Dalla Brexit alle inutili elezioni
Theresa May il capro espiatorio di qualsiasi problema porterà l'uscita, tutti gli altri pronti vantarsi dei possibili vantaggi
Le ultime altalenanti vicende riguardanti l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa sono viste in maniera molto differente da politici e popolazione nel Regno Unito. I comuni cittadini, quelli insomma che hanno effettivamente da perdere o da guadagnare nel nuovo assetto dei rapporti fra il loro Paese e il resto del mondo, vogliono una decisione. Chi a suo tempo ha votato a favore della Brexit e nel frattempo non ha cambiato idea, vuole soprattutto che l’uscita avvenga presto, anche se esistono tanti possibili modi di questo distacco. Chi invece ha votato per la permanenza nell’Unione vuole un secondo referendum, come se la trattativa in corso fosse fra il governo e i cittadini.
Il Primo Ministro Theresa May ha ricevuto un incarico suicida. L’interesse del suo partito, così come quello degli avversari, è quello di addossarle la colpa di qualsiasi problema potrà essere generato dalla Brexit; e nello stesso tempo, tutti desiderano potersi vantare di essere ideatori e promotori di eventuali vantaggi che il distacco dall’Europa potrà offrire. Una situazione schizofrenica.
E quasi tutto succede sui social: i politici sono consapevoli che il consenso si conquista puntando sull’individualismo, sulla creazione di un personaggio onnipresente su Twitter, Facebook o in televisione, uno che sia in grado di mettersi in luce senza in realtà dover poi rendere conto della mancata attuazione delle proposte avanzate; tanto, il più delle volte, del contenuto di un intervento si perde rapidamente il ricordo, a meno che l’argomento sia particolarmente controverso o non coinvolga personaggi del mondo dello spettacolo. Una situazione, come si vede, non molto diversa da quella italiana.
I regimi totalitari usavano l’intimidazione e la divisione della società per sostenere il proprio potere, all’alba del ventunesimo secolo i politici sembrano invece puntare sull’apatia, sui bassi istinti, sulla perdita della memoria.
Il voto del 2016 fu un voto di pancia. Nel decennio precedente, mezzi d’informazione alla ricerca del sensazionalismo hanno incoraggiato la percezione dei cittadini europei insediatisi nel Regno Unito come approfittatori piuttosto disonesti, pronti a sfruttare il sistema sanitario nazionale, i sussidi di disoccupazione e gli assegni famigliari.
I programmi di studio all’estero come “Erasmus” e i gemellaggi fra scuole con vari Paesi d’Europa hanno aiutato ad allargare le prospettive di un paio di generazioni, ma si tratta di una parte limitata della popolazione.
Nel corso del tempo, venendo a vivere stabilmente a Londra, ho potuto constatare quanto dell’orgoglio nazionale e della costruzione di stereotipi riguardo ad altre nazionalità sia legato al periodo dei conflitti mondiali. Nel 1998 mi trovavo in un pub nella Repubblica d’Irlanda con un’amica tedesca quando un signore sulla cinquantina, sentendo i nostri accenti mentre parlavamo in inglese, ci chiese da dove venivamo. Alla nostra risposta, il suo commento, fra lo scherzoso e il rivelatorio, fu: “Ah, Germania e Italia, l’Asse Roma-Berlino!”
All’irritazione contro i “profittatori” si è poi andata ad aggiungere la paura di dover accogliere i migranti e i rifugiati delle varie guerre e rivolte scatenate nei Paesi arabi dai servizi segreti degli Stati Uniti e della Russia. La “Special Relationship” con gli Stati Uniti sta rivelandosi, con l’attuale presidente USA, più accidentata del solito, ma comunque questa tradizionale alleanza non può essere sconfessata, anche perché offre possibilità di sviluppo economico entro sicuri confini linguistici che, grazie ai rapporti con il Commonwealth, si estendono dall’Atlantico al Pacifico.
In conclusione: il 29 marzo 2019 il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord avrebbe dovuto abbandonare l’Europa, e invece si prepara alle più inutili (per la Gran Bretagna) elezioni europee che il denaro buttato al vento potesse organizzare.