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QT n. 7, luglio 2024 Servizi

“Perfido”: la comunità e il coinvolgimento civico

Le reazioni all’infiltrazione mafiosa, alla luce del sondaggio a Lona di QT\Libera, e del dibattito sul conformismo di valle a seguito del romanzo “Il predatore

Sul numero precedente di QT (giugno) il prof. Carlo Buzzi ha illustrato dettagliatamente i risultati di un sondaggio eseguito da QT e Libera un anno fa a Lona-Lases e ne ha tratto alcune interessanti considerazioni sociologiche, a partire dal parametro conclusivo che egli ha costruito e utilizzato, relativo al “coinvolgimento civico”. Secondo tale valutazione il campione analizzato sarebbe suddivisibile in due parti, l’una con indice di coinvolgimento civico “buono o elevato” e l’altra con indice “scarso o mediocre”. Nella prima categoria rientra il 44% del campione, nella seconda il 56% e tale suddivisione ricalca perfettamente il risultato elettorale del 25 febbraio scorso. Allora la lista guidata dall’avv. Giacomelli ha riscosso il 54% dei consensi avendo come unico avversario il quorum, mentre il 46% degli aventi diritto al voto non si è recata alle urne.

Potrebbe sembrare paradossale, ma le due suddivisioni sono quasi perfettamente sovrapponibili se si considera, al contrario di come sembrerebbe ovvio, che chi ha negato il proprio consenso non andando a votare appartenga alla categoria di coloro che hanno un indice di “coinvolgimento civico” buono o elevato.

Cosa mi porta a sostenere questa tesi? Innanzitutto quanto evidenzia il prof. Buzzi nel commento conclusivo, laddove distingue due gruppi fondamentali che poi vanno a costituire le due categorie di cui sopra. Il primo composto da coloro che hanno posizioni “ambigue e sfuggenti” (“non negano la gravità degli accadimenti ma ne attenuano la portata come se volessero rimuovere dei fatti che sarebbe meglio dimenticare”) e da coloro che manifestano “un certo atteggiamento omertoso”.

Il secondo gruppo risulta composto da coloro che hanno espresso una “decisa condanna dei fatti in questione mostrando forte responsabilità personale e civica”.

A costituire lo zoccolo duro dei due schieramenti vi è, da una parte quel 12% del campione che riconduce i precedenti ripetuti fallimenti elettorali alla “mancata chiarezza del passato amministrativo del Comune” (implicitamente sulla linea del Coordinamento Lavoro Porfido che aveva sempre sostenuto la necessità dell’invio in Comune di una Commissione d’accesso per verificarne gli atti); dall’altra parte, un altro 12% che sostiene che il problema mafia sia stato “montato ad arte da agitatori/agitatrici” con chiaro riferimento proprio al Clp.

Stando così le cose, la partecipazione al voto del 25 febbraio e il risultato elettorale conseguente non sarebbero da interpretare quale segnale della volontà di riscatto della comunità, bensì di un facile adeguamento alle pressioni dei “poteri forti” da parte di quella porzione di cittadini meno propensa al “coinvolgimento civico”. La campagna elettorale per l’occasione si è svolta, infatti, all’insegna del “voltar pagina”, dichiarando concluse le vicende relative all’indagine “Perfido”, e questo nonostante i processi siano ancora in corso e il secondo troncone appena approdato nelle aule del Tribunale.

Quale comunità?

Non ho ancora letto “Il predatore” di Marco Niro, libro sul cui tema di fondo – il conformismo e la subalternità ai locali poteri forti nelle vallate trentine - QT ha aperto un interessante confronto. Tuttavia, attingendo anche agli interventi finora pubblicati, mi pare che la mia esperienza personale, ma anche il sondaggio di cui sopra e le feconde analisi di Buzzi, possano fornire alcuni spunti.

Nel suo intervento Felix Lalù parla di “potere che esercita sulla società e sull’economia di una valle l’azienda o il comparto più potente”: è innegabile che la lobby del porfido abbia esercitato un pesante condizionamento in particolare nei comuni del cosiddetto “triangolo del porfido” (Albiano, Fornace e Lona-Lases). Alla questione si riconnette l’osservazione di Gianni Mittempergher: siamo in presenza di “un contesto a cui non sono estranei conflitti di vario tipo tra diverse componenti sociali – sovente con connotazioni di classe”. Osservazione centrale per quanto riguarda le comunità della zona del porfido, laddove quasi ogni ambito conflittuale sottende proprio il contrasto tra “padroni” (spieghiamo subito le virgolette) delle cave con relative parentele da una parte, e loro operai dall’altra. Conflitto che è complicato dal fatto che l’estrazione del porfido avviene per la maggior parte da cave poste su terreni di proprietà comunale o frazionale gravati da uso civico. Uso civico che non ricomprende certo l’attività estrattiva e per questo le aree estrattive ne devono essere sgravate e l’estrazione può avvenire solo mediante concessione a titolo oneroso, da qui il conflitto d’interessi che da sempre caratterizza le amministrazioni locali della zona.

