Fitofarmaci in Trentino: la realtà è questa
Risposta all'articolo di settembre. I dati sull'uso di fitofarmaci devono essere interpretati in modo diverso, non sono tutti uguali. Resta il fatto che in Trentino, rispetto alle altre regioni, il loro uso è aumentato.
Egregio Direttore, le scrivo in merito ad un articolo comparso sul numero di settembre di Questotrentino a firma di Sergio Deromedis, avente come oggetto l’uso di pesticidi in provincia di Trento.
L’autore dell’articolo riporta delle mie affermazioni riprese da una intervista rilasciata qualche tempo fa al quotidiano Trentino sul medesimo argomento. Da quanto riportato dall’autore sembrerebbe che il tema dell’impiego di fitofarmaci in agricoltura non stia a cuore né a me né alla Fondazione Mach, per la quale lavoro. A beneficio dei lettori, chiedo quindi ospitalità sul suo giornale per chiarire alcuni aspetti trattati in maniera incompleta dall’articolista.
Premetto innanzitutto che non metto in discussione i dati sui quantitativi di pesticidi impiegati nell’agricoltura trentina. Del resto lo stesso Deromedis in passato citò dei miei lavori di indagine diretta sul campo (vite e melo) che riportano quantitativi, in termini di prodotto commerciale, anche superiori a quelli citati nell’articolo. Quantitativi che però non sono dissimili da quelli impiegati in altri distretti produttivi dalle analoghe caratteristiche, sia in Italia che all’estero.
Quello che ho cercato di spiegare, evidentemente non in maniera chiara, è la poca significatività dell’indice utilizzato dall’ISTAT per comprendere il livello di rischio per l’uomo e per l’ambiente generato dall’uso dei fitofarmaci. Ripeto poca, e non nessuna significatività.
Il primo motivo, quello che ha fatto sorridere il giornalista, è che questi dati sono ottenuti dall’autodichiarazione dei quantitativi venduti nelle diverse provincie fatte delle società produttrici di fitofarmaci. Ne consegue che il rivenditore o l’agente di vendita con sede legale in Trentino può aver venduto i prodotti ad agricoltori o a rivendite situate anche fuori provincia, rendendo pertanto il dato di incerto e non di immediato significato qualora venga utilizzato nel confrontare territori diversi.
Il secondo motivo che rende l’indice di non immediata interpretazione, quando usato per confronti fra regioni, è che il valore dei quantitativi autodichiarati viene parametrato alla superficie agricola utilizzata (SAU) della regione.
Di per sé ciò è corretto, essendo prevalentemente l’agricoltura il settore che ne fa uso, ma può indurre a delle conclusioni errate come quelle tirate da Deromedis quando fa il confronto fra il carico di pesticidi per unità di superficie in Trentino e quello riportato per l’Alto Adige. La differenza non è imputabile alla diversa dimensione dell’agricoltura biologica nelle due provincie, bensì dal semplice fatto che in Alto Adige la SAU è quasi il doppio di quella trentina e questa differenza è rappresentata in gran parte dalla maggior estensione dei prati-pascoli e degli alpeggi, notoriamente trattati poco o nulla con pesticidi.
Il terzo e più importante motivo che rende l’indice inadatto alla valutazione del rischio di esposizione è che i dati così esposti non tengono conto della tossicità dei prodotti distribuiti.
Mi spiego meglio: il fatto che io dichiari di bere 3 litri al giorno non fa di me un alcolizzato. Dipenderà se quel quantitativo di liquido ingerito giornalmente dal sottoscritto sia riferito ad acqua, vino o peggio superalcolici. Lo stesso vale per i pesticidi: essi possono presentare livelli di rischio per l’uomo e per l’ambiente molto diversi, sia dipendenti dalla loro tossicità intrinseca che dalle modalità di impiego. L’approccio da me seguito nello studio pubblicato nel 2011 (Evaluation of the environmental impact of apple pest control strategies using pesticide risk indicators. Integr Environ Assess Manag 7 (4): 542–549), e riferito proprio all’impiego di pesticidi nei meleti trentini, tendeva al superamento di questo limite e proponeva di tener conto non solo dei quantitativi, ma anche della tossicità dei principi attivi e dei relativi co-formulanti presenti nel prodotto commerciale impiegato.
La mancata considerazione della tossicità nel calcolo del rischio fa di questo indice uno strumento inadatto a valutare i benefici potenzialmente derivanti da una ampliamento delle coltivazioni biologiche. Contrariamente a quanto sostenuto dall’articolista, la produzione biologica generalmente (non sempre) richiede un quantitativo di fitofarmaci maggiore rispetto alla produzione integrata. Il vantaggio non risiede infatti nelle quantità impiegate, bensì nella bassa o nulla tossicità dei fitofarmaci utilizzati in agricoltura biologica. Ne consegue che una totale trasformazione della melicoltura dall’integrato al biologico sarebbe interpretata da questo indice come un significativo peggioramento della situazione ambientale, cosa che ovviamente non sarebbe.
