruolo di vigilanza, che già oggi, sia pure in modo ridotto, viene svolto dalle polizie municipali e dai nuclei territoriali dei Carabinieri. Ciò richiederebbe la necessità di dare loro una maggiore formazione specifica, estendendone la professionalità per quel che riguarda la sicurezza dei lavoratori".
Ciò su cui comunque sindacati e associazioni di categoria sono d’accordo è quanto contenuto in un Protocollo d’intesa firmato dalle varie parti con la Provincia di Trento: in esso l’ente pubblico si impegna, per quanto riguarda gli appalti, a non assegnarli sulla base del semplice criterio del massimo ribasso (che naturalmente spinge le imprese a ridurre al massimo i costi, con possibili ricadute sul versante della sicurezza), ma guardando prima di tutto alla qualità delle prestazioni che vengono offerte dalle imprese concorrenti.
Che si tratti di un modello da perseguire e da estendere?