Per amore sesso o amicizia
Le nostre relazioni al tempo di Facebook
Io ci vorrei vedere più chiaro. Vorrei riuscire a penetrare nel mistero di un uomo e una donna, nell’immenso labirinto di quel dilemma. Aveva ragione Giorgio Gaber, anch’io vorrei vederci più chiaro. O almeno cercare di gettare uno sguardo sull’alchimia delle relazioni affettive tra un uomo e una donna e sul loro dilemma. Perché in fondo tutto ruota intorno ad un’unica esigenza: quella di condividere con qualcuno emozioni, piaceri, sguardi, progetti. Facile, a dirsi. Facile anche a farsi, se non si incappasse nel dubbio che tutto quello che facciamo per conquistare uno straccio di relazione sia vano, vacuo, vuoto.
Ma non è sufficiente a farmi desistere dal dare forma ad un’inchiesta del tutto particolare. È bene che i lettori di QT sappiano che di seguito non troveranno la sintesi quantitativa dei dati psico-sociologici utili a capire il fenomeno “amore”. Troveranno soltanto un viaggio. Che è prima di tutto un percorso personale, fatto di incontri, voci, appunti su un taccuino. E di relazioni che ruotano attorno ai nuovi mezzi di comunicazione: sms, chat, e-mail. Senza fili e senza tempo. Un viaggio, dunque, attraverso tre storie “normali” e il confronto con chi, per professione prima che per passione, ci può aiutare a inquadrare meglio quei racconti, e la società nella quale sono nati e si sono sviluppati. Ad essi, in calce all’articolo, se ne aggiungono altri.
Ma andiamo con ordine.
Caterina, 19 anni
Incontro Caterina un caldo e soleggiato pomeriggio a ridosso di Pasqua, in una deserta biblioteca di un sobborgo di Trento. La prima impressione di fronte a lei è che sia una ragazza dal carattere deciso. Impressione che viene confermata subito dalla nostra chiacchierata. Non usa preamboli, Caterina, e va direttamente al cuore della questione: “L’ho mollato io, dopo due mesi. Lui è un militare di 22 anni e l’ho conosciuto su Netlog (un sito su cui si possono caricare fotografie e scambiare messaggi e comunicare con altri utenti, sul modello di Facebook, ndr). Ci siamo visti in foto e ci siamo piaciuti. Ci siamo anche incontrati 4-5 volte, ma comunicavamo per lo più in chat o con gli sms”.
Non esita a raccontare, Caterina; anche se quando le chiedo perché è finita tradisce una certa emozione, spostando lo sguardo verso la parete con i libri per bambini e schiarendosi la gola: “È finita quando la sua ex si è rifatta viva e l’ha fregato con la storia che era incinta”. Era vero? - azzardo poco convinto. “Certo che no, - mi risponde stizzita - era una balla per riportarlo da lei, ovvio. E lui c’è cascato, nel senso che anche quando ha scoperto che non era vero non è riuscito più a dimenticarla”. Giochicchia con gli anelli, mentre la voce si fa più aspra: “Io ci stavo troppo male e, dopo che lui mi ha tirato buca per l’ennesima volta al pub, un’amica mi ha convinto a lasciarlo. L’avrei fatto comunque, eh! Solo che lei mi ha dato la smossa giusta e allora quella sera gli ho scaricato addosso una serie di sms in cui gli ho detto tutto quello che pensavo di lui, che era uno stronzo e via dicendo. Alla fine ero proprio soddisfatta, mi sentivo finalmente libera”.
