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Hamas, Israele, Gaza

Spunti di riflessione intorno a una guerra. Da “Una Città”, mensile di Forlì.

Stefano Levi DellaTorre

Stordito dagli orrori dell’aggressione di Hamas nel Sud di Israele del 7 ottobre, solo ora comincio a cercare di distinguere qualcosa.

Da un lato c’è un gigantesco orrore terroristico, dall’altro c’è chi lo agita emotivamente per ribadire che Israele è più vittima che responsabile di ciò che avviene, in modo che le cose proseguano come prima, verso ulteriori catastrofi, esplosive come questa o sistemiche come l’occupazione e l’espropriazione dei territori palestinesi, di cui il terrorismo dei coloni è battistrada. Odio gli invasori, come la Russia di Putin in Ucraina, ma ci sono gli invasori immediati come Hamas e ci sono gli invasori sistemici come Israele.

Ma è arduo esporsi per sostenere una prospettiva secondo cui la catastrofe e il fallimento attuale di Israele sono la terribile occasione che impone di necessità una svolta, in una deriva che perdura peggiorando da mezzo secolo. “Come, un’occasione?! -si dirà- Dunque l’orrore dell’aggressione terroristica di Hamas avrebbe una potenzialità provvidenziale? Ma questa è un’apologia del terrorismo fondamentalistico e antisemita di Hamas!”. Eppure penso sia così, un’occasione che scuote il quadro dalle fondamenta, e in questa direzione si dovrebbe lavorare. Per una svolta.

L’azione terrificante di Hamas è stata di certo incoraggiata anche dall’oblio diffuso tra gli israeliani del peso della questione palestinese. Mi aveva colpito la posizione di Gideon Levy di Haarez, che non partecipava alle manifestazioni di massa contro l’attacco del governo allo Stato di diritto, perché esprimevano quell’oblio, come se quel conflitto fosse ormai sedato o ininfluente. Un sintomo tragico di quell’oblio è il rave organizzato a ridosso del confine di Gaza, nonché l’assenza nella zona di forze militari. Ma quell’oblio non è solo responsabilità di Netanyahu, ma di una lunga sequenza politica e di opinione. E non è solo responsabilità israeliana, ma di tutte le forze politiche internazionali, compresa l’iniziativa del Patto di Abramo, che quella dimenticanza sanciva in funzione anti iraniana. Tutto ciò ha operato nel senso di regalare all’Iran e ai suoi alleati e accoliti la gestione geopolitica della questione palestinese, favorendo Hamas nel proporsi come protagonista egemone della questione e nell’inserirsi nel quadro complessivo degli sconvolgimenti delle guerre in corso.

Quello che mi ha mosso nell’immediato è come l’orrore e l’indignazione, del tutto giustificata, abbiano anche un risvolto ipocrita che, in nome della necessaria solidarietà a Israele aggredito, mi sembrano incoraggiarlo a insistere sulla sua strada disastrosa. A incoraggiare quel vittimismo che aggira le proprie responsabilità e che ha nutrito la destra, in Israele come altrove. E nel mettere giustamente in evidenza l’estrema efferatezza di Hamas, mi sembra oscurare l’aggressione non (come quella di Hamas) intensiva, ma sistemica e di lunga durata dell’occupazione dei territori e dell’espropriazione, compreso il terrorismo dei coloni, non punito ma incoraggiato. A parte quel che sta già facendo Israele alla popolazione di Gaza, come fosse giustificato dal diritto di ritorsione: il bombardamento della via di fuga di Rafa e del mercato Jabalia, quasi che gli avventori delle bancarelle fossero quelle e quelli di Hamas a fare la spesa, oppure la chiusura dell’acqua, dell’elettricità e del cibo, per prendere in ostaggio una popolazione di due milioni e passa di persone. Neppure Abramo sarebbe stato d’accordo, quando contese con Dio sulla distruzione di Sodoma e Gomorra: “E se vi fossero dei giusti -chiedeva a Dio- stermineresti anche loro pur di distruggere i colpevoli?”.

Non sono certo ottimista sulla prospettiva: “Due popoli due Stati”, che qualcuno rilancia: significherebbe una guerra civile in Israele con gli accoliti dei coloni e dei haredim; “un solo Stato” vorrebbe dire apartheid non più di fatto ma istituzionalizzato, oppure una cacciata violenta dei palestinesi, oppure una progressiva prevalenza demografico-politica dei palestinesi e dunque guerra civile.

Da Gaza, Hamas ha aggredito Israele, e dunque prima di tutto solidarietà con Israele. Hamas è un’organizzazione militare fondamentalista sunnita che rientra nel gioco politico del regime sciita dell’Iran. Ha per programma esplicito la distruzione di Israele e il genocidio degli ebrei. Ma il fallimento tragico di Israele in questa terribile occasione non è dovuto solo a un’inaspettata imperizia tecnica e militare del governo di estrema destra di Netanyahu, ma dal fatto che in Israele si è diffusa per decenni l’opinione che la questione palestinese fosse ormai domata e ininfluente, che un processo di pace riguardasse solo gli accordi coi regimi come l’Arabia Saudita. Invece che tentare un compromesso con i movimenti palestinesi laici, i governi di Israele hanno preferito perpetuare ed estendere l’occupazione dei territori palestinesi, e hanno finito per offrire la questione irrisolta ai fondamentalismi. Col suo provvisorio e barbaro successo, ora Hamas punta a farsi riferimento egemone della esasperazione palestinese e islamista, incancrenita dalla politica israeliana di occupazione. Così Hamas assurge a essere, appoggiata dall’Iran, tra i protagonisti nei conflitti in corso. La speranza è che Israele cambi strada e assuma le sue responsabilità sulla questione palestinese, ma ciò è difficile, perché la situazione è incancrenita dentro lo stesso Israele.

