“Summertime”, “Ragnarock”,“La casa di carta”, “Hollywood”
Serial: qualche considerazione critica
I serial (serie tv), che vanno per la maggiore in questi tempi sulle piattaforme a pagamento, spesso presentano caratteristiche e limiti ricorrenti.
Prendiamo ad esempio “Summertime”, otto episodi recentemente apparsi su Netflix, liberamente ispirati al romanzo di Federico Moccia “Tre metri sopra il cielo”. Ambientato in una località vacanziera della costa romagnola, vi si racconta un intreccio di relazioni tra adolescenti e genitori. A parte la superficialità convenzionale delle situazioni, la sceneggiatura presenta passaggi esageratamente dilatati e per inverso il trascorrere di intere settimane risolte in una dissolvenza. Questi salti narrativi, qui particolarmente evidenti e spiazzanti, non sono rari nei serial, dove le sceneggiature sono spesso flessibili e seguono l’onda del gradimento, per cui buchi, sospensioni di situazioni irrisolte e repentine sparizioni di personaggi avvengono con una certa scioltezza.
Altro espediente ricorrente è il procrastinamento di un non detto, da cui una quantità di equivoci. In “Summertime” un ragazzo non riesce ad esprimere il suo sentimento verso una coetanea e dà il pretesto a incomprensioni che ne generano altre e così via.
Piuttosto comune è poi il buon ritmo delle prime puntate che diluisce in quelle successive, una volta agganciato lo spettatore. Nella seconda parte di “Summertime”, per allungare il brodo, sono state inserite sequenze musicali stucchevoli. È evidente che un plot, sufficiente per massimo 5 puntate, è stato trascinato a 8 con risultati soporiferi.
Anche “Ragnarock”, recente serie norvegese, sempre su Netflix, racconta di adolescenti, ma l’ambientazione è tutt’altra: un umbratile inizio anno scolastico in una livida cittadina affacciata su un fiordo. Una madre con due figli adolescenti, di cui uno ovviamente strano e goffo, ritorna nel villaggio natio dopo il fallimento del matrimonio e tutti devono inserirsi in un ambiente nuovo e sottilmente ostile.
Ma quella che potrebbe apparire una nordica college comedy, fin dalla prima puntata non quadra. Sul genere si infiltra presto l’elemento magico, che crescerà con sviluppi e venature fantasy nel corso delle 6 puntate della prima serie (è in corso la realizzazione della seconda). Inoltre già nella prima puntata scompare un personaggio che viene fatto credere essenziale.
Mescolamento di generi, colpi di scena in tempistiche inconsuete, personaggi monolitici che poi si complicano sono altri elementi ricorrenti delle serie. In questa, comunque ben realizzata, ambientata e recitata, ci sono però solo i prodromi di ciò che potrebbe avvenire. Sei puntate di prologo-ambientazione che si fanno vedere, ma accennano soltanto, mettono carne al fuoco e lasciano tutto aperto.
Gli incipit dilatati, il vagare senza risolvere, o il risolvere dopo molte puntate spesso in maniera deludente sono altri tòpoi delle serie che cercano pretesti e diluenti per proseguire.
Molto presenti sono poi i flashback rivelatori, utilizzati per sfaccettare i personaggi, ma anche furbescamente per motivare comportamenti inaspettati dei protagonisti. Sono anche questi artifici delle sceneggiature, soprattutto nelle seconde e successive serie, dove per far proseguire la narrazione la credibilità si permette di essere sempre più labile e si punta sull’abbandono irrazionale dello spettatore al racconto. E qui spesso intervengono forzature come il ribaltamento di caratteri e campo dei personaggi. Tutti questi espedienti sono particolarmente utilizzati nella famosa serie “La casa di carta” dove, ad esempio, la protagonista detective Raquel Murillo, dopo la prima serie cambia completamente pelle.
Sempre in questo serial, fin dalla metà della prima stagione (sono 4, finora) si capisce che i protagonisti rapinatori si muovono compiendo ripetuti errori al solo fine di permettere i colpi di scena risolutivi del geniale capobanda. Insomma, dopo un po’, nella mia fantasia, vedo il gruppo di sceneggiatori attorno a un tavolo che si dicono: adesso cosa ci inventiamo per andare avanti? Probabilmente si drogano (e li capisco), ed eccoli partorire bizzarre assurdità, ribaltamenti improbabili, invenzioni attaccate con lo sputo, nuovi personaggi del tutto strumentali, cambiamenti radicali giocati con una dissolvenza o giustificati da un flashback artificiale.
Nelle sette puntate di “Hollywood” (sempre Netflix) invece si parte con una divertente rappresentazione della Hollywood degli studios (anni ‘40/’50), popolata da una sequela di personaggi ingenui, ambiziosi, meschini, approfittatori, talentuosi e incapaci, in situazioni credibili, imbarazzanti, scandalose e perverse. Ma ad un certo punto, forse influenzati dal politically correct imperante, dalle polemiche del #MeToo, o da chissà quale altra impennata perbenistica liberal, ecco che la serie vira completamente e prende una piega idealistico-utopistica sconcertane, dove gli afroamericani diventano delle star, i gay sono accettati e pubblicamente applauditi, una donna diventa capo di uno studio, i papponi eroi e gli agenti approfittatori dei bravi ragazzi. Nella Hollywood degli anni ‘50!?
Ma evidentemente la forza della narrazione e le tecniche di fidelizzazione degli spettatori (paganti gli abbonamenti) sono capaci di dissolvere lo sguardo critico e il più elementare senso logico e di far accettare l’assurdità più improbabile.
E in fondo perché no? Non è altro che fiction e tutto è permesso.
D’altra parte però l’accumulo fino alla nausea di elementi ricorrenti e l’esaurirsi dei pretesti per le svolte narrative sono spesso la ragione di finali di stagione repentini tutt’altro che convincenti. Insomma, non poche serie finiscono per implodere e lasciare buchi neri insoddisfacenti, che vengono comunque immediatamente rimpiazzati da un’impressionante quantità di nuove produzioni.
A noi non resta che attendere la riapertura delle sale cinematografiche, ancorché con il costo dei biglietti aumentati, visto che tutti gli esercenti/commercianti si stanno rifacendo delle perdite subite dal confinamento, scaricandole sui consumatori e aumentando i prezzi. Comunque sia, buona estate.