Parchi nazionali: aziende economiche e basta?
La aree protette stanno vivendo un periodo di decadenza e scarsa considerazione
Quanto sta accadendo nei parchi nazionali sembra non interessare nessuno. Le associazioni ambientaliste vivono un periodo di stanchezza. Perché sono state isolate dal mondo politico o forse per loro responsabilità? Il cosiddetto mondo della cultura ha abbandonato ormai da tempo il tema ambientale, mentre le istituzioni vivono le aree protette come un fastidio. I media pubblicano solo situazioni di emergenza e offrono sempre più spazio ai denigratori dell’investimento in natura.
In questa situazione hanno avuto buon gioco gli ultimi governi (da Berlusconi a Monti, a Renzi) nel dimezzare le risorse destinate ai parchi, nell’impedire loro ogni agibilità, nell’imporre presidenze e dirigenze prive di cognizioni scientifiche ed esperienza: i comitati di gestione sono divenuti luogo di transito per politici residuali ma che vanno sistemati. Il caso del parco dello Stelvio è emblematico: nel comitato di coordinamento su 8 presenze 7 sono state offerte ai politici e uno alle associazioni ambientaliste-alpinistiche. I ruoli della ricerca scientifica e delle competenze in materia sono stati cancellati, anche dagli ambiti locali.
Col governo Renzi la marginalità delle aree protette è diventata assoluta. Le si lascia deperire senza nemmeno rinnovarne gli organi di gestione. Non a caso il ministero dell’Ambiente è stato affidato a un commercialista, Gian Luca Galletti. In ogni sua dichiarazione l’uomo esprime una sola ossessione: i parchi devono fare economia, nei parchi devono avere spazio le imprese. In una lunga intervista estiva al Corriere del Trentino Galletti così si esprime: “Nei parchi c’è un patrimonio economico elevatissimo e noi dobbiamo essere nelle condizioni di poterlo sfruttare”. E ancora: “…cambiare, attraverso la revisione della legge 394, la governance dei parchi… per trasformare il punto di vista della conservazione a volano dell’economia”.
Non soddisfatto, il ministro ha evidenziato anche il suo fastidio verso i boschi, troppo tutelati: a suo dire, anche questi spazi devono produrre economia. E subito si sono affacciati gli avvoltoi: la Coldiretti, tramite il suo presidente regionale Gabrielle Calliari, invoca spazi liberi, mentre quello nazionale Roberto Monclavo chiede mano libera nei confronti della fauna selvatica. Anche nella gestione del territorio prevalgono gli interessi corporativi.
Al ministro andrebbe ricordato che i parchi italiani - lo diciamo con rammarico - molte volte non sono nemmeno riusciti a svolgere il ruolo minimale di musei della natura, vedansi le tante infrastrutture imposte dalla Cassa del Mezzogiorno e oggi abbandonate in Appennino (villaggi turistici, grande viabilità, aree sciabili) o in casa nostra nello Stelvio, con lo scempio paesaggistico del passo, la violenza delle piste di sci imposte per i mondiali di Bormio del 2005 e le aree sciabili diffuse in Trentino e Alto Adige fino alle alte quote, Pejo 3000 e valli Martello e Solda. Tanto per smentire la falsa retorica sui territori imbalsamati.
Un ministro inadeguato
Quanto sta avvenendo e le dichiarazioni del peggior ministro dell’ambiente della storia italiana vanno accolte con allarme. Siamo in presenza di una società politica che ha abdicato ad ogni forma di investimento culturale e etico, ha messo all’angolo i temi del futuro, della qualità della vita, del dovere di trasmettere alle generazioni future una natura più integra possibile. Dal confronto estivo emerge anche un altro aspetto: la totale assenza di conoscenza e cultura nel merito dei temi in discussione nei ministri e nei dirigenti di associazioni corporative.
I parchi da sempre hanno prodotto economia, per lo più sostenibile. Hanno conservato dalla speculazione migliaia di chilometri quadrati di biodiversità, bellezze naturali, monumenti artistici, centri storici. Sono stati un laboratorio di innovazione sociale ed economica, di formazione e divulgazione culturale. La storia dei parchi nazionali o locali, specialmente in Italia, non è mai stata scuola di pura conservazione: i parchi sono stati esempio di azione diretta sul territorio, hanno prodotto lavoro, dove è stato permesso loro di esplicare azione e proposta hanno mantenuto vive tradizioni e culture locali, hanno permesso su vaste aree di mantenere abitata la montagna, di utilizzare l’alpe e ridefinire funzioni a coste e isole altrimenti dimenticate. E i boschi, se ben gestiti (vedi la regione Trentino Alto Adige), da sempre sostengono economia, offrono lavoro e specialmente garantiscono alla collettività risorse integre (acqua, aria pulita, ricreazione di qualità) e sicurezza idrogeologica.
Il mero parametro dell’estensione dei boschi - condividiamo con Coldiretti - non è garanzia di qualità di un territorio, ma è responsabilità di una politica assente verso le periferie se le foreste sono state abbandonate, vedansi le realtà liguri o toscane, senza dover scendere al Sud.
