Il fascino (in)discreto delle donne puma
Negli Stati Uniti le chiamano “cougar women” e ci hanno pure fatto una fiction. In Italia sono le “donne puma”, ovvero donne che hanno relazioni con uomini più giovani. Lontano dagli inevitabili luoghi comuni, tre storie di chi ha scoperto l’amore (oppure il sesso) invertendo la clessidra dell’età.
“Donna matura cerca giovane per relazione. Evitarsi futuri Peter Pan”. Il messaggio potrebbe essere quello di una “puma”, donna tra i quaranta e i cinquanta, alla ricerca di un uomo più giovane, in grado, a differenza dei cinquantenni d’oggi eterni adolescenti, di non farsi ossessionare dalla ruga in più o dalla linea non proprio scheletrica della propria partner.
La memoria musicale, inevitabilmente, corre alla “Mrs. Robinson” di Simon and Garfunkel, indimenticabile colonna sonora de “Il laureato”, in cui un giovane Dustin Hoffman veniva irretito da un’affascinante, quanto matura, Anne Bancroft.
Tuttavia, quando si abbandona la finzione cinematografica e si lascia spazio alle emozioni e ai racconti delle persone in carne ed ossa, lo scenario muta in un caleidoscopio di colori e sfumature, e le note si prestano a significative variazioni sul tema. Pure il tema varia. Di storia in storia, di volto in volto.
Matilde, 48 anni
Matilde è una “puma” sui generis. Innanzi tutto ha sempre avuto relazioni con uomini più giovani (fosse pure di un solo anno) e poi perché la storia che racconta appartiene agli anni Novanta, quando lei era una graziosa bibliotecaria di 33 anni e lui un giovane studente di 21. Lo scenario è quello a cavallo tra la pianura padovana e le montagne bellunesi. “Ero in crisi con il mio convivente e avevo investito tutte le energie nel lavoro che svolgevo in un paesino fuori Padova. Non avrei mai pensato che proprio in quel periodo, quando di uomini ne avevo fin sopra i capelli, avrei incontrato l’amore”.
In effetti, la storia tra Matilde e Francesco inizia con l’arrivo in biblioteca di un ragazzone da poco iscrittosi all’università, che inizia ad attaccare bottone, mentre lei è indaffarata a impilare volumi. Poi, forse per un libro di traverso, la pila di libri sfugge dalle mani della donna e si rovescia a terra. Istintivamente lui si china per aiutarla a raccoglierli e i loro volti si trovano a brevissima distanza. Un’energia strana scorre tra loro, disorientandoli. Lei, come a voler respingere un non detto già evidente, chiarisce subito: “Ho 33 anni”. Lui non fa una piega: “Io ne ho 21”. E se ne va senza aggiungere altro.
Da quel giorno, per mesi, lui passerà in biblioteca per chiacchierare, mentre lei continuerà a dirsi “ho 33 anni, sono già incasinata di mio, non ho bisogno di altre rogne”, quasi per esorcizzare un sentimento che sta per arrivare. Il mantra aiuta Matilde a scacciare le idee strane dalla sua testa, finché il destino non decide di riposarsi su un divano. Il divano in questione dovrebbe passare dal primo piano di una casa al furgone di Matilde, che sta traslocando. L’impresa è improba e allora lei chiede una mano a Francesco. Al termine del lavoro i due finiscono in una pizzeria ed è proprio allora che lei si dice “perché no?”. “Fu durante quella serata che capii che non ero di ferro e che non potevo continuare a forzarmi”. All’uscita della pizzeria lei lo bacia e con grande sorpresa capisce di essere la prima, per lui. “Oh madonna, pure vergine!” pensa. Lui è estasiato e quando è tempo di tornare a casa la sua camminata è incerta, stordita.
