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QT n. 3, marzo 2023 Servizi

Un giorno in tribunale

Come seguo, da cittadino, il processo “Perfido”

Graziano Ferrari

Il giorno 22 febbraio, nel primo pomeriggio, inizia l’udienza in Corte d’Assise del processo “Perfido”. Siamo davanti all’entrata del Tribunale di Trento. In aula si dovrebbe decidere per il “rito abbreviato” degli imputati che eventualmente sceglieranno questa modalità.

Noi del Coordinamento Lavoro Porfido non siamo d’accordo con questo procedere “inusuale” - così l’ha definito il nostro avvocato di fiducia, non riusciamo a comprendere fino in fondo perché non si voglia proseguire con il dibattimento pubblico, un percorso scelto più di un anno fa, e ora, dopo un anno di lavoro, quando erano terminate le traduzioni delle intercettazioni dal dialetto calabrese e trentino, si poteva proseguire iniziando a sentire i testi della Procura e poi tutti gli altri.

Ci convince poco la penuria di personale del Tribunale, piuttosto a noi sembra che questa direzione ondivaga rischi di ottenere una giustizia parziale, lasciando fuori dal dibattito pubblico il contesto economico e sociale nel quale il malaffare, negli anni, si è sviluppato in tutte le sue forme.

Davanti al Tribunale oltre noi, sono venuti a dare sostegno rappresentanti dell’ANPI, di Libera e del sindacato USB. Si distribuiva un volantino ed un appello dove si esprimevano le nostre ragioni e i dubbi che il procedere processuale ci pone.

Sapevamo che con tutta probabilità i nostri sguardi avrebbero incrociato quelli di alcuni imputati, nostri conoscenti, paesani, scarcerati pochi giorni prima. Non ho pensato a come avrei reagito o a come avrebbero reagito loro, magari questo sfugge alla razionalità e a volte l’emozione tira brutti scherzi. Ma al momento dell’incontro, dopo un attimo di incertezza, il silenzio era protagonista. Ci siamo guardati, ognuno con i propri pensieri.

Un attimo dopo mi passa davanti Pietro Battaglia, che mi guarda di sottecchi, e mi dice: “Non pensavo di vedere anche te qui”. Lo guardo entrare, vorrei rispondergli, ma non mi esce nulla. Nei decenni precedenti, anche quando vivevo a Lases, con lui non ho mai avuto modo di parlare: quando ci si incontrava non ci si scambiava che un cenno di saluto.

Ma il “cosa facevo io lì”, da tempo ha una sua risposta. Chiara e inequivocabile. Dopo il sequestro ed il pestaggio di Xu Pai con le relative condanne in Appello ed in Cassazione, non si poteva rimanere a guardare, senza fare nulla, aspettando l’oblio della coscienza. Bisognava capire e non restare indifferenti.

Perché è da lì che si è scoperchiato un mondo di miserie, fatte di angherie e soprusi che nessuno vorrebbe subire. Grazie al lavoro degli investigatori dei Ros dei carabinieri e dell’inchiesta giornalistica di Questotrentino, che ha permesso di vedere e mettere in controluce uno spaccato della nostra società corrotto e colluso a tutti i livelli.

Pietro Battaglia, ma non solo lui, me lo ricordo nella veste di consigliere comunale a Lona-Lases durante uno degli ultimi consigli comunali presieduti dal sindaco Roberto Dalmonego. Nell'occasione di una mozione presentata dal CLP a sostegno dell'operaio cinese Xu Pai, dove tutti i consiglieri e gli amministratori comunali intervenuti si distinsero nel negare una situazione che sembrava già evidente. La definizione mafia li scandalizzava.

Tutto si concluse nel nulla. Negando di fatto al povero lavoratore sequestrato e picchiato, che oggi è una delle parti civili costituitasi nel processo “Perfido”, quel minimo di solidarietà che gli era dovuta in un paese che si definisca civile.

La nostra comunità, in tutte le espressioni sociali, si è distinta per il silenzio, e chi ha parlato lo ha fatto per negare o minimizzare. Un’armonia malata che accetta come un fatto normale che dei paesani possano essere accusati, incarcerati, e processati per reati gravissimi quali “associazione mafiosa e resa in schiavitù di lavoratori”. Alcune condanne in primo grado sono già state emesse a carico di cinque imputati, tre delle quali, pur con lo sconto di pena per il rito abbreviato scelto, vanno dagli otto agli undici anni di reclusione. E siamo solo agli inizi del percorso processuale.

Io come cittadino di questa comunità mi sento gravemente danneggiato da questi comportamenti delittuosi che nulla hanno da spartire con lavoro, onestà, e rispetto. Mi sento addosso una responsabilità che mi impedisce di fregarmene. Per questo cercherò di seguire per quanto possibile il processo “Perfido”. Cercare di capire, di conoscere i risvolti dei fatti, di informarmi e di informare è un mio diritto!

Saranno i giudici che condanneranno o assolveranno gli imputati sancendo una verità giudiziaria, che avrà senz’altro la sua importanza ed il suo peso. Ma resto convinto che solo le comunità interessate, se lo vogliono e con coraggio, dovranno elaborare i giusti anticorpi necessari a cambiare verso e ad impedire il ripetersi di miserie che altrimenti continueranno a condizionare ed amministrare i nostri comuni.