Dietro Pacher: la destra si rassegna, la sinistra sbanda
Dopo il voto a Trento. La destra si rassegna a essere inconsistente. La sinistra sbanda, litiga, ma inizia a rendersi conto che...
Quando alle dieci e mezza del lunedì dello spoglio dei voti, Alberto Pacher si faceva vedere a Palazzo Geremia, con i primi risultati che lo davano oltre il 70%, il suo abituale modo di fare, tra il timido e il sornione, all’improvviso appariva come la chiave che spiegava un trionfo inaspettato: la forza tranquilla, l’affidabilità, la competenza non esibita. Quanto queste doti basteranno per fare di Pacher un vero sindaco da 70%, sganciato dall’imprinting dellaiano e dai condizionamenti partitici, in grado di rompere il piccolo cabotaggio delle varie amministrazioni che si sono succedute a Palazzo Thun, è tutto da vedere. Di sicuro però queste stesse doti sono bastate per annichilire l’avversario Claudio Eccher, e la coalizione che l’aveva improvvidamente scelto.
Sono infatti venute al pettine le caratteristiche che facevano di Eccher un candidato impossibile. Da una parte la pesante campagna contraria messa in campo dall’insieme del personale dell’Ospedale, che ne dava una valutazione assolutamente negativa, non come tecnico, ma come persona (egocentrico, concentrato sulla propria attività privata più che su quella pubblica) e quindi come sindaco.
Dall’altra, l’evidente incompetenza non solo sui fondamentali della politica, ma anche sui problemi della città, da persona estranea alla vita civica, al punto da chiedersi se mai avesse letto i giornali; e allora anche la sbandierata "estraneità alla politica" si volgeva nel suo contrario: l’incompetente è facilmente diretto dai marpioni, che difatti si aggiravano nei suoi pressi.
E qui il problema si sposta: tali caratteristiche, evidentemente esiziali per un candidato, come mai non erano state colte dalla coalizione che lo ha lanciato?
Qui si riapre il problema: cosa è, dove va il centro-destra? Quali rapporti ha con la società un insieme di partiti che non si accorge che il prof. Claudio Eccher, ottimo chirurgo, è però un pessimo candidato?
A novembre, dopo le disastrose elezioni provinciali, titolavamo: "Questa destra, a cosa serve?" Oggi, dopo la Caporetto comunale, il problema pare incancrenito.
In effetti il centro-destra non sembra molto più attrezzato del suo candidato Eccher. In Consiglio comunale nella scorsa legislatura ha condotto una sola battaglia d’opposizione, quella sull’inquinamento dei terreni di Trento-Nord (con toni accesi, ma con contenuti fragili, e in certi momenti col vago sospetto che si andasse a finire tra le braccia dei locali poteri forti, addossando all’ente pubblico i costi del disinquinamento); sul resto della gestione Dellai, sui versanti più inconcludenti (la gestione urbanistica) o sospetti (i rapporti con la speculazione), nessuna opposizione significativa.
E così in questi primi mesi in Provincia: un feroce ostruzionismo per impedire alla coalizione vittoriosa di avviare il governo, ma niente altro di significativo.
"Anche dall’opposizione ci impegneremo sulle riforme istituzionali" - ci preannunciava a novembre il capogruppo di Forza Italia Giacomo Santini; invece la sua coalizione non incalza il governo sulle riforme che insabbia (i comprensori), e lo ostacola su quelle che tenta (la riforma elettorale).
Il problema del centro-destra, evidenziato dal caso Eccher , sono i rapporti con la società, che si sono inariditi. Al punto che il principale referente nella società civile è il club dei burocrati perdenti, i culi di pietra asserragliati nel fortino dell’Unione Commercio. Al punto che la principale alternativa alla candidatura Eccher, era quella - dalla padella alla brace - dell’ex-presidente della Camera di Commercio Marco Oreste Detassis; e ancora, dopo l’umiliante trombatura di Detassis alla presidenza camerale, lo stesso era ancora assessore esterno in pectore, in quota An, nell’ipotizzata giunta Eccher. Ma queste sono relazioni ormai usurate, fuori dal tempo e dalla storia. I dati elettorali lo hanno riconfermato: i commercianti hanno votato in massa l’assessore di Pacher Franco Grasselli, primo fra i 9 eletti dei Ds, non i candidati sponsorizzati dall’Unione, tutti (Camilla Casari nella lista Buonconsiglio, Guido Nicolodi in Forza Italia) implacabilmente trombati.