Matilde, dopo quella sera, proverà a tornare sui suoi passi, ma non c’è niente da fare, la passione è più forte. “Ricordo che la prima volta che abbiamo fatto l’amore sono andata a prenderlo in aula studio all’università. Quando sono entrata tutti si sono girati a guardarmi. Pure lui, che è sbiancato e si è avvicinato in apnea. Non ci siamo detti nulla, ma siamo finiti dritti a casa mia”. I ricordi di quello che è successo dopo sono offuscati. Lei rammenta solo che lui indossava dei pantaloni bianchi. Puri.
La strada che porta Francesco verso la convivenza a casa di Matilde trova nella madre di lui un ostacolo difficile da superare. “Sua madre non perdeva occasione di fargli capire quanti svantaggi ci fossero a stare con una più vecchia. Gli mostrava pure le anziane del paese e gli chiedeva cosa avrebbe fatto quando io sarei diventata così. Eppure lui non ha battuto ciglio ed è venuto a stare da me”.
Una volta insieme, lei lo prende per mano e lo accompagna a scoprire se stesso, per passaggi lenti. Una sorta d’iniziazione progressiva che culmina con la casa dei sogni in montagna, il matrimonio e la nascita di Virginia. Eppure, proprio all’apice della loro storia, crolla tutto. “Il parto non fu affatto facile e quando si rese necessario un cesareo d’urgenza e lo chiusero fuori dalla sala parto, lui si sentì escluso”. L’entrata in scena della bambina è vissuta da Francesco come un tradimento da parte di Matilde. I due iniziano a prendere strade diverse e su quella di lui irrompe un’amica: “Una vera gatta morta. Di quelle che si divertono a rompere i matrimoni. Lei gliel’ha fatta annusare e lui c’è cascato. Il bello è che non hanno mai combinato niente”. Ma non è una questione di sesso. Lui cerca nell’amica la Matilde che aveva prima della nascita di Virginia. “La giovane età e la poca esperienza gli hanno impedito di capire che quella crisi si poteva superare. Si è fatto ammaliare dall’amica, che tra l’altro quando lo ha visto ufficialmente separato da me si è volatilizzata”.
L’inevitabile separazione costringe a dare un taglio secco al passato. Matilde, soffocata dal cielo veneto, viene ad abitare in Trentino, dove con Virginia ed un nuovo compagno dà vita ad un altro nido. Anche Francesco si costruisce un’altra famiglia, tra i monti e la nebbia.
Ma per lui, ormai, non è più il tempo dell’amore totalizzante, coraggioso, che solo un giovane che non si è ancora ingrigito può dare. L’amore ai tempi dell’Amore. Quando una donna impilava libri ed un ragazzo la osservava ammaliato, infilato nei suoi pantaloni bianchi.
Lorenzo, 32 anni
“Ho avuto diverse donne più vecchie di me. In loro ho inseguito il sogno di soddisfare i miei desideri sessuali senza tante paranoie, con leggerezza. Ed ora, invece, cerco l’esatto contrario. O forse no”. Lorenzo è diretto nell’esprimere i suoi sentimenti, che a volte potrebbero apparire contraddittori. Ma sarebbe sbagliato esprimere giudizi esterni, incapaci di cogliere l’indeterminatezza posta tra il desiderio e se stesso. Perché è il desiderio il protagonista della sua storia.
Lui, all’epoca ventottenne, fascino latino, single. Lei, Barbara, 42 anni, fisico appariscente, sposata con un uomo che Lorenzo conosce abbastanza bene. Si incontrano ad un matrimonio di un amico comune e grazie alla reciproca estroversione non tardano ad entrare in confidenza. Qualche battuta, una risata, due giri di chitarra e tempo qualche ora si ritrovano ad una stazione di servizio, nascosti dietro una cabina telefonica, travolti da una passione esplosiva, animalesca. È lei a condurre il gioco. Lui segue la scia, entusiasta di quel sesso ruggente come il rombo di una motocicletta, perfetta sintesi dei desideri più reconditi, accumulatisi nel corso degli anni.
