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Il “greenwashing” di Eni

Docenti per spiegare l'ecologia formati da una società petrolifera accusata di vari episodi di disastro ambientale

Docenti Senza Frontiere, Fiab Trento, Tommaso Baldo, Ketty Turri, Franco Piccolroaz

Con la la legge 20 agosto 2019, n. 92 l’Italia ha reso l’educazione civica disciplina a sé, attribuendole 33 ore di insegnamento a partire dall’anno scolastico 2020/2021. All’interno dell’art. 2 si prevede che l’educazione civica sia chiamata a promuovere la sostenibilità ambientale. Questa indicazione rischia di trasformarsi da occasione formativa in promozione di marketing per un’azienda tra le maggiori responsabili di disastri ambientali, che ha dimostrato assenza di sensibilità nella difesa dell’ambiente. Ci riferiamo a ENI s.p.a.

Questi i fatti: il 21 gennaio 2020 è stata sottoscritta una convenzione tra ENI e ANP (Associazione Nazionale Presidi), pubblicizzata anche sul sito internet dell’azienda. Con questa convenzione si attribuisce a ENI la capacità di formare i docenti rispetto alla costruzione di percorsi didattici volti ad educare alla sostenibilità ambientale. Ad oggi, seminari in questione si sono già tenuti nelle scuole di Roma, Milano, Bologna, Cuneo, Palermo, Napoli, Ancona, Bari.

Contro questa iniziativa hanno preso posizione alcune associazioni ambientaliste quali Greenpeace, Kyoto Club e Legambiente, ma anche TeachersforFuture Italia.

L’ANP ha risposto a queste prese di posizione evidenziando le competenze tecniche di ENI. Quali sono queste competenze?

L’opera di Greenwashing in cui ENI è impegnata porta la multinazionale a promuovere il suo carburante bio, promettendo un basso impatto ambientale e un inalterato livello prestazionale; ma nel gennaio 2020 l’Antitrust ha multato la multinazionale per 5 milioni di euro per pubblicità ingannevole.

Dal 2014 ENI è sotto processo per disastro ambientale a Gela, per i danni causati alla salute dalla sua raffineria in cui non sarebbero stati rispettati i protocolli di protezione dei lavoratori per proteggerli dalle fibre di amianto.

Dal gennaio 2017 ENI è coinvolta nelle indagini della Procura di Potenza per lo sversamento di greggio dai serbatoi del Cova, in Val d’Agri (Basilicata).

Nel 2019, a Ragusa, ENI ha ignorato uno sversamento di greggio nel torrente Moncillè, protrattosi per mesi senza alcun intervento riparatore, con conseguente inquinamento delle acque e del sottosuolo.

È tuttavia in Nigeria che più si manifestano le conseguenze delle pratiche che ENI ha portato avanti per anni. Il 5 aprile 2010 un oleodotto è esploso a 250 metri da un torrente a nord della comunità Ikebiri. La fuoruscita di petrolio ha irrimediabilmente compromesso il sostentamento della comunità locale. Per questi fatti, ENI è sotto processo presso il Tribunale di Milano.

ENI però inquina anche la società: l’ex amministratore delegato Claudio Descalzi è sotto processo per corruzione per il ruolo che avrebbe avuto nell’acquisto del maxi giacimento Opl 245, ricco blocco offshore sempre in Nigeria. La pubblica accusa ha chiesto per lui e per l’altro CEO Paolo Scaroni la condanna a 8 anni di reclusione.

Parrebbe che ENI non stia neppure cercando di rendere le sue attività future più sostenibili. La produzione complessiva di petrolio operata da ENI, nel 2018, è stata di 1,9 milioni di barili/giorno, la più alta mai registrata dalla compagnia. Secondo il dossier di Legambiente del 2019, “risulta evidente che questi numeri non tendono a diminuire. C’è una crescita del portafoglio esplorativo con l’obiettivo di scoprire 2,5 miliardi di barili nel quadriennio, per una crescita annua delle produzioni del 3,5%”.

Nel 2018 i ricavi complessivi di ENI sono stati pari a 75.822 milioni di euro, ma nello stesso anno l’azienda ha investito solo 143 milioni nello sviluppo di progetti sulle energie rinnovabili, economia circolare e digitalizzazione.

Alla luce di tutto questo, cosa dovrebbe andare a dire ENI nelle scuole? Cos’avrebbe da insegnare ai ragazzi che sono scesi in piazza con Fridays For Future per protestare contro l’immobilismo politico di fronte ai cambiamenti climatici, che hanno scioperato bloccando intere città per protestare contro un sistema di sviluppo insostenibile? Cosa può insegnare a loro ENI sul rispetto dell’ambiente? Stiamo parlando di una manovra di greenwashing da parte di un’azienda che inizia ad essere sotto pressione, un tentativo di riabilitazione agli occhi della società civile.

Ma non è solo la scuola terreno di conquista per ENI. A Trento, presso il Muse, si sta svolgendo un ciclo di incontri che andranno dal 21 ottobre al 4 dicembre, intitolato “MUSE Loop – Contaminazioni circolari”, proprio in collaborazione con ENI. Questi eventi vedono la collaborazione tra un’azienda con le responsabilità sopra elencate e un’istituzione museale, il MUSE, che ha dipendenti che sarebbero titolati a fornire una formazione scientifica rivolta all’utenza scolastica.

Le scuole e i musei sono spazi per fare cultura e tali devono rimanere: non deve esserci posto per il marketing. Sono luoghi in cui si insegna il pensiero critico, non palcoscenici per fare pubblicità ad aziende che non sono coerenti con le finalità educative che la legge sull’educazione civica persegue. Scuole e musei collaborano già con molte aziende, ma questa collaborazione non può basarsi sulla supina accettazione di una narrazione aziendale a discapito dei fatti e dei valori propri del mondo della scuola e della cultura.

Alla luce di queste considerazioni, chiediamo a docenti, operatori museali, ricercatori, formatori, a quanti in Trentino lavorano nell’ambito della divulgazione e della produzione culturale e scientifica di prendere posizione sull’argomento, esprimendo il proprio rifiuto a partecipare alle iniziative messe in campo da ENI.

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