Se a ciò uniamo l’esplicita irritazione del mondo cattolico verso Eccher e le sue avances ("Io sono sposato in chiesa, Pacher no") e l’ormai evidente propensione verso la Margherita, abbiamo il quadro della situazione comatosa della destra ("A questo punto non ci resta che andare verso Dellai" - affermava il senatore Gubert davanti al tabellone dei risultati; e difatti due giorni dopo un suo intervento sull’Alto Adige apriva a tale prospettiva).
Il fatto è che il centro-destra sembra avviluppato in una dinamica al ribasso. I partiti della coalizione sono in mano a modesti professionisti della politica, che sistematicamente, per paura della concorrenza, si fanno il vuoto intorno. In Consiglio provinciale se la ridono tranquilli, la batosta l’hanno assorbita senza traumi: hanno davanti ancora cinque anni di pacchia, poi si vedrà.
Se ne è reso conto Bossi, che ha commissariato la Lega trentina (dal 20% al 2,9) sfiduciando il gruppo Divina, Boso & C. Il fatto è che un’opposizione del genere non è positiva per nessuno.
Se Sparta piange, Atene non ride: anche la sinistra, segna- tamente i Ds, sono attraversati da una vistosa crisi, con polemiche accese sulla stampa.
Ma come - si dirà - il partito del sindaco è in crisi? Sì, le cifre sono incontrovertibili: le elezioni le ha vinte l’aggregazione (cioè soprattutto la Margherita) e più ancora il candidato Pacher (che ha avuto più voti della stessa aggregazione). I Ds a Trento hanno perso 350 voti dal - non entusiasmante - risultato delle provinciali di novembre; e questo nonostante il traino del candidato sindaco; dove l’effetto-Pacher non c’è stato si è precipitati, come a Riva, storico punto di forza della sinistra trentina, in cui i Ds sono all’8,9%. E questo in un momento in cui la sinistra, al governo, ha il massimo di visibilità.
Se a questo aggiungiamo la delegittimazione del segretario Albergoni, capolista incredibilmente arrivato undicesimo (secondo dei non eletti), e la trombatura di tutti i pidiessini storici consiglieri uscenti (con il conseguente strascico polemico), è chiaro che molto nel partito non va.
Per capire dobbiamo fare un passo indietro. E partire dagli inizi della segreteria Albergoni. Stefano Albergoni, laureato in sociologia, redattore di QT, si butta anima e corpo nell’allora Pds, e riesce a rivitalizzare un partito sclerotizzato, portando nuova linfa e nuove leve. Diventato - trentenne - segretario, avvia un coraggioso processo di aggregazione con le altre anime della sinistra: un settore di ex-socialisti (tra cui l’allora assessore provinciale Mauro Bondi), i cristiano-sociali (tra cui Giorgio Tonini, oggi nello staff di Veltroni) e le forze - più strutturate - di Rete e Solidarietà.
Parallelamente Albergoni rivela alcuni forti limiti: il più vistoso è l’incapacità di condurre le trattative politiche; il giovane intellettuale, colto e gentile, viene regolarmente messo nel sacco dai vecchi marpioni della politica, i Tretter, i Boato, i Pietracci. Di fronte ai primi malumori nel partito, reagisce malamente: si circonda solo di persone che gli dicono di sì e lo adulano ("Stefano è un grande statista") in vista di future promozioni. All’esterno subisce la personalità degli alleati: in particolare di Dellai, che in pratica finisce con il dettare lui la linea dei Ds. E’ il periodo della campagna elettorale delle provinciali, con i masochistici osanna a "Lorenzo, il nostro leader", che accomunano il segretario a una buona fetta di partito, contribuendo a creare il fenomeno Margherita e condannandosi alla subalternità. Quando nelle successive, defatiganti trattative per la nuova giunta, al partito appare chiaro che Dellai gioca in proprio, arrivano i primi attacchi ad Albergoni.