Prende fiato ed io ne approfitto per chiederle perché abbia usato i messaggini del cellulare per lasciarlo, invece di incontrarlo di persona. Alla mia domanda lei si schermisce e risponde di essere abituata a risolverli faccia a faccia i suoi problemi, ma che stavolta non poteva aspettare di vederlo, perché doveva dirglielo subito quello che pensava. Attendo che prosegua e infatti aggiunge: “Le mie amiche, invece, sono abituate a usare gli sms per farsi fuori tutte le rogne, perché così hanno più coraggio e riescono a superare l’imbarazzo. Altrimenti certe cose non ce la fanno a dirle. È un po’ come quando si vuole conoscere un ragazzo in un pub. Devi essere un po’ sbronza per avere il coraggio di avvicinarti e presentarti”.
Riporto la discussione sull’uso degli sms e lei non si fa pregare: “Pensa che ho due amici, un ragazzo e una ragazza, che si piacciono, che escono con la mia stessa compagnia, ma che sono così imbarazzati che quando siamo attorno al tavolo del bar non si rivolgono neanche la parola e preferiscono comunicare tra loro con i cellulari. In pratica parlano solo per sms”.
Il termine “imbarazzo”, in tutta la sua scala semantica, è ricorrente nella narrazione di Caterina e non posso celare lo stupore quando mi racconta che con un nuovo ragazzo che ha appena conosciuto è arrivata a scambiarsi anche 90 sms al giorno. Le chiedo se questo non sia indice di una relazione pesante, quasi ossessiva, ma lei ride e con un gesto della mano scaccia questa possibilità: “Ma no! Anzi. Credo che se io lo vedessi tutti i giorni diventerei stupida. Non mi sentirei libera, mi mancherebbero i miei spazi...”.
Non mi sembra il caso di farle notare che 90 sms al giorno rischiano di occuparli, eccome, gli spazi. Chiudo il taccuino e mi proietto mentalmente verso la seconda tappa del viaggio. Mi aspettano gli sms, sempre quelli.
Anita, 30 anni
Anita è molto graziosa. Le luci basse del pub in cui andiamo per la nostra chiacchierata non possono oscurare i tratti delicati del suo volto. Che si increspano in qualche piccola ruga solo quando inizia a raccontare la sua storia. Si vede che l’ha segnata, anche se ora, a distanza di anni, ha chiuso per sempre con lui.
Lui era il suo moroso fin dai 16 anni. Adolescenza e giovinezza, sempre insieme. Al liceo, durante l’università, mentre lavorava. Inevitabile la convivenza, lunga, giunta al quinto anno senza particolari scossoni. Finché il suo sesto senso le dice che lui è cambiato. Al disordine naturale che lo portava a dimenticare tutto in giro per casa, è subentrata una strana attenzione per i dettagli. Una cosa, in particolare, la stupisce. Mentre in passato era solito dimenticare il suo cellulare ovunque, ora non se ne separa mai. Tranne... “tranne quella volta che io dovevo fare una telefonata a sua mamma. Così ho preso il suo cellulare mentre lui era in bagno e ho iniziato a scorrere la rubrica per trovare il numero. E cosa ti trovo? Una lunga serie di telefonate di una certa Fernanda”. Un sorso di birra e le parole di Anita si caricano di tensione: “È stato inevitabile, a quel punto, frugargli tutto il cellulare. Così ho trovato i messaggi che le inviava e ho capito”. Da quella amara scoperta seguono mesi di tira e molla con lui, che non ammette nemmeno l’evidenza. Ciò nonostante, Anita resiste per tutto l’inverno, che diventa un incubo, specialmente per l’ossessione del suono che fa il cellulare quando riceve un messaggio: “Pativo un’ansia da beep-beep degli sms. Mi svegliavo con questa ossessione, quando lui alle 6.30 si chiudeva in bagno col telefono e io sentivo il suono dei messaggini che gli erano arrivati durante la notte”.