Dopo quella prima volta gli incontri procedono con regolarità e tra loro l’intesa sessuale è appagante. Eppure qualcosa sembra inceppare quel meccanismo perfetto. Sul cellulare di Lorenzo cominciano ad arrivare decine e decine di sms, degni più di un amore adolescenziale sbocciato tra i banchi di scuola che di un gioco tra adulti consapevoli. “Non passava giorno che lei non mi inondasse di dichiarazioni d’amore travolgenti, in cui mi confidava la sua noia, la sua stanchezza e il suo desiderio di tornare indietro con gli anni”. Tuttavia per Lorenzo la loro non è nemmeno una relazione, ma solo un’occasione per alzare al massimo grado il brivido del piacere, e glielo dice: “Ho voluto mettere subito le cose in chiaro con lei, senza giri di parole. Tra adulti si fa così e funziona. Ma lei sembrava non capire e di fronte ai miei discorsi brutali restava indifferente, salvo poi chiedermi magari quante volte al giorno la pensassi”. Un dialogo tra sordi che avrebbe potuto dare un taglio definitivo a quel rapporto. Ma non è così. Da un lato il sogno di un’adolescenza inseguita fuori tempo, dall’altro l’occasione di spingere il limite del proibito sempre più in là. Un mix esplosivo che porta Lorenzo e Barbara a restare impigliati in una rete tanto conturbante quanto vischiosa.
Le performances si susseguono a ritmo serrato. “Una sera ero a casa di lei e c’era anche suo marito. Ad un tratto lui decide di andare a letto e sparisce in camera. Lei non perde tempo e appena lo sente ronfare sale a cavalcioni su di me. Iniziamo un rapporto che però non riesco a finire. È troppo assurdo: il mio sguardo è diviso tra il corpo di lei e la porta aperta della camera dove il marito sta dormendo”. Ma è l’unica occasione in cui Lorenzo non accetta di portare a termine la sfida. Finisce in una spirale che passa dall’eccitante al grottesco. Una volta si salutano nel parcheggio di un bowling e lei, già seduta al posto di guida della sua macchina, lo richiama indietro e quando lui si avvicina all’automobile, lei abbassa sia il finestrino che la zip dei suoi pantaloni. Il resto viene coperto dal traffico notturno della statale che corre lì a fianco. Un’altra volta è una vecchia utilitaria di Lorenzo, parcheggiata una notte d’estate sotto un condominio di periferia, ad ospitare un’acrobatica esibizione, offerta magari allo sguardo incredulo di qualche nottambulo nascosto dietro un davanzale. L’immagine risulta piuttosto bizzarra: una portiera aperta e una coppia che non trattiene la passione, fuori e dentro l’automobile.
Tuttavia quella di Barbara comincia a diventare un’ossessione e quando, un giorno, lui se la trova perfino davanti alla porta di casa dei suoi genitori, capisce che è tempo di intervenire definitivamente. “Continuavo a ripeterle che da me non poteva avere quello che desiderava, ma lei mi restava attaccata, non mi lasciava respirare. C’è voluto un anno prima che capisse come stavano le cose. Un’eternità”.
Dopo quell’esperienza, Lorenzo incontra altre due donne più vecchie di lui, con le quali instaura dei rapporti senza troppe pretese. “Credo che i maschi che hanno relazioni con una donna più matura appartengano a due categorie: quelli che la presenterebbero ad amici e genitori e quelli che non lo farebbero mai. I primi sono innamorati, i secondi cercano solo di inseguire il mito della donna che ti mette a tuo agio, con la quale è tutto chiaro fin dal primo sguardo”.
Lorenzo, in fondo, è un uomo che ha cercato di incrociare quello sguardo, per vivere con leggerezza. E che ora non sa se restare sulla strada ad aspettarlo o se girarsi indietro, in cerca di un volto da presentare ad amici e genitori. Che difficilmente, però, potrà avere gli occhi enigmatici di un puma metropolitano.
Silvia, 53 anni
Non è difficile rendersi conto subito che la storia di Silvia ha qualcosa di particolare, che trascende i luoghi comuni e che rende il racconto unico. Il bar nel quale ci incontriamo potrebbe ostacolare la narrazione di vicende così intime, eppure attorno al tavolo si crea un’aura protettiva. Come se si trattasse di una favola. Ed in effetti sono proprio queste le parole che Silvia usa per definire la sua storia d’amore con Matteo: “È stata una favola”.