Il quale reagisce male: attaccato durante una riunione da Giorgio Tonini, prende cappello e se ne va a casa; e nei limiti del possibile cerca di non convocare più riunioni. "Siamo nell’illegalità" - dichiara alla stampa il pur mite ex-segretario Aldo Marzari.
Tutto questo ha ricadute pesanti sulla vita del partito, che viene assorbito dai mille problemi della tattica, e perde di vista l’elaborazione politica. "Da due anni discutiamo continuamente con chi e come ci alleiamo, mai cosa facciamo al governo..." - ammette il presidente dei Ds Mauro Bondi; "Abbiamo perso il metodo di lavoro; non esistono più le commissioni di lavoro del partito, è indispensabile riorganizzare tutta la macchina" - sostiene la consigliera Wanda Chiodi; "Il fatto è che se noi siamo subalterni, non abbiamo iniziativa, nel governo prevale una visione moderata - afferma l’ex-segretario Rino Sbop - E se non c’è un collante riformatore, il rischio è che i nostri stessi amministratori si muovano ognuno per proprio conto, rischiando di subire la visione tradizionale degli altri, o addirittura di assorbire il vecchio modo di far politica."
Infatti, abbandonati a loro stessi, gli amministratori diessini brancolano. La presidente della Regione Margherita Cogo ha affrontato con grande grinta la riforma elettorale; ma, inesperta e lasciata sola da un partito latitante (non una riunione sul tema vitale della riforma dello Statuto!), è incappata in alcuni infortuni, ed è caduta in una clamorosa riedizione dei riti partitocratici, nominando consigliere d’amministrazione dell’A22 Andrea Puecher, segretario del partitino dell’assessore Muraro (sperando di ottenere in cambio un posto per i Ds nella commissione dei 12 per la riforma delo Statuto).
Il vice-presidente della Provincia Roberto Pinter ha proposto di sostituire l’assemblea comprensoriale con l’assemblea dei sindaci, naturalmente "nell’attesa di" ribaltare il baraccone dei comprensori; in pratica, il provvedimento vuol dire silurare la riforma Bondi (che ci si guarda bene dal presentare, i tempi non sono mai maturi) e rassegnarsi all’attuale tran-tran istituzionale.
In quanto all’assessore Andreolli, non si sa bene cosa faccia: "Abbiamo una frattura fra gli assessori e il partito: non si sa che cosa fanno; né loro hanno il nostro supporto - ammette l’on. Luigi Olivieri - Se non portiamo nelle sedi proprie le discussioni, se non allarghiamo il dibattito, la condivisione delle intelligenze, diventeremo un comitato elettorale."
E’ stata in questa situazione slabbrata che i Ds hanno af- frontato la campagna elettorale. Pressato dalle critiche nel partito, Albergoni si è sempre più allineato a Solidarietà, appoggiandone la richiesta di non avere capolista, e quindi silurando l’ipotesi di capolista Franco Grasselli, stimato assessore uscente, super partes nelle beghe diessine. Poi all’ultimo momento, senza consultare nessuno, Albergoni si candida, e in virtù del suo cognome diventa capolista, "anche per misurarmi, vedere quale è il mio peso" - ci disse.
La campagna elettorale è un disastro: la disorganizzazione si fa pesantemente sentire, il segretario pensa alla propria candidatura più che alla lista, non viene chiamato nessun big nazionale, non vengono sfruttate le forze pur disponibili: "L’avevo detto a Stefano, sono disposta a lavorare otto ore, da marzo al giorno delle elezioni, ad affrancar buste, incollare manifesti; non mi hanno mai utilizzata, sono incazzata nera, non si fa così" - si sfoga il giorno dei risultati una giovane militante, attorniata da un gruppo di studenti altrettanto delusi: "Ha ragione, con tutti noi è stato così".
Il risultato è noto: e il partito - fatto assolutamente inusitato - non vota il segretario, Solidarietà pensa ai suoi, Grasselli vola con oltre 600 preferenze, Albergoni esce umiliato.