Ed è appunto il controllo delle amministrazioni da parte dei concessionari ad essere centrale, in quanto funzionale all’ottenimento di continue proroghe delle concessioni e alla determinazione di livelli minimi degli oneri di concessione.

Ecco quindi svilupparsi tale elemento di conflittualità interno alle comunità, che va ad aggiungersi a quella che si sviluppa nel rapporto diretto padroni/operai. Anche se oggi i lavoratori sono in gran parte extracomunitari e quindi la conflittualità è senz’altro minore e comunque molto diversa da quella che caratterizzava il settore fino a 25 anni fa. Tuttavia la comunità conserva memoria di tali conflitti quando giudica gravissima l’accusa di “riduzione in schiavitù” di lavoratori, ancorché stranieri (51%) e una percentuale significativa (59%) è orientato a pensare che “vi sia stata o sia comunque possibile complicità tra gli accusati e alcuni segmenti dell’economia locale”.

Nonostante ciò, a queste comunità si addice particolarmente la definizione di Luigi Casanova quale “ambiente sociale ricco di sconfitti”.

Col venir meno dei fermenti ideali che hanno sostenuto i movimenti di lotta all’interno della società italiana è venuto a mancare anche l’elemento propulsivo del conflitto di classe interno al mondo delle cave tra gli anni ‘70 e ‘80 del Novecento, conflitto che in modo mediato ha attraversato anche le comunità locali contrapponendo segmenti delle stesse sulle questioni della tutela ambientale e della predazione delle risorse da parte della vorace imprenditoria locale.

Ricordo che proprio a Lona-Lases e solo in questo comune tale contrapposizione determinò un ribaltamento della situazione di dominio: dal 1985 e per un decennio i “cavatori” furono costretti all’opposizione, unico caso nel triangolo del porfido degli ultimi cinquant’anni. La reazione fu dura e rabbiosa, con minacce ed atti intimidatori anche gravi che costrinsero sindaco ed assessore alle cave a munirsi di porto d’armi su consiglio della Questura.

Forse proprio la necessità di contrastare prima e impedire poi il ripetersi di tale esperienza ha spinto la lobby locale a venire a patti con soggetti legati a consorterie criminali.

Sconfitti e rassegnati?

Pure chi scrive queste note appartiene sicuramente agli “sconfitti”, avendo attraversato l’intero fronte relativo a tali contrapposizioni. Vale senz’altro anche per queste comunità il fatto, come scrive Casanova, che “si vive rassegnati e rinchiusi nelle famiglie”, che “ovunque regna la diffidenza”, “prevale la rassegnazione” e “la solidarietà è umiliata”.

Incontrastati o quasi ormai “dominano i poteri forti, magari anche le mafie” come scrive Aldo Collizzolli e qui l’operazione “Perfido” condotta dai Carabinieri del ROS ha fatto emergere pienamente proprio le collusioni tra questi ambienti. Le conseguenze sono “paura del diverso, di chi si permette di criticare, di dissentire ed esporsi in prima persona” come ben scrive il bibliotecario della Giudicarie, anche lui come lo scrivente oggetto delle querele da parte dei rappresentanti dei “poteri forti” locali. Sicuramente bersagli facili laddove si vedono - come egli scrive – “coscienze sepolte e intorpidite”. E qui torna prepotente il racconto di Niro che, come scrive il recensore, “dipinge un quadro fosco della realtà delle nostre valli: conformista, chiusa in se stessa, facile preda non dell’animale, ma di se stessa, del più cinico dei suoi faccendieri e politicanti”.

Da una situazione che appare senza via d’uscita (nel commento al sondaggio il prof. Buzzi evidenzia come “chi ha un basso coinvolgimento e quindi non vede o non vuole vedere la realtà tende ad essere più ottimista di coloro che mostrano un maggiore senso civico”) prende le mosse il farsi da parte e quella “assenza di vere minoranze nei consigli comunali” di cui parla Collizzolli e che è caratteristica da oltre un decennio nei comuni del triangolo del porfido (in questo momento ad Albiano, Fornace e Lona-Lases è una sola lista ad occupare il consiglio comunale).

Anche il mondo del volontariato qui è esattamente quello che egli descrive: “gerarchico e non partecipativo, in cui impera il tasi e tira”.

Di fronte a questa situazione, come dice Casanova, “chi vive una umanità diversa può scegliere tre strade: un conflitto continuo, l’isolamento, o la chiusura nella disperazione”. “O ti disarmi della tua sensibilità – egli scrive – o ti devi rassegnare, quindi omologarti”.

Nonostante ciò, confesso che in questi anni ho sentito e visto in una parola sussurrata o nel gesto di un saluto anche la vicinanza di molti lavoratori, magari extracomunitari, ma anche di molte persone originarie di queste comunità, costrette come il giunco a piegarsi di fronte alla corrente impetuosa.

Forse quel 44% di cittadini nel quale ancora resiste, pur nel silenzio, un buon coinvolgimento civico, quel 46% che astenendosi dal voto lo scorso 25 febbraio ha espresso il proprio dissenso, segnala la necessità e la giustezza della scelta fatta dai “testa alta” di tracciare una direzione possibile, dal contrasto al malaffare alla difesa dei diritti dei lavoratori e del bene comune.

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