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QT n. 1, 10 gennaio 1998 Servizi

Fra scienza e arte

Le certezze della chimica e la vaghezza di Leopardi: ma bisogna per forza scegliere?

Hanno chiesto fiducia i due prestigiosi scienziati invitati qualche tempo fa dal Comune di Trento a discutere su "Le prospettive sulla scienza, l'avvenire dell'uomo." Cioè di affidarci, con serenità: questo il messaggio del fisico Nicola Cabibbo e del medico cibernetico Valentino Braitenberg, giunti a rappresentare il grande fiume della scienza, in cammino verso il progresso e la verità.

Per chi, come me, scienziato non è, quella sera i lampi di conoscenza sono stati affascinanti: i quark e la deriva dei continenti, il cervello delle mosche e il linguaggio degli ammali più evoluti. E interessanti le riflessioni.

Le etnie umane parlano lingue molto diverse, ma lo fanno tutte espirando l'aria dai polmoni: cosi fondiamo l'unità della nostra specie in modo nuovo ed efficace; e sanno però piangere e ridere anche inspirando l'aria, e così scopriamo un legame nostro profondo con gli animali, che pure in questo modo esprimono il dolore e la gioia. Su una carta geografica, pochi segni di penna ben assestati sono in grado di spiegare l'origine dei terremoti e del deficit d'acqua in alcune aree del pianeta. E' spontaneo allora pensare alle possibili applicazioni pratiche nei campi del clima, delle calamità naturali, della cura delle malattie. Dove ci sono ancora lacune e sono numerose, è stato riconusciuto occorre estendere la ricerca, aggiungere conoscenze a conoscenze, in un processo cumulativo, inarrestabile, ottimistico.

Eppure, uscendo da Palazzo Geremia, dopo che Andrea Zanotti aveva preannunciato con Mario Luzi il prossimo incontro in preparazione al nuovo millennio, confidavo a un amico la speranza che il poeta ci portasse più dubbi degli scienziati.

Quando, nell'aula dove io insegno precariamente la letteratura e la storia, vedo appese sul muro la Tavola pitagorica e quella di Mendeleev, resto ammirato che la realtà molteplice possa essere racchiusa in modelli così regolari e compatti. Talvolta, invece, i giovani del mio Istituto tecnico industriale mi paiono malignamente compressi in quelle dure corazze della matematica, della chimica, della meccanica. Quante volte, dopo aver raccontato che Giacomo Leopardi è per un critico il poeta de "L'infinito", e per un altro il profeta filosofo de "La ginestra", hanno preteso da me che l'ambiguità venisse risolta, e che svelassi loro il detentore della verità. E ogni volta vedo la difficoltà di ammettere che il fascismo possa essere interpretato sia come una malattia improvvisa scoppiata nel corpo sano della nazione, sia come l'autobiografia di una nazione già profondamente malata.

La scienza non ha di questi problemi di prospettiva, hanno affermato i due scienziati sicuri, ma troppo simili fra loro per poter guardare il mondo anche con gli occhi degli altri. E così per difendere la scienza dallo scetticismo l'hanno esposta al rischio di un astorico dogmatismo, quasi che esista da qualche parte la verità, una qualche aggettiva e completa spiegazione della natura, verso la quale andare come a uno scopo finale, lo cerco di incrinare nei giovani la certezza: parlo, da incompetente e con chissà quali imprecisioni, di dualismo e relatività, entropia e indeterminazione.

Per gettare un ponte fra l'ambiguità del poeta e il dubbio dello scienziato.

Poi mi avvicino ali 'ordigno che ci riscalda, a quello che ci illumina, tocco il vestito che ci copre, e riconosco che sono il prodotto delle "certezze" matematiche, delle formule chimiche, dei circuiti elettrici e meccanici. Non voglio indurre nei giovani un atteggiamento antiscientifico.

Ma non sono solo l'amore e il dolore ad apparire inspiegabili dal rigore affascinante della Tavola di Mendeleev, è la scienza stessa del '900 a essere attraversata dal dubbio, dal caso, dall'immaginazione dell'io. Etica è stata la parola non detta nella serata dedicata alla scienza. Quando Valentino Braitenberg si è interrogato sulla clonazione dell'uomo, e ha risposto sicuro: perché no?, io avrei voluto ribattere: e perché sì? A riprova che il rapporto fra etica e scienza è problema che interpella tutti gli uomini.

In questi anni, agli esami di maturità, ho letto centinaia di temi sulla scienza: fra i giovani prevale la paura sull'ottimismo, e anche sulla speranza fondata sull'impegno personale, culturale e politico.

Non dice nulla agli scienziati ottimisti questa paura dei giovani? Eppure qualche giorno prima, nello stesso Palazzo Geremia, in una scenografia meno luccicante, danni Zanarini, fisico anch'egli, aveva raccontato il fallimento e l'angoscia provati ali 'inizio del secolo da Ludwig Boltzmann, che invano aveva cercato di spiegare il mondo riducendo la molteplicità dei fenomeni alla semplicità della meccanica.

Le ragioni contrarie alla scienza sono state attribuite ai giornalisti catastrofìsti e ai poeti romantici. Nicola Cabibbo ha letto, per respingerla, la disperata accusa di John Keats agli scienziati: avete distrutto l'arcobaleno! In quella poesia proiettata sullo schermo, a me sconosciuta e bellissima, più del significato contava però il significante: attraverso il mio debole inglese vedevo la spezzatura dei versi, l'enjambement, in cui la suddivisione ritmica non combacia con quella sintattica.

Talvolta sollecito i miei studenti a leggere a voce alta: "...interminati/spazi... ";"... foglia/riarsa...". Di fronte a una frattura, effettuata da Leopardi e Montale là dove non la si attenderebbe, il lettore legge e rilegge, privilegia talora la lettura sintattica, talora quella metrica, e ogni volta è condannato, per quanto si sforzi, a sperimentare l'insoddisfazione, la perdita, la sconfìtta. La verità poetica appare in quei momenti inafferrabile, perché quelle parole sono insieme unite e divise. Eppure la poesia ci sfida a ritentare, a "inventare " un significato provvisorio ogni volta, a scoprire così il senso del limite.

Anche quando l'arcobaleno è distrutto, e la luna è calpestata, questo valore, conoscitivo, etico, ed estetico, della poesia, nel riuso permane. A fianco e in tensione con la scienza, certo, "invenzione " fragile e provvisoria anch 'essa, e bisognosa del controllo pudico di tante persone semplici ed intelligenti, nello sforzo di ridurre i rischi ai quali è sempre più esposta.

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