L’ansia perseguita Anita fino a febbraio, quando finalmente decide di andarsene. Le si legge negli occhi che non è stato facile superare quei momenti. Ma ha voglia di parlare e la lascio fare: “Ci ho messo un anno per superare tutto. Ora sto finalmente bene”. Un sorriso trova spazio sulle labbra, che si richiudono sottili quando la conversazione abbandona la vicenda personale e si inoltra nelle considerazioni più generali: “La vita di coppia non ti dà scampo, ti porta inesorabilmente a percorrere gli stessi passi: corteggiamento, mutuo, matrimonio, gravidanza, educazione dei figli... Per molte coppie questi passaggi sono solo occasioni per distrarsi dalla noia, un motivo per non lasciarsi. Nient’altro”.
Complice l’oscurità del pub, il dialogo si blocca in un’atmosfera cupa, interrotta solo dai meccanici sorsi di birra. Rompo il silenzio chiedendole se ora ha qualche nuovo amore che possa farle cambiare idea al riguardo. Anita piega il capo, poco convinta di quello che sta dicendo: “Bah, c’è un tipo che mi stuzzica. Ci siamo conosciuti grazie ad amici e ora c’è la possibilità di tenersi in contatto via mail e chat. Ma ‘ste cose non mi convincono molto...”.
Peter, 37 anni
Appena Peter si siede sul divano della redazione si aprono le cateratte. Peter è un libero professionista che per lavoro gira il mondo e che dopo la fine del suo matrimonio ha deciso di buttarsi per un mese nelle chat dei siti per single. “Un mese in cui non ho fatto nient’altro. Trenta giorni collegato a Meetic (sito che favorisce i contatti tra possibili partner, ndr) e sono riuscito a collezionare venti appuntamenti”. Gli chiedo di ripetere la cifra perché stento a crederci. Lui ride di gusto e conferma: “Venti, te l’assicuro. E ho trovato di tutto. Una sera mi sono presentato elegante per incontrare una donna altoatesina. Le ho suonato al campanello di casa e lei mi si è presentata vestita in pelle nera brandendo un frustino sadomaso”. Immagino la scena e strabuzzo gli occhi. “Ma si può andare anche oltre: una ragazza al primo appuntamento mi ha chiesto di picchiarla e una perfino di strapparle i peli del pube a morsi. Però qui si scivolava nel patologico e mi sono rifiutato”.
Se non fosse per la trasparenza con cui Peter si racconta verrebbe da dubitare delle sue storie, che invece sono del tutto vere. E a volte si mescolano al dramma: “Sono uscito con una donna che a metà serata mi ha confessato che di lì a una settimana sarebbe stata operata per un tumore e che quella notte con me voleva prendersi una botta di vita, visto che poteva essere l’ultima”.
L’umanità incontrata sulle chat è variegata e, salvo qualche caso, non appartiene al patologico, anzi. Peter lo conferma: “Ci sono persone normali che usano le chat per conoscere altra gente. Persone che magari non si piacciono, o che sono troppo timide, oppure che dopo la fine di una relazione hanno bisogno di rifarsi in fretta una vita. E trovi tanto uomini quanto donne. Solo sul sito che frequentavo io, ad esempio, era possibile incontrare più di duecento donne trentine”. Il dato mi impressiona, ma non ho tempo di rifletterci perché i racconti di Peter incalzano: “Puoi però trovare anche delle fregature. Una volta a Padova dovevo incontrare una tipa vista solo in foto sul sito e quando mi sono presentato all’appuntamento mi si è fatta avanti una che aveva messo una foto di venti chili prima. Oppure se ci sai fare puoi divertirti ad alzare la posta. Una mattina ho lasciato sul sito il seguente messaggio: ‘Voglio vederti, bendarti, spogliarti e scoparti’. Non ci crederai ma poche ore dopo avevo già due risposte positive e la sera ho verificato di persona, proprio in Trentino: richiesta rispettata”.
La discussione è pirotecnica e Peter non si sottrae alle domande, nemmeno quando gli chiedo se un sistema del genere non abbia dei rischi. “La chat è comoda perché azzeri i tempi e gli spazi. Ha un obiettivo e in breve lo puoi realizzare. Tuttavia se entri troppo nel sistema ti smalizi e perdi un certo contatto con la realtà. La stessa donna che ha accettato di farsi bendare e scopare senza che ci conoscessimo se avesse ricevuto il mio messaggio fuori dalla chat, mettiamo in un approccio al bar, mi avrebbe denunciato”.
