Parchi: una riforma sbagliata
Il Senato ha approvato delle modifiche alla legge sulle aree protette che le trasformano in enti soprattutto economici.
Il ministro Galletti lo aveva promesso. Il governo delle riforme avrebbe messo mano alla legge nazionale sui parchi (394/1991). Diceva il ministro: “Non è concepibile avere territori tanto vasti, oltre il 10% del Paese, immobilizzati, aree museali che non producono economia. È necessario innovare: tagliare i boschi, permettere sviluppo, snellire gli organismi dirigenziali”.
Nella apparizione estiva in Trentino il ministro non aveva spiegato che i parchi sono bloccati perché i fondi che lo Stato gli destina sono appena sufficienti al mantenimento della struttura, che i comitati di gestione non vengono rinnovati perché bloccati dal suo ministero, che i piani-parco, laddove sono stati approvati, non possono esplicare un’azione positiva perché non vengono tradotti in progettualità. Il governo, sostenuto dall’azione di tante Regioni (vedasi il caso emblematico dello Stelvio, fatto morire per volontà della SVP e del Trentino), ha di fatto impedito ai parchi ogni azione di rilancio, di sviluppo, di sostegno alle politiche di conservazione attiva.
È stato facile per il ministro proporsi al Parlamento come un innovatore: riprendendo l’azione efficientistica del Presidente del Consiglio, ha fatto passare la più avanzata legge sui parchi presente al mondo come una legge superata. Da rottamare, usando il linguaggio renziano.
Né il Senato né il governo hanno accolto nemmeno in minima parte le osservazioni proposte da 17 associazioni ambientaliste, da centinaia di uomini di cultura, l’immenso lavoro emendatorio costruito dalla senatrice di SEL Depetris.
La riforma Galletti non presta attenzione al ruolo delle aree protette quale strumento efficace per tutelare biodiversità e paesaggio. Nemmeno alla necessità di avere in Italia dei territori che possano sperimentare innovazioni in una corretta gestione dell’agricoltura, del turismo, della ricerca scientifica. Anche dopo questa riforma il settore rimane nell’incertezza, senza alcuna garanzia di essere sostenuto con adeguati finanziamenti. Nemmeno una riga viene spesa per proporre una prospettiva moderna ed efficace della conservazione dei beni naturali, per tentare di applicare in queste aree la conservazione attiva, capace di promuovere nuovi lavori e redditi a chi vive lungo le coste marine o in montagna, comunque in aree ritenute marginali.
Per quanto riguarda questa riforma (ancora una volta dobbiamo usare il termine “restaurazione”), la governance investe su interessi corporativi (agricoltura, comunità locali) esautorando di ogni ruolo la comunità scientifica. I cittadini spariscono da ogni pur minima considerazione.
Per le aree marine si arriva a disarticolare l’insieme unitario come previsto dalla “vecchia” legge per inventare consorzi di gestione fra loro diversificati. I presidenti e i direttori dei parchi non dovranno avere nessuna competenza scientifica, saranno, anche in questo caso, dei nominati tramite accordi fra le Regioni e lo Stato. Le pressioni del mondo venatorio riusciranno a trovare soddisfazione grazie all’aggiramento di leggi europee. Nei parchi e nelle aree SIC (Siti di importanza comunitaria) si potranno effettuare esercitazioni militari di qualunque tipo (si pensi alla realtà della già martoriata Sardegna).
L’insieme degli aspetti negativi dovrebbe scuotere il mondo della scienza e della cultura, in tutto il paese dovrebbe diffondersi una ondata di indignazione. Il presidente, che potrà essere privo di una qualunque minima qualifica scientifica, verrà dotato di poteri esecutivi e gestionali eccessivi.
Anche per assumere la carica di direttore non si dovrà più essere iscritti in un albo nazionale che garantisca sicure capacità amministrative e scientifiche. Il direttore diverrà un impiegato esecutivo e sarà dequalificato: il potere di nomina sarà assunto dal Consiglio all’interno di una terna: una evidente violazione delle norme costituzionali nei confronti di tutte le altre dirigenze pubbliche.