Per adesso non è visibile un cambiamento di tendenze, ma piuttosto l’accelerazione di quelle attuali. Tutto è cambiato perché nulla cambi?

Vergognosa nel mondo la canea delle destre che con l’entusiasmo di neofite filosemite criminalizzano le manifestazioni e le idee di chi condanna l’atroce aggressione di Hamas a Israele, ma contestualmente denuncia le responsabilità della politica di Israele verso i palestinesi. Una politica che ha la sua parte nell’avere favorito lungo i decenni le condizioni perché Hamas, con dietro l’Iran, potesse proporsi come riferimento fondamentalistico e terroristico della esasperazione palestinese e contro l’esistenza stessa di Israele. Al di là del diritto di Israele di difendersi e di rispondere con la guerra alla guerra di Hamas, ma non con la guerra contro i palestinesi, questi entusiasti neofiti filosemiti di destra fomentano, col loro “senza se e senza ma” pro-Israele, il precipizio verso l’estendersi delle guerre senza quartiere che si allargano sul mondo. Eppure è proprio questo il momento non solo della solidarietà per Israele aggredito, ma anche per i palestinesi vittime di Hamas e dell’occupazione israeliana. Per che cosa? Per sconfiggere Hamas e contrastare l’Iran. Perché la parte principale nel combattere il fondamentalismo islamista la possono assumere in primo luogo le donne e gli uomini nel mondo di ascendenza islamica, laica o religiosa. E sono queste le forze che vanno riconosciute, e incoraggiate. Perché è vero che esiste un conflitto di civiltà, ma non tra nazione e nazione, tra civiltà e civiltà, ma attraverso ogni nazione, ogni civiltà, ogni terra e paese.

Intravedo con angoscia questa parabola tragica in senso classico: gli ebrei, le cui colpe sono state sempre molto al di sotto delle accuse e della persecuzione fino al genocidio, ora si trovano tramite Israele, con l’oppressione sistemica dei palestinesi e soprattutto con quel che sta per compiere a Gaza, a riempire il più possibile il gap tra colpe e accuse. Orrore in sé e radioso futuro per l’antisemitismo.

Maledizione su quanti per interesse geo-politico o per sentimentalismo hanno vellicato il vittimismo aggressivo di Israele e l’hanno incoraggiato a procedere verso questo baratro.

Quel che è appena successo alla Fiera del Libro di Francoforte con la sospensione del premio letterario già annunciato alla scrittrice Adanìa Shibli, perché palestinese, è scandaloso e allarmante. Idiotismo di guerra, di schieramento, forse accentuato (essendo in Germania) da un complesso tedesco verso gli ebrei. Mi fa paura: ora non so se temere di più l’antisemitismo, che in dosi marginali è persino vantaggioso come vaccino di richiamo, o questo filosemitismo idiota, schierato e bellicista, cavallo di Troia di gravi pericoli.

Rabbi Shim’on diceva: ci sono tre corone, la corona della Torah, la corona del sacerdozio, la corona della regalità; ma su tutte eccelle la corona del buon nome (Mishnah Avoth 4, 13).

Interpretazione di Maimonide: la quarta corona, quella del buon nome (shem tov), è la corona suprema perché è la sintesi della altre tre: di quella della sapienza (Torah), della religione (sacerdozio), della politica (regalità). Il buon nome risulta da come si sono combinati questi tre aspetti, a determinare la qualità etica e politica di una collettività e di una nazione, il suo credito e la sua autorevolezza e dignità nel mondo, e dunque il suo diritto e la sua durata tra i popoli. Chi vuole può ripercorrere come in questi decenni si siano incrociati in Israele le tre corone, e in che stato si trovi ora la quarta, la corona del buon nome. E in che stato si troverà il buon nome, se in risposta alla terribile aggressione che ha subìto, se a quel crimine contro l’umanità vorrà rispondere con un crimine contro l’umanità affamando e facendo strage della popolazione di Gaza. Se vorrà spianare la parte nord della striscia di Gaza, e magari conquistarla, acquisirla come ulteriore territorio occupato, se la riterrà l’unica via praticabile per estirpare Hamas.

Ma se Israele farà questo come sta facendo, non estirperà Hamas come aggressore esterno, piuttosto l’assorbirà come un cancro interno, capace di infiammare e far scoppiare dalle sue viscere la sua doppia natura etnica. E forse questa prospettiva era ed è presente nella strategia di Hamas e delle potenze come l’Iran che la soste ngono e la spingono. Gli orrori compiuti da Hamas, io penso servano anche,da un lato a istigare Israele (con la collaborazione dei neofiti “filosemiti” soprattutto della destra nel mondo) a cacciarsi nel pantano sanguinoso della ritorsione sul popolo di Gaza, e ad annoverarsi tra i perpetratori di crimini contro l’umanità; dall’altro a nascondere, dietro la bestialità dell’aggressione di Hamas, un’intelligenza strategica non solo locale ma geo-politica.

A partire dall’assassinio di Rabin ad opera di un estremista ebreo di destra, questo è l’esito del rifiuto convergente, di Israele e dei suoi nemici più radicali, della prospettiva dei “due popoli e due Stati”

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Stefano Levi Della Torre, già membro del Consiglio della Comunità Ebraica di Milano, è autore di saggi in tema di diaspora, sionismo, fede e credenze, conflitti tra umanità e divino.