Non tutto però, in chat, per lui è finalizzato al sesso: “Ho costruito anche grandi amicizie, che non si sono perse nel tempo perché sono sempre a portata di clic. Non possiamo demonizzare questo strumento. Dipende da come lo si usa. C’è chi ci cerca l’amore, chi il sesso, chi qualcuno che lo ascolti quando non riesce a comunicare con nessuno”.
Ringrazio Peter e lo saluto con una calorosa stretta di mano. Il suo sorriso complice lascia intendere che forse dovrei dare un’occhiata più approfondita ai siti di cui abbiamo parlato. Ricambio il sorriso come dire “figurati!”, ma appena chiude la porta della redazione raccolgo le mie cose e scappo a casa. Un’ora dopo il mio profilo su Meetic è pronto. Intanto vediamo la versione base (gratuita), mi dico, ed inserisco l’annuncio di presentazione, che prima di essere pubblicato deve passare il vaglio dei gestori del sito. Scrivo un messaggio misterioso, elegante, quasi troppo raffinato. Sono compiaciuto.
Il giorno dopo una mail mi avverte testuale che “purtroppo, dopo averlo letto, il testo del tuo annuncio non può essere accettato”. Stizzito, sconnetto la rete e allontano definitivamente l’idea. Apro, invece, un documento vuoto per scrivere l’articolo.
Vorrei vederci più chiaro. Vorrei riuscire a penetrare nel mistero di un uomo e una donna nell’immenso labirinto di quel dilemma.
Gaber torna a ronzarmi nelle orecchie, mentre premo i tasti del portatile. D’altra parte il dilemma, alla fine di questo breve viaggio, non l’ho sciolto. Rimane solo riservato. Come una prognosi.
Lia Inama (life-coach ed esperta di dipendenze affettive)
Che effetto possono avere i nuovi mezzi di comunicazione sulla vita di coppia?
Farei un distinguo. Gli sms e le mail possono risultare degli strumenti efficaci all’interno della coppia per scambiarsi pensieri, tenerezza e comunicarsi le reciproche emozioni. Ma possono anche diventare un modo per “tradire non tradendo”, ovvero per rifugiarsi in un rapporto virtuale, illudendosi di costruirne un altro che lo sostituisca.
Questo fenomeno riguarda solo le giovani generazioni?
I giovani sono nati con questi strumenti e quindi ne hanno interiorizzato il sistema. Per loro a volte è più facile cercare in rete l’affetto e l’ascolto che in famiglia spesso non trovano. Inoltre la rapidità di questi media si trasmette alla rapidità delle loro relazioni, che subiscono l’effetto zapping, cioè possono essere cambiate con un semplice clic, come cambiare canale.
Lo stesso discorso si può fare anche per gli adulti?
L’uso delle chat da parte degli adulti consente loro di arrivare più rapidamente a molteplici scopi. Come conferma la storia di Peter, in rete si può cercare amicizia, sesso o anche l’amore. Credo che in questo senso esistano delle spiccate differenze di genere: le donne sono più propense a cercare l’amore, mentre gli uomini rincorrono di più l’avventura sessuale. Questo spiegherebbe perché molti maschi che usano le chat hanno già una relazione in corso, mentre la maggioranza delle donne è single.
Questi mezzi di comunicazione possono favorire la dipendenza affettiva?
Non credo. Sono convinta, invece, che possano diventare essi stessi delle dipendenze, portando le persone a dedicargli ogni minuto libero.
So di persone che rinunciano alla pausa pranzo pur di andare subito a chattare...
Appunto. Questa dipendenza denota la difficoltà di mettersi in gioco e di affrontare la fisicità dei rapporti: più facile evadere in chat, inventandosi personalità diverse.