L’unica forte reazione alle dichiarazioni del ministro è venuta dal Comitato scientifico di Mountain Wilderness. Oltre 50 personalità della cultura italiana hanno espresso una indignata preoccupazione per quanto sta avvenendo in tema di aree protette, la cui gestione “costituisce un indicatore fondamentale del livello di civiltà di un paese… In Italia la vicenda quasi secolare delle aree protette e in particolare dei parchi nazionali ha costituito la parte più significativa della storia della conservazione della natura e nello stesso tempo ha impresso una spinta decisiva nella formazione e nella crescita della coscienza ambientale dei cittadini e in particolare dei giovani. È una vicenda che, per le sue peculiarità, si inserisce a pieno titolo in quel paesaggio e in quel patrimonio storico e artistico tutelati dall’art. 9 della Costituzione e che ha trovato nei principi della legge quadro n. 394 del 1991 una sua adeguata sistemazione…. Con la giustificazione della criticità della situazione economica generale si cerca di imporre ai Parchi Nazionali un modello aziendalistico, come se le aree protette dovessero autofinanziarsi per giustificare la loro esistenza e non invece operare, con competenze effettive e mezzi adeguati, perché siano le comunità locali a produrre ricchezza (anche culturale) per il proprio territorio sulla base di una nuova economia compatibile con la conservazione della natura e la dignità delle persone. Cavalcando il miraggio del made in Italy si tende a propagandare un’immagine delle aree protette in chiave prevalentemente mercantilistica con sfumature degne al massimo di una pro-loco… Con il pretesto della partecipazione (di per se stessa più che auspicabile, seppure nelle forme adeguate) si espelle la componente scientifica dagli organi gestori e al suo posto si inseriscono gli interessi corporativi, come quello degli agricoltori e, in forme più o meno palesi, si rende sempre più localistica la gestione. Quanto allo smembramento del Parco nazionale dello Stelvio, esso può, sempre secondo il Ministro, diventare un modello di questa nuova visione, proprio perché con la divisione in tre parti (Lombardia, Province di Trento e di Bolzano) gli enti locali acquistano maggiori responsabilità e maggiori spazi decisionali. Dimenticando però che nessun altro paese del mondo, fino ad ora, ha frazionato in questo modo i propri parchi nazionali. Le esternazioni del Ministro sono purtroppo un segno ulteriore della sua evidente inadeguatezza a coprire il ruolo istituzionale assegnatogli; ma sono anche la dimostrazione dell’approssimazione con cui una parte della politica, al di là del caso specifico, gestisce la cosa pubblica, soprattutto quando si tratta di misurarsi con le sfide ambientali. Le aree protette, se viste come uno dei perni di una nuova visione dello sviluppo, sono in grado di dimostrare che è possibile salvaguardare, con i fondamentali valori della natura, sia i diritti delle persone, a partire dalla inclusione dei più deboli, sia i diritti dei popoli e perciò la pace tra le nazioni e la collaborazione tra gli stati”.
Abbiamo riportato ampi stralci del documento anche perché il testo non ha trovato spazio nei media nazionali, dove è stato praticamente censurato. Con fatica, durante l’estate, l’associazionismo è riuscito a strappare alla RAI alcuni servizi sul tema, spazi pubblici gestiti comunque con eccessivo equilibrismo, con un eccesso di attenzione rivolta ad interessi particolari; a volte abbiamo riascoltato servizi trasformati in inchino al mondo politico.
In questa situazione di emergenza si rende necessaria una nuova iniziativa culturale e sociale che coinvolga tutto il paese: si tratta di fermare la fretta con cui il ministro vuole affossare la vecchia legge 394-1991, arricchirla invece di nuove prospettive come quelle sperimentate in Trentino con la rete delle riserve (conservazione attiva della biodiversità e partecipazione reale), riportare nei parchi le energie economiche delle quali sono stati privati, permettere loro di assumere personale sia per la ricerca che per i lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione.
Quanto accaduto di negativo allo Stelvio (lo smembramento di un parco nazionale in tre parchi locali regionali) può essere trasformato in opportunità. Il Trentino, con la nuova legge di recepimento della norma di attuazione (luglio 2016), sta elaborando delle linee-guida che investono sempre più in percorsi formativi, nel trasformare la biodiversità in un valore primario, nel diffondere economie sostenibili. Si tratterà di vedere se realtà più chiuse e centraliste come l’Alto Adige, o prive di cultura ambientale come la Lombardia, sapranno far tesoro di queste proposte e recuperarle nel piano parco nazionale dello Stelvio.
Si tratterà poi di seguire con attenzione il comportamento dei parlamentari regionali nel percorso legislativo di riforma della 394. Avranno una nuova opportunità per mostrare se vivono una reale autonomia di pensiero, di azione politica, o se, come fino ad oggi accaduto, rimangono succubi delle scelte romane e degli interessi localistici.