La ‘ndrangheta in regione
L'Operazione "Freeland", con i suoi venti arresti, ha scoperchiato un'organizzazione accusata di reati che vanno dall’estorsione al sequestro di persona.
Un ulteriore tassello nel quadro della presenza in Trentino della criminalità organizzata è stato scoperto nei giorni scorsi: la squadra mobile di Trento, con l’ausilio di oltre duecento agenti, ha arrestato venti persone nell’ambito dell’operazione “Freeland”, con l’accusa di appartenere ad una cosca legata alla ‘ndrangheta ed in particolare alla ‘ndrina Italiano-Papalia di Delianuova, in provincia di Reggio Calabria.
L’indagine, coordinata dal sostituto procuratore Davide Ognibene e dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Trento, ha portato alla contestazione di reati che vanno dall’associazione mafiosa al sequestro di persona, dall’estorsione alla detenzione illegale di armi, dalla bancarotta fraudolenta alla contraffazione di documenti. I principali interessi di questa cellula, operante a Bolzano fin dai primi anni Novanta, erano relativi alla vendita di sostanze stupefacenti, provenienti dalla Colombia. Vendita che veniva gestita dalla criminalità locale, alla quale veniva lasciato il controllo delle piazze di spaccio.
Sull’aggravante dell’associazione mafiosa si è subito aperto il contenzioso giuridico. Gli avvocati degli arrestati la hanno contestata, e il Tribunale del Riesame ha dato loro ragione, scarcerando due imputati accusati di concorso esterno, e mantenendo per gli altri la custodia cautelare solo per le altre accuse. Dalla Procura della Repubblica ci dicono di ritenere, con serenità, di avere riscontri e prove molto solide sull’aggravante della mafiosità, e di confidare di vederla riconosciuta nel ricorso che verrà presentato. Teniamo presente che agli arresti si è arrivati dopo una lunga attività di indagini partita su spinta delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia e durata oltre due anni, con la raccolta di diverso materiale probatorio, tra cui intercettazioni telefoniche ed ambientali, ed anche alcuni video in cui gli arrestati maneggiano armi e droga.
Ma perché è importante il reato di associazione mafiosa? Innanzitutto è evidente la pericolosità e l’allarme sociale che esso comporta; in secondo luogo, dal punto di vista giudiziario aggrava in maniera pesante la posizione dell’imputato e del condannato. Lo abbiamo visto recentemente con il caso di Massimo Carminati e Mafia Capitale: Carminati, noto pluriomicida, sequestratore, esponente dei terroristi del Nar e dei banditi della Magliana, in grado di terrorizzare chiunque a Roma solo ventilando la propria nefasta ira, è stato rimesso in libertà quando la Cassazione non ha riconosciuto l’aggravante mafiosa. È un delinquente, ma secondo i giudici della Cassazione non è un mafioso, non agisce in un contesto organizzato, ramificato nella società; e quindi è meno pericoloso.
Lo stesso discorso vale per gli arrestati dell’operazione Freeland? Lo vedremo con l’esito del ricorso della Procura.
Di sicuro la Commissione Antimafia aveva a più riprese ammonito su tentativi di infiltrazione in essere. E d’altra parte nelle nostre inchieste sul settore del porfido ci siamo imbattuti in reati come il pestaggio dell’operaio cinese, l’estorsione ai propri dipendenti effettuata dall’imprenditore Giuseppe Nania, la bancarotta fraudolenta nel caso della ditta Marmirolo con il coinvolgimento di un personaggio come Antonio Muto, pesantemente condannato nel più grande processo alla ‘ndrangheta nel Nord Italia.
Ora, i personaggi implicati in questi casi a noi più vicini sono diversi da quelli dell’operazione bolzanina, come diverse sono le cosche cui sembrano fare riferimento. Ma la cultura dell’illegalità è la stessa. E l’attenzione, anzi l’allarme verso queste derive deve essere costante. Per questo concordiamo con il commento del Presidente della Provincia, Maurizio Fugatti: “Anche il nostro territorio regionale non è al sicuro dalla possibilità di radicamento del crimine organizzato. Per questo dobbiamo tenere alta la guardia e continuare a investire nella cultura del rispetto delle regole”.
Bene, c’erano state delle dichiarazioni di segno opposto, minimizzanti (“Alla gente interessano di più gli scippi alle vecchiette”) da parte dell’ex-Procuratore Stefano Dragone, messo a capo del team sulla sicurezza dallo stesso Fugatti. Il quale peraltro, quando era all’opposizione, aveva presentato degli emendamenti alla legge provinciale sul porfido per condonare il lavoro nero.
Se ora ci fosse una maggior consapevolezza, sarebbe benvenuta.