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Castel Belasi

Presso Campodenno, in valle di Non, c'è un castello fantasma...

Caste! Belasi è un castello fantasma: il muro di cinta è ancora alto e compatto, il torrione pentagonale svetta imponente, ma l'interno si sta disfacendo: i tetti sono in parte crollati, le intemperie dilavano i cicli affrescati e sgretolano gli intonaci, i rovi infestano i tre cenili, si arrampicano su finestre e portali e invadono i saloni che ancora cinquant'anni fa esibivano un orgoglioso corredo di mobili, quadri e monumentali stufe in maiolica dipinta.

Un inestricabile viluppo di interessi pubblici e privati e le lentezze della burocrazia hanno penato all'attuale rovina. Nel 1967 Gorfer scriveva: "Belasi è anche un esplicito esempio di castello in rapida rovina causata e favorita da una persistente mancanza di manutenzione e da un subitaneo abbandono." Trent'anni dopo la situazione è peggiorata a tal punto che von Luterotti in "Passeggiate in vai di Non " annota desolato: "La costruzione oggi presenta un tale aspetto di decadimento, che riesce difficile immaginare che fino a una generazione fa era ancora abitata."

Il degrado inizia negli anni Cinquanta, quando i Khuen Belasi cessano di abitare il castello che hanno occupato per cinquecento anni. Un terzo del castello passa a Turrini, che ha sposato la vedova Khuen Belasi. Turrini è uno dei principali responsabili della rovina del maniero: egli vende per somme ridicole tutti gli arredi, comprese le stufe monumentali vincolate dalla Sopraintendenza e lascia l'edificio nell'abbandono totale, scatenando una corsa al saccheggio che dura tutt'ora. Quello che resta del mobilio viene asportato, compreso un raro torchio per le olive che dovrebbe giacere da qualche pane nel Museo degli i e costumi di S.Michele; sono rubate pone e finestre, divelle le assi del pavimento e le inferriate, fra tumate le stufe superstiti...

La proprietà Turrini passa poi a Borga che, interessato solo alla ricca campagna annessa al castello, non ne cura affatto la manutenzione, con il risultato è che Belasi decade sempre di p nonostante un intervento nel 19 da pane della Sopraintendenza e ricostruisce pane della cinta noi .

Dieci anni fa i due terzi rimanenti del castello sono acquisiti da Cozzio, che vorrebbe restaurare l'edificio e fame un centro di convegni e di manifestazioni estive legate all'economia, naturalmente rispettando scrupolosamente l'ambiente. Il suo entusiasmo urta dapprima contro l'immobilismo di Borga e poi contro le complicazioni burocratiche avvenute con il cambio di proprietà.

Nel 1992 infatti il comune di Campodenno acquista il terzo dell'edificio appartenente a Borga per 340 milioni, suscitando l'opposizione della minoranza, irritata dalla disinvoltura e superficialità con cui è stata condotta l'operazione e soprattutto perplessa per la mancanza di qualsiasi indicazione riguardo all'utilizzo del castello e ai costi di gestione.

Immediatamente dopo l'acquisto, un progetto di restauro del castello è affidato all'ing. Cattani, fratello del sindaco, e viene presentata alla Provincia una domanda di contributi che non viene accettata perché il progetto di restauro, di 7 miliardi, non ha il benestare dei Beni culturali. Questi infatti hanno da eccepire quasi tutto e richiedono in pratica un progetto alternativo, progetto che non verrà mai eseguito perché l'ingegnere vuole prima il pagamento delle sue competenze, 350 milioni, innescando un contraddittorio tra i proprietari del maniero per la definizione delle relative competenze. Ad oggi la situazione non si sblocca: la Provincia nega i contributi, non viene presentato un progetto alternativo, i legali consultati dalla Provincia stessa (cui da due anni è stata chiesta una verifica) non arrivano a definire le competenze dei comproprietari e il privato che ha anticipato le spese del preventivo e delle indagini geologiche e statiche non ha ancora avuto il risarcimento. Il tutto complicato dall'avvento di una nuova Giunta comunale nel 1995, certamente di buona volontà, ma sprovvista di mezzi, carente nella documentazione e con le idee piuttosto confuse sull'utilizzo del castello. E' stata creata la Comunione di Castel Belasi per curare i rapporti fra le parti proprietarie e l'azione comune ha portato all'installazione dell'illuminazione esterna e al tamponamento di alcune falle e di tratti di tetto, nonché alla muratura di tutti gli accessi (che tuttavia non ha impedito il recente furto dell'acquasantiera della cappella), ma non è riuscita ad accordarsi su una permuta di terreni che avrebbe dato un nuovo accesso al castello con un colpo d'occhio sull'edificio e sul magnifico tiglio di 500 anni, vero e proprio monumento naturale, sotto il quale erano battute le aste per i pascoli e le malghe.

A fronte di interventi così limitati, il degrado del castello ha ormai varcato la soglia di pericolo e un edificio monumentale fino a ieri ancora integro va in rovina. In questa storia la commistione tra pubblico e privato, o sinergia come la si voglia chiamare, non ha funzionato proprio e forse è proprio il pubblico, il Comune, a costituire la palla al piede di un privato illuminato e, ancora per poco, entusiasta

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