Il tutto ha inizio dieci anni fa nel locale dove lei, quarantatreenne separata con due figli, lavora. Durante una festa di carnevale un giovane trentenne, bello, colto, ricco, la vede, ne rimane incantato e comincia a corteggiarla. “Dopo quel primo incontro a cui non avevo badato, lui ha iniziato a frequentare il locale e a lasciarmi messaggi e poesie, con in calce il suo numero di telefono. Ma io me ne guardavo bene dal chiamarlo. Anzi, la sua corte mi metteva in difficoltà e più di una volta sono stata costretta a cacciarlo”.
Ma lui non demorde. Senza mai perdere il buon gusto e la raffinatezza che lo contraddistinguono, seguita la sua opera di corteggiamento, finché una sera accade quello che Silvia non avrebbe mai immaginato. “Mi ricordo che venne in compagnia della sua ragazza, con cui si stava lasciando. Quando li vidi entrare insieme mi innervosii senza motivo apparente e cominciai a sentire le farfalle nello stomaco. Poi loro due litigarono e lei se ne andò. Lui, invece, rimase nel locale e da quel momento non lo cacciai più”.
Matteo da quel bar non se ne andrà per molto tempo. Un bel giorno si presenta, prende Silvia per le mani e le dice che a quarant’anni passati lei non può permettersi di perdere quella possibilità. Lei lo chiama villano, ma ha il sorriso stampato sul volto. La favola sta per cominciare.
Non è facile però la vita per una coppia così anomala. Sono soprattutto le persone vicine a lui che complicano le cose. Gli amici non risparmiano battute, mettendo Silvia in continuo imbarazzo; le amiche non perdono occasione per notare che uno così bello e intelligente non può perdersi dietro ad una così; la madre, infine, cerca di mettere i bastoni tra le ruote a quella relazione, temendo che il figlio sia vittima di una femme fatale. Ma Silvia non è così. È una donna fondamentalmente schiva, indurita da una vita difficile, e non certo un’aggressiva ammaliatrice di uomini. Matteo lo sa bene e anche per questo la ama. E lei ricambia, sempre più. “Un giorno dissi ad una mia amica che dovevo vivere questa storia intensamente, perché avevo la strana sensazione che lui non sarebbe rimasto qui a lungo. Era come se venisse da un altro pianeta”. Sensazioni inspiegabili, come inspiegabile è agli occhi degli altri la loro relazione. Ma solo agli occhi altrui, perché tra loro due la differenza anagrafica è inesistente. “Se non fosse stato per lo sguardo degli altri che mi sentivo addosso, non c’era motivo di pensare alle nostre differenze. Anzi, era lui il più adulto, quello che mi aiutava ad uscire dal bozzolo, a crescere”. Sembra tutto scritto in una sceneggiatura di un film. Perfino la convivenza a casa di lui, in una famiglia allargata che prevede la presenza della figlia sedicenne di Silvia.
Ma ogni film ha bisogno di un epilogo. Che non necessariamente corrisponde al prologo. “Quando arrivò quella telefonata sprofondai all’inferno”. Silvia non dissimula l’emozione nel ricordare la telefonata che pose fine alla sua favola. Poche parole, secche: Matteo è morto.
Un terribile incidente che lascia Silvia sola, nello sconforto, per molto tempo. Verranno dopo nuove gioie, nuovi incontri, un nuovo uomo da amare. Dopo.
Per una generazione che matura con lentezza, il tempo è una variabile strana, che ha dimensioni incontrollabili. Dimensioni che sfuggono alle categorie ordinarie della tassonomia umana. Anche aldilà delle donne puma e di tutto quel che ne segue. E a rimanere, in fondo, sono soltanto le storie. Narrazioni di quello che siamo, senza giudizi, analisi o sterili sociologismi. Semplici storie, sbocciate a cavallo tra due millenni.