Fin qui la critica mia, condivisa con gran parte degli addetti ai lavori, all’uso di questo indice per quantificare i progressi compiuti nella riduzione dell’impatto ambientale delle produzioni agricole. Altri indici più complessi, ma ben più affidabili, sono stati messi a punto dalla comunità scientifica e in qualche caso già in uso da parte di alcune nazioni europee.
Un altro aspetto che ha fatto sorridere Deromedis ha a che fare con la mie affermazioni circa l’accuratezza dei controlli ambientali svolti in Trentino. Preciso che il rapporto ISPRA, da cui ha preso spunto Deromedis, cita non solo i controlli, ma anche “le vendite di fitofarmaci”, desunte con lo stesso sistema di cui sopra, anche se vengono espresse in termini di principio attivo e non di formulato commerciale (9,3 kg/ha in Trentino contro i 4,4 in Alto-Adige). Nell’intervista rilasciata al Trentino feci riferimento ai controlli sugli inquinanti rispondendo ad una specifica domanda circa l’affidabilità dei controlli e il diverso grado di inquinamento che sembra emergere in confronto ad altre regioni d’Italia. È evidente a tutti (o quasi) che il quadro che emerge dai controlli eseguiti dalle agenzie provinciali per l’ambiente rispetto alla perccon personaleentuale di corsi d’acqua inquinati da fitofarmaci dipende anche dalla accuratezza, dalla frequenza e dal numero di misurazioni che vengono realizzate. Orbene, sempre dati desunti dallo stesso rapporto ISPRA, il Trentino risulta la provincia/regione al primo posto in termini di punti di monitoraggio/ha di SAU, di campioni analizzati/ha di SAU e per numero di misurazioni/ha di SAU. Il diverso sforzo in termini di investimento di risorse nell’esecuzione dei monitoraggi ambientali può portare ad interpretazioni fuorvianti dei dati regionali.
Tutto ciò premesso, è certo che esistono differenze nell’impiego di fitofarmaci (tossici o meno tossici) fra le regioni dipendenti dalle colture. Una recente pubblicazione stima che il costo dei fitofarmaci impiegati in frutticoltura sia pari a 3979$/ha contro i 65$/ha del mais o della soia. Stimare la virtuosità delle regioni Italiane in termini di attenzione all’ambiente sulla base dei kg di pesticidi per ettaro è errato. Sarebbe come confrontare la quantità di polveri sottili registrate a Milano con quella rilevata in uno dei nostri paesi alpini, per dire che a Milano non c’è attenzione alle ripercussioni dell’inquinamento sulla salute dei cittadini e che non viene fatto nessuno sforzo per ridurne la produzione. La soluzione non è l’eliminazione della città di Milano, come non è una soluzione al problema evidenziato da Deromedis la trasformazione delle colture agricole specializzate del Trentino in prati a pascolo o foreste, per poi mangiare le mele e brindare con il vino prodotto in aree meno attenzionate del pianeta.
La soluzione è investire in ricerca e sviluppo di nuovi strumenti di produzione meno impattanti e nella formazione ed educazione dei produttori e dei loro responsabili per aumentare il loro grado di consapevolezza rispetto ai temi ambientali e della salute loro, dei cittadini e dei consumatori.
Questo è la missione della Fondazione Edmund Mach da 145 anni a questa parte, una sfida impegnativa che ci vede impegnati sui temi dell’agricoltura, dell’ambiente e dell’alimentazione, per fare di questo Trentino la terra della salute a tuttotondo.
Claudio Ioriatti
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Della risposta del dott. Ioriatti condivido pienamente gli ultimi due paragrafi: “La soluzione è investire in ricerca e sviluppo di nuovi strumenti di produzione meno impattanti e nella formazione ed educazione dei produttori... Questa è la missione della Fondazione Edmund Mach”.
Appunto per questo rimango ancora basito di fronte alla perdurante minimizzazione rispetto a dati che, nonostante le contestazioni di Ioriatti, restano preoccupanti. In particolare Ioriatti non sfiora il punto principale: dal ‘99 ad oggi, la quantità per ettaro di pesticidi venduti, in Trentino è aumentata, mentre nel resto d’Italia è diminuita. E in particolare nella provincia di Bolzano nel ‘99 si usavano più pesticidi che da noi, nel 2017 molti di meno. Se “missione della FEM” è arrivare a una produzione agricola meno impattante, non sembra che sia stata perseguita con successo.
Io, peraltro in buona compagnia, ritengo che ciò sia dovuto alla storica sottovalutazione del biologico operata da FEM. Altri possono pensarla diversamente; ma è di questi non lusinghieri esiti che si dovrebbe discutere. Per vedere come cambiare rotta.
Sergio Deromedis