Il gioco delle preferenze crea un altro fenomeno: l’elettorato diessino crede nell’aggregazione tra le varie componenti e si distribuisce sui vari candidati; Solidarietà, Rete e Cristiano-sociali invece votano i propri uomini che risultano così eletti, mentre i consiglieri uscenti del pidiesse, che peraltro non avevano particolarmente brillato, vengono tutti trombati.
Il post-elezioni in casa diessina non è semplice. Il primo pro- blema è il segretario. Gli viene suggerita una via d’uscita non dolorosa: lui si dimette, il partito respinge le dimissioni e lo affianca con un esecutivo autorevole che indìca in autunno il congresso. Albergoni rifiuta: a dimettersi non ci pensa e non vuole nessun tutore.
"Intendiamoci - ci dice Wanda Chiodi - il problema del Pds non è Stefano Albergoni. Ma Albergoni è il segretario di un partito che ha grossi problemi."
In soldoni, i maggiorenti diessini sembra non intendano avviare una lacerante contrapposizione per rimuovere un segretario che non se ne vuole andare. Da una parte ci sono quelli che fanno finta di niente, e sostengono che tutto va bene, che bisogna concentrarsi sulle elezioni europee, poi l’estate, poi... Dall’altra, la maggioranza intende invece avviare una discussione sui motivi di fondo, per arrivare in autunno a un congresso che ridefinisca il partito e nomini un nuovo segretario.
Il primo problema è l’aggregazione a sinistra, i rapporti con Rete e Solidarietà: "C’è chi dice, come Albergoni, che noi dobbiamo scioglierci in un soggetto nuovo, che raccolga tutta la sinistra in maniera federata, e poi avere un rapporto federato con il livello nazionale. E d’altra parte c’è chi come Andreolli sostiene che noi siamo autosufficienti, sostanzialmente dobbiamo riorganizzarci sul territorio. Io penso invece - afferma l’on. Olivieri - che dobbiamo sì riorganizzarci (ci sono sezioni che non ricevono una telefonata da un anno); ma non penso che dobbiamo scioglierci rinunciando al collegamento e all’immagine nazionale. Non facciamo salti nel buio, e soprattutto non facciamo salti indietro, come abbiamo fatto recentemente: a novembre eravamo un soggetto unico, in cui Rete e Solidarietà non richiedevano un loro spazio specifico, alle comunali siamo arrivati al cartello elettorale. Dobbiamo andare avanti."
"Il percorso non può essere quello dell’inglobazione di Rete e Solidarietà in qualcosa di già definito - ci dice il consigliere della Rete Passerini - Bisogna invece prendere atto di questa diversità per costruire qualcosa di nuovo, senza ruoli subordinati."
Sull’evoluzione di questi concetti si potrà discutere a lungo. Il pericolo per i Ds è quello di incartarsi nell’ennesima discussione sul come e sul con chi stare assieme.
"Questo non deve essere un problema, nessuno nella base Ds mette in discussione il valore dell’aggregazione a sinistra, a iniziare da Rete e Solidarietà, ma questa deve coinvolgere anche i socialisti" afferma Rino Sbop. Che prosegue: "Il punto vero è un altro: oggi noi abbiamo un ruolo centrale, storico per il Trentino, bisogna che ogni compagno ne sia convinto." I Ds sono essenziali per aggregare la sinistra, e la sinistra è centrale "per far prevalere nelle attuali aggregazioni di governo una visione che porti al cambiamento del Trentino. Non è questione di regolare i conti al nostro interno: dobbiamo avviare una fase congressuale che porti il partito ad avere un gruppo dirigente all’altezza di questo momento, importantissimo ed entusiasmante."
Sulla stessa lunghezza d’onda Passerini: "Bisogna tornare alle grandi questioni (scuola, sanità, politiche sociali, ambiente...); solo così si può costruire un soggetto politico nuovo; separare il processo di aggregazione dal momento dell’elaborazione è mortale. La sinistra ha un grande ruolo che ha in parte smarrito; deve tornare a svolgerlo.