Cortine fumogene sul lago Lemano
Quando l’Italia snobba, la stampa affossa e Amnesty condanna
Amnesty International è molto delusa dalla non partecipazione di Paesi come Australia, Germania, Olanda e Polonia alla Conferenza ONU sul razzismo. L’organizzazione è allo stesso modo dispiaciuta che Italia e Stati Uniti abbiano confermato la loro prima decisione di non parteciparvi.
Questa dura presa di posizione da parte di una delle più conosciute organizzazioni per i diritti umani (si può trovare in francese sul sito www.amnesty.ch) fa seguito ai quattro giorni di dibattiti e polemiche che hanno accompagnato Durban II, il secondo round della conferenza sulla piaga del razzismo svoltasi tra il 20 e il 24 aprile nella città svizzera di Ginevra.
Un presa di posizione che ci induce ad una maggiore prudenza rispetto a quella mostrata dai media italiani nel seguire questo evento che, contro ogni aspettativa, si è concluso con un successo diplomatico per l’ONU.
Al centro della scena il conflitto israelo-palestinese: durante la prima edizione della conferenza, svoltasi nel 2001 in Sud Africa, la delegazione israeliana e quella USA si erano ritirate in polemica con alcuni passaggi della dichiarazione finale (www.un.org/durbanreview2009/): “Siamo preoccupati - vi si poteva leggere - per la sorte del popolo palestinese che vive sotto l’occupazione straniera. Riconosciamo il diritto inalienabile del popolo palestinese all’autodeterminazione e alla creazione di uno Stato indipendente, così come il diritto alla sicurezza di tutti gli Stati della regione, compreso Israele”. Qualche riga sopra la dichiarazione sottolineava come “l’Olocausto non deve mai essere dimenticato”.
Niente a che fare con il provocatorio e delirante discorso che il 20 aprile il presidente iraniano Ahmadinejad ha tenuto davanti ai delegati della conferenza di Ginevra: “Hanno inviato - ha detto riferito alla nascita di Israele - dei migranti d’Europa, degli Stati Uniti e del mondo dell’Olocausto per stabilire un governo razzista nella Palestina occupata”.
Un modo per appropriarsi di una lotta che non gli appartiene, quella del popolo palestinese. I cui rappresentanti alla conferenza hanno risposto che “la causa palestinese appartiene ai palestinesi”, aggiungendo di non avere alcun interesse ad inserire nella dichiarazione finale della conferenza il tema del conflitto israelo-palestinese. Aprendo così la strada alla votazione consensuale, da parte dei 182 rappresentanti dei Paesi presenti, del documento finale, fra lo stupore di tutti gli osservatori che si attendevano ad un fiasco.
Un accordo reso più facile anche dalla posizione moderata di Paesi islamici come il Pakistan e l’Egitto, che hanno accettato che nel testo non venisse inserita la condanna della diffamazione delle religioni. Negli intenti dei Paesi musulmani essa avrebbe dovuto rispondere all’islamofobia crescente generata dalla “lotta al terrorismo” post 11 settembre, con il rischio però di andare a cozzare contro la libertà di espressione.
Il timore per eventuali posizioni antisemite espresse dalla conferenza era dunque inconsistente e c’è il fondato sospetto che questo spettro sia stato agitato ad arte e in modo opportunistico dal Governo Berlusconi per non partecipare all’incontro di Ginevra.
La ragione della defezione italiana - lamentata da Amnesty - sta più realisticamente in alcuni dei punti votati all’unanimità a Ginevra lo scorso 24 aprile. Tra cui quello nel quale la conferenza contro il razzismo chiede agli Stati di “mettere in opera tutte le misure per combattere il persistere di atteggiamenti xenofobi nei confronti degli stranieri e degli stereotipi negativi nei loro confronti, in particolare da parte dei politici, di agenti incaricati dell’applicazione delle leggi, del personale dei servizi di immigrazione e dei media”(da www.rue89.com).
Chissà allora che non sia il caso di fare tesoro dell’invito di Amnesty International, che “incoraggia fortemente i governi che si sono ritirati dalla Conferenza o che non vi hanno partecipato a testimoniare il loro impegno a combattere il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l’intolleranza”.