Per far parte dei comitati di gestione non viene richiesto alcun titolo, viene anche soppressa la presenza della componente scientifica, oggi prevista dalla norma che si vorrebbe cancellare. Mentre assumerà un ruolo determinante, maggioritario, la presenza in questi organismi dei rappresentanti delle comunità locali e delle associazioni agricole, che sicuramente investiranno in interessi di parte, corporativi, facendo sparire nelle decisioni e nelle pianificazioni l’interesse generale, il bene comune da tutelare. Un vero e proprio, diffuso, conflitto di interesse che viene legalizzato. Sconcertante è poi il ruolo che verrebbe ad assumere Federparchi, una titolarità di rappresentanza istituzionale assoluta che va a violare un’altra norma istituzionale sulla libertà di associazione.
Come il ministro aveva promesso, vengono introdotte le royalties a disposizione dei parchi derivanti dallo sfruttamento delle infrastrutture esistenti, come centrali idroelettriche, estrazione di acque minerali, idrocarburi liquidi e gassosi, energia eolica. È evidente che in tempi di ristrettezze tanto forti l’interesse economico di questi enti prevarrà su ogni dovere conservativo sia della biodiversità che dei paesaggi.
Incredibilmente la tutela delle specie animali si sofferma solo sui mammiferi e gli uccelli. Scompaiono dai doveri di conservazione di un parco rettili, fauna ittica, insetti (pensiamo alla delicatezza delle farfalle, alla fragilità del mondo delle api…). Con l’assimilazione del Corpo forestale nell’Arma dei carabinieri non è banale esercizio chiedersi chi garantirà la vigilanza ambientale nei parchi nazionali e regionali. Territori abbandonati? La legge non si esprime. Il parco, come descritto, rimane un’isola, quasi incapace di dialogare con i territori pregiati che lo circondano, un ente a sé stante. Prevale la marginalizzazione degli interessi generali, dell’investimento in valori, della sperimentazione di buone pratiche, e si allontana sempre più il ruolo della ricerca e delle competenze scientifiche nella gestione di questi territori.
Le poche note positive
Certo, ci sono anche passaggi positivi. L’estensione delle aree protette terrestri verso il mare, la previsione di connessioni (non spiegate) con Rete Natura 2000, il monitoraggio dei risultati ottenuti nella gestione. Ci saranno tempi certi nella nomina dei presidenti, nei percorsi della pianificazione, nel rilascio dei pareri e dei nulla-osta richiesti dai cittadini.
Al parco inoltre vengono finalmente affidate competenze in materia di autorizzazione paesaggistica, vi è il superamento dell’odioso meccanismo del silenzio-assenso che tante speculazioni ha permesso, al parco vengono concesse le gestioni dei beni demaniali dalle quali attingere risorse economiche fondamentali alla sua vita. Come positiva è la previsione della incompatibilità della presidenza con altre cariche istituzionali e il coinvolgimento del ministero dei Beni culturali nella pianificazione.
Ma nonostante questi aspetti innovativi si tratta di una riforma sbagliata, che rischia di portare la gestione dei parchi all’interno di conflitti di interessi diretti con i proprietari agricoli, con le pressioni speculative. Con queste norme si impedisce una modernizzazione delle aree protette tesa a renderle capaci di dialogo, proposta con quanto avviene all’esterno dei confini. La natura nella sua evoluzione non conosce barriere: si è persa una occasione per inserire principi fondamentali nella conservazione dei beni, fare rete, strutturare e pianificare connessioni, avviare un percorso che ci porti a considerare l’intero territorio nazionale meritevole di attenzioni e di investimento naturalistico.
Le associazioni ambientaliste nazionali, unite in un’azione critica determinata, affermano: “A venticinque anni dalla sua approvazione, il Senato, snaturandone i presupposti, approva modiche inadeguate alla legge sulle aree protette che ha garantito la conservazione della natura e la salvezza di una parte cospicua del territorio italiano. La questione ora si sposta alla Camera dei Deputati dove le associazioni faranno di tutto per far sentire una voce va ben oltre loro e coinvolge tutto il mondo della cultura e della scienza del nostro Paese”.
Con questa lapidaria affermazione si sintetizzano decisioni istituzionali che vanno contrastate e che meritano di essere seguite dall’opinione pubblica con maggiore attenzione.