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QT n. 6, giugno 2020 Monitor: Libri

“A proposito di niente. Autobiografia” Woody Allen, vita e opere

La nave di Teseo, 2020, pp. 398, euro 22.

“A proposito di niente. Autobiografia” Woody Allen, La nave di Teseo, 2020, pp. 398, euro 22.

Non mi è facile scrivere di questa autobiografia di Woody Allen, primo perché amo moltissimo quasi tutti i suoi film, poi perché, ebbene sì, amo anche l’autore. Molti dei suoi film hanno tracce autobiografiche, e io in quei personaggi mi sono spesso specchiato, identificato, confrontato, oltre che divertito. Quei film e quei personaggi fanno parte della mia formazione esistenziale e culturale, oltre ad essere una riserva di battute che ho copiato e citato per farmi bello con le ragazze. Quindi il mio punto di vista non è equilibrato. Ma cercherò di parlare del libro e non del suo autore-protagonista, per quanto mi sia possibile.

Anzitutto si tratta di una narrazione sciolta, fluviale, coinvolgente e, soprattutto nella prima parte, spassosa, ricca di ricordi, memorie, personaggi e situazioni che danno spunto alla sua classica autoironia: “È sorprendente quanto spesso io sia etichettato come ‘intellettuale’. È vero quanto è vero che esiste il mostro di Loch Ness, dal momento che non ho un solo neurone in testa”. Insomma la sua classica tendenza a sminuirsi, che include una richiesta di assoluzione per i suoi limiti artistici e forse anche per alcuni passaggi delle sue vicende private. Ma l’ironia, innata, è rivolta un po’ verso tutti: “Se mi avesse tirato su solo mio padre, a quest’ora avrei una fedina lunga come la Torah. Invece, con due genitori amorevoli, sono venuto su sorprendentemente nevrotico”. Ed è un’ironia più tenera che sarcastica, adatta a stemperare difetti e problemi e a difendersi da una dimensione tendenzialmente troppo affettuosa. In alcuni passaggi Allen sembra prendere le distanze dai buoni sentimenti, ancora più accentuati dalla prospettiva dei ricordi che, si sa, non interessano se non fanno ridere. Insomma, far ridere è una necessità, un esercizio costante di esorcismo verso la vita e la morte.

Nel libro si ritrova il Woody Allen che conosciamo e che ci aspettiamo. Per chi si è interessato soprattutto al suo lavoro, piuttosto che alla vita privata, ne esce poi anche una persona piena di ammirazione e rispetto verso i colleghi del primo periodo di battutista; generosa di elogi verso i collaboratori, tenero e comprensivo verso le prime mogli/compagne. E quando non può fare a meno di esprimere critiche e perplessità, lo fa in modo sfumato, con toni di sentita onestà.

Poco dopo la metà del libro, ecco la relazione con Mia Farrow, fase complessa di cui Allen prova a raccontare la sua versione. Pur mantenendo un tono equilibrato, ne esce il ritratto di una Mia Farrow quanto meno schizofrenica, doppia nel rapporto con lui e con i sette figli, di cui quattro adottati (ne verranno poi altri due). Un’attrice sul set e nella vita, incattivita dalla rottura con Allen in seguito alla scoperta della sua relazione con la figlia adottiva Soon-Yi. Da qui una serie di complicazioni e conflitti alimentati dal desiderio di vendetta e dalle falsità della Farrow che, ad esempio, lo ha sempre accusato di aver fatto sesso con una minorenne, quando all’epoca dei fatti Soon-Yi aveva 22 anni.

Concentrato sulle vicende personali, purtroppo in questa parte Allen tralascia di parlare dei film, che, a mio avviso, annoverano almeno tre capolavori: Broadway Danny Rose, Hannah e le sue sorelle e Crimini e misfatti. Peccato. Si può leggere tutta questa parte come una autodifesa indulgente, ma in un’autobiografia chi non lo fa?

In compenso, in altri passaggi Allen è decisamente critico verso se stesso e il proprio lavoro. Ne risulta un carattere misantropo, pieno di paure, idiosincrasie e imbarazzi, con odi e ripulse per certe situazioni e luoghi: la natura, i festival, i riconoscimenti. Con limiti e incapacità sul piano affettivo, nonostante i suoi sforzi.

Il libro è poi costellato di sano cinismo e maturo distacco che fanno emergere frammenti della sua filosofia di vita.

Eccone alcuni esempi. Sui film: “Non mi piace che si diano premi in campo artistico. Film, libri e così via non vengono creati per fare a gara gli uni con gli altri; nascono per soddisfare un impulso creativo e, si spera, per intrattenere”.

Nel corso degli anni ho imparato ad evitare la mentalità per cui o si fa un film di successo o si fa un flop. La mia missione non è sfornare successi, ma fare i migliori film che posso. I flop fanno parte del gioco”.

In merito alle critiche: “Centinaia di articoli da ogni parte, così diversi, spesso in contrasto tra loro, a che pro? Per leggere che sono un genio o un idiota incompetente? So già che sono un incompetente e che non sono Einstein. Il narcisismo è una trappola e una perdita di tempo. La cosa divertente, quando si gira un film, è il fatto di realizzarlo, l’atto creativo. Gli applausi non significano nulla”.

Sul lavoro: “Lavoro tutto il giorno… non perché sia un maniaco del lavoro ma perché mi evita di affrontare il mondo, uno dei posti che mi piacciono di meno”.

Mi piace scrivere più di girare perché quest’ultimo è un lavoro duro… e richiede milioni di scelte in merito a cose di cui so molto poco”.

E poi il finale, che ironizza, con più intelligenza di quanto possa apparire, su presente e futuro: “Vivere nel cuore e nella mente del pubblico non mi importa niente, preferisco vivere a casa mia”.