Maurizio Teli (sociologo delle nuove tecnologie)
L’uso delle nuove tecnologie può modificare le relazioni sociali?
Le nuove tecnologie sicuramente modificano il contesto sociale in maniera quantitativa, ma non possiamo ancora affermare che ciò avvenga anche a livello qualitativo.
Ovvero...
Attraverso gli sms o le chat io posso annullare spazio e tempo, quindi entrare in contatto in ogni momento con persone lontanissime per un numero imprecisato di volte. Ciò significa che le possibilità comunicative sono enormemente amplificate, al di là delle possibilità che c’erano in passato. Questa è una novità che incide sui rapporti sociali. Ma la qualità delle relazioni e soprattutto le loro istanze non è detto che siano profondamente cambiate. Ora, in fondo, si fa in chat quello che in passato si faceva in discoteca: mettere in luce le caratteristiche che possono essere più attraenti per una persona che si vuole conoscere, riproponendo il modello che si crede vincente in quel particolare contesto.
Cambiano, dunque, gli strumenti, ma non le ragioni profonde che spingono ad usarli.
La discoteca, il bar, l’agenzia matrimoniale, i contatti degli amici, gli sms, le chat, sono modalità diverse della medesima esigenza: conoscere e farsi conoscere.
Un’esigenza non certo nuova...
Infatti. Da questo punto di vista non è cambiato nulla. È cambiato, semmai, l’intensità di risposta allo stimolo perché il mezzo è molto più rapido.
Le nuove tecnologie, quindi, sono paradossalmente conservatrici?
Lo sono quando rafforzano il modello sociale dominante. Non lo sono più quando invece offrono la possibilità alle fasce minoritarie o discriminate di trovare il proprio spazio ed uscire allo scoperto, come ad esempio accade nelle chat per omosessuali. Provate solo a pensare quale grande novità sociale rappresenti uno strumento simile per un gay di un piccolo paese di una chiusa valle trentina.
Due storie d’appendice: Le testimonianze di due giornalisti di QT
La bella e il detective
Cancun, Messico. Con Jennifer, 19 anni, bellissima, brillante, disinibita, fu colpo di fulmine: la vidi in piscina, attorniata da altre cinque-sei persone; entrai in acqua verso di lei che subito si girò e mi gettò le braccia al collo dicendomi “Ti desidero, ti voglio”, in inglese, in francese, in spagnolo. Ma io non la volevo così, volevo un sentimento che sapesse crescere; ci innamorammo entrambi, ma pasticciammo. L’ultimo suo giorno di vacanza non ci capimmo di brutto; la ricordo andarsene via, a testa bassa, bella e dolente, mentre io non mi capacitavo di quanto accadeva. Nella notte si ubriacò fino a perdere conoscenza, mi dissero.
Tornato a casa, provai a mettere ordine nel mio animo sconquassato. No, non era possibile che una storia finisse così: dovevo trovarla, dovevamo spiegarci.
Avevo il nome di battesimo, la città, la data di partenza dal villaggio: quanto bastava per trovare l’indirizzo. Provai telefonando all’albergo; poi con alcuni hacker; infine con un detective. Quest’ultimo mi consigliò le agenzie investigative on line.
Trovai un sito dove si può indire un’asta tra i detective internazionali. Si indica l’oggetto dell’investigazione, e i detective rispondono presentando credenziali e preventivo. Mi risposero in 7-8, con preventivi tra i 300 e i 4000 dollari. Scelsi, tra i più economici, quello a naso più affidabile. Un sedicente ex agente della Cia. “Tempo 3, 4 giorni e le fornisco la mail - mi rispose - Mi pagherà se sarà soddisfatto”. Ok.
In effetti mi fece avere un indirizzo, che però non mi convinceva. “Provi a scriverle” mi disse.
