“Downsizing”
Un film di Alexander Payne che non ti aspetti
Deve essere veramente difficile nel cinema americano, e forse pure in quello mondiale, ma di certo in quello americano, essere originali. Anzi probabilmente l’originalità non è proprio uno dei criteri più richiesti ed apprezzati ad Holliwood, dove ovviamente, e comprensibilmente, visto quanto viene investito, più che opere cinematografiche si vogliono fare soldi.
È strana la storia del cinema in questo senso. Ci sono stati periodi in cui arte e business andavano bene a braccetto (Chaplin, Billy Wilder, Kubrick…), altri in cui la cosa funzionava un po’ meno e fasi, come ora, in cui fare qualcosa di veramente diverso, per non dire contro, rischia di essere impossibile o per lo meno molto rischioso. Charlie Kaufman dove sei?
Ma un certo spirito creativo, e forse anche vagamente ribelle, inevitabilmente permane nel DNA di qualche sceneggiatore o regista, o tutti e due, e qualcuno, in una percentuale non sappiamo quanto “compromessa”, ci prova comunque a mettere qualcosa di suo, che pensa essere suo, cioè qualcosa d’altro dentro il sistema cinema.
Il fatto è che un film costa milioni di dollari (e verrebbe da dire chi cavolo siamo noi per stare qui a giudicare, a pretendere stranezze, ma anche semplicemente altre cose…), e quando si tratta di milioni di dollari, non tuoi, agli ordini bisogna stare. O comunque compromessi, aggiustamenti sono per lo meno il minimo.
Ma forse, forse, ci sono più soldi di quanti pensiamo e c’è gente che non si fa problemi ad investirli; forse ci sono registi e attori che rappresentano una garanzia per cui si può rischiare; forse ci sono assicurazioni, compagnie o diritti tv che coprono i costi; forse c’è (ma dubito) una certa incoscienza e/o filantropia. Comunque qualcuno ci prova. Intendiamoci, non come ha fatto George Clooney, che per quella ciofeca di “Suburbicon” ha preso una brutta sceneggiatura, e siccome era firmata dai Cohen pensava che avrebbe funzionato comunque, in senso di intelligente originalità. E invece no, per niente. Né uno né l’altro.
No, non così. Strano caso quindi quello di “Downsizing” di Alexander Payne che è film ibrido di commedia, fantascienza e metafora ambientalista che non si preoccupa di passare disinvoltamente da un genere all’altro e di essere una cosa o l’altra se non pure tutte quante insieme. Perché la commedia si può contaminare e la migliore arriva a dire anche cose serie, come i problemi reali del nostro paese, mondo, universo umano.
Ma è veramente questo lo scopo di questo film? Perché al messaggio ci si arriva tardi, con un finale che appare improvvisato all’ultimo minuto, mentre per gran parte del film si è portati in giro tra effetti speciali molto riusciti e gustosi e neo-contesti in cui parrebbero le dinamiche umano-economiche (ricchi-poveri, sfruttatori-sfruttati) quelle che stanno a cuore del regista.
Insomma, a presupposti di sceneggiatura ben precisi e impostati, a metà del film paiono subentrare svolte e sorprese improvvisate e improbabili, ma non per questo male accette, anzi divertenti e pure interessanti, almeno fino al finale, che si fa un po’ faticoso e forzato (il film dura 140’). Insomma è questa libertà di scrittura, non priva di pieghe ciniche e sarcastiche, che fa bello, o perlomeno curioso, un film che si conclude, dopo tante metamorfosi, in un favolone ecologista. Inusuali e fuori dagli schemi anche i personaggi, con un Matt Damon che interpreta un uomo medio americano (coglione) che resta se stesso fino alla fine, senza riscatto, redenzione, promozione o altro, ma che se la sfanga e capisce almeno una cosa. Nel suo standard solito Christoph Waltz, che fa il bastardello ormai con gli occhi chiusi su una faccia furba da sberle e – sorpresona - Chau Hong con un personaggio tanto petulante quanto assurdo e divertente. Ottimi gli effetti speciali fra Truman Show, i fumetti di Tintin e Il signore degli anelli, così, tanto per citare...