“Sei tu?” intitolai la prima mail. Sì, era lei: “Non ho fatto che pensare a te”. Seguì uno scambio di mail appassionate: lunghe le mie, brevissime le sue; momenti dolci e intensi, appannati solo dall’esilità delle sue risposte. Pagai il detective. Poi, di colpo, Jennifer smise di scrivermi.
“Era il detective che ti rispondeva” mi suggerì un amico. Parole che mi fulminarono: ripercorsi tutte le mail... certo, è vero, è così!! Le sue rispostine brevi, insipide... e per di più con alcune frasi sbagliate, parole improbabili... e poi nessuna foto...
Scrissi al detective, che non rispose, e al sito, che garantì l’esclusione del detective, il che poi non avvenne. Ero stato turlupinato.
E Jennifer? Non l’ho più cercata. Di lei mi rimane, dolce, il ricordo: le sue braccia al collo, il volto disegnato da Tiziano, gli occhi verdi, le labbra che sussurrano “Ti desidero, ti voglio”.
Amore elettronico
“Ciao Fausto. Tu non mi conosci, ma faccio Lettere anche io, un anno prima di te. Ci incrociamo spesso nei corridoi dell’università. Volevo solo dirti che mi piaci. Sissi”.
Non capita tutti i giorni di aprire la posta elettronica e di trovarci dentro un messaggio così. La prima cosa che mi venne da pensare è che lei avesse sbagliato persona.
E infatti s’era sbagliata.
Aveva scritto a fausto.n@libero.it, studente di Lettere a Modena, ma voleva scrivere a fausto.m@libero.it, studente di Lettere a Macerata. Le avevano dato a voce l’indirizzo, e lei aveva capito male.
Le scrivo, scopriamo l’errore, le incredibili coincidenze ci divertono un sacco.
Continuiamo a scriverci. In poche settimane, entriamo in confidenza. Senza telefonate. Troppo tradizionali. Il telefono lo usiamo solo per mandarci sms: 3-4 a settimana. Ma per lo più sono e-mail: quasi una al giorno.
Poi lei butta lì: “Chattiamo?”. L’appuntamento è ogni due sere alle 19. Siamo sempre puntualissimi entrambi. Ci mandiamo anche le foto, per posta tradizionale. Io la trovo carina, lei mi trova carino. “Quando ci si vede?”, mi chiede.
Modena e Macerata non sono così lontane. Ma non so se è una buona idea. Mi sembra bello così, scriversi a distanza. E se poi ci vediamo e non ci piacciamo? Ma lei insiste. E allora è deciso: ci si vedrà ad agosto. Andrò a trovarla io, ci faremo una settimana di mare.
Ma poi, all’improvviso, cambia tutto: io conosco Roberta, e mi metto con lei. L’estate è appena iniziata.
Non ce la faccio a dirlo a Sissi. Perché poi? Mica eravamo fidanzati, mi dico. Ma non c’è niente da fare: non ce la faccio.
Le scrivo sempre di meno. L’ultima e-mail è di inizio luglio. Le dico che forse non potrò andarci, da lei, ad agosto. Altri impegni...
Poi non le scrivo più. Non rispondo alle sue e-mail, né ai suoi messaggi. “Che fine hai fatto?”, mi chiede nell’ultima e-mail che mi manda. “Ti sei stufato di me?”.
Finisce lì, tra me e Sissi.
Me ne dimentico presto, fino a che, tre anni dopo, durante una piovosa domenica di novembre, mi capita di ritrovare dentro una scatolina le lettere che mi aveva scritto. Rivedo il suo viso, e mi sento uno stronzo. Sento il bisogno di scusarmi con lei. Decido di scriverle. Niente e-mail. Uso la carta.
“Non so se apprezzerai questa lettera o se invece mi disprezzerai ulteriormente. Non so nemmeno se mi risponderai. Se vorrai farlo ne sarò contento, anche se dovessi scrivermi che sono stato uno stronzo”.
Non ha risposto.