Samuelle: la fatica della diversità
La crudele conclusione di un’esistenza segnata dall’affannosa ricerca della propria identità
Confesso di fare molta fatica ad utilizzare il genere femminile per Samuelle Regina Daves. E ne faccio ancora di più a dover parlare di lei al passato. La sua tragica e improvvisa morte ha lasciato attonite la famiglia e l’intera comunità rivana. Si può morire per un bruciante ed eccessivo desiderio di vivere. Samuelle non ce la faceva più a rincorrere la vita; il suo irrefrenabile entusiasmo si era esaurito.
Così ha scelto di andarsene dopo aver festeggiato con la famiglia il suo quarantunesimo compleanno. Conclude in modo cruento e sconcertante un’esistenza segnata dalla spasmodica ricerca della propria identità sessuale e quindi del proprio posto nel mondo. Sembrava sempre arrivata ad un punto di equilibrio che però, alla prova dei fatti, si rivelava troppo precario per reggere agli urti di una diversità difficilmente inquadrabile nelle categorie che guidano la nostra “normalità”.
La vicenda di Samuelle, con quel funesto epilogo, rimane un mistero impenetrabile. Ma può anche diventare una lezione per tutti. Può farci comprendere quanto sia azzardato giudicare dalle apparenze, emettendo un giudizio netto, poco importa se perbenista o libertario. La sua morte ci lascia con molteplici e insoluti interrogativi che non possono trovare risposte definitive.
Da bambino conoscevo Samuele e pure le nostre famiglie si frequentavano saltuariamente. Appartenevamo allo stesso movimento cattolico, segnato, come accade spesso, da una rigida separazione tra maschi e femmine, ad ogni livello. Samuele era esuberante e del tutto particolare. Con il tipico intuito dei bambini, accompagnato da una sorta di perfidia indagatrice, si era subito capito che Samuele era diverso dagli altri, comportandosi con atteggiamenti “da femmina” per i quali veniva canzonato in continuazione. Ma lui non se la prendeva. Anzi, si trovava a suo agio ad essere la “ragazza” del gruppo. Aveva pure una sensibilità fuori del comune, una venatura artistica poi sviluppata nel corso della sua esistenza. Anche il fratello gemello Simone, ora sposato con figli, ottimo chitarrista, condivideva con Samuele lo stesso estro.
La famiglia, che, oltre ai gemelli, contava altri due figli, era (ed è) molto cattolica. Il padre, Mario, conosciutissimo a Riva, già candidato democristiano a qualche elezione provinciale, fu tra i primi a “scoprire” la Madonna di Medjugorje, organizzando pellegrinaggi entusiasti e partecipatissimi. Sicuramente la sua impostazione era quella del cattolico tradizionalista: famiglia, devozione mariana, battaglia contro l’aborto, valori non negoziabili. Tuttavia, allo stesso tempo, grande era l’attenzione al volontariato, all’accoglienza di stranieri e di emarginati... Insomma un ambiente pienamente inserito nella comunità ecclesiale. Anche Mario però aveva quella vena artistica che i figli hanno ereditato.
In questo contesto crebbe Samuele, scoprendo piano piano la propria diversità. Erano 25 anni che non ci vedevamo, ma, attraverso i social network, avevamo ripreso i contatti. Non so come si sia evoluta la sua vicenda biografica fino alla decisione di cambiare identità sessuale. Per la famiglia è stato un lungo cammino di accettazione e comprensione. Tuttavia - di questo sono sicuro - la fine tragica di Samuelle non è assolutamente connessa a problemi famigliari o alla mentalità omofoba presente ancora in Trentino. Su questo si sono scritte parole completamente a sproposito, con accuse e polemiche che sono rimbalzate fin dentro l’aula del Consiglio provinciale.
No, Samuelle era amato e compreso dalla sua famiglia: al funerale la madre ha parlato di “figlia”, e tutti parlavano di Samuelle al femminile. Circostanza per nulla scontata, considerando anche il fatto di trovarsi in una chiesa stracolma di persone, con numerosi sacerdoti celebranti. Da questo punto di vista l’accettazione da parte della Chiesa locale della diversità di Samuelle era totale, a testimonianza che i fedeli cattolici “di base” hanno una sensibilità diversa rispetto alla gerarchia ufficiale, e lontanissima da quella di qualche lustro fa. Si può essere transessuali senza nascondersi, anzi rivendicando la propria particolarità.
Samuelle ne era consapevole. Per questo si era candidata alle ultime elezioni provinciali con il Movimento 5 Stelle, sfiorando l’elezione. Si era presentata con un’agenda libertaria: sarebbe stato davvero interessante vederla in un emiciclo oggi popolato da consiglieri di mentalità chiusa, specie quando si tratta di questioni di genere.
La sua patria di elezione però era Milano, la città della moda, dei lustrini e della televisione. Samuelle era finita “opinionista” allo show di Chiambretti su Mediaset chiamato in maniera banale “Grand Hotel”. Ovviamente Samuelle non era stata chiamata per particolari meriti, ma solo per il fatto di essere transessuale. La solita esibizione della diversità. Viene da domandarsi se effettivamente in questo modo si tutelano i diritti dei “diversi”. Se invece, anche quanti in teoria si sentono più “avanzati”, non trattino come fenomeni da baraccone quanti portano su di sé la fatica della diversità. Così per esempio avviene per i disabili: spesso finiscono in tv solo come marchette per fare audience. Altro che battaglia per i diritti! Purtroppo molti ci cascano. Ma il circo mediatico può travolgere e uccidere.
Ignoro se questo circo abbia anche travolto Samuelle. Certo è che arriva a farla finita proprio nel momento in cui sembrava all’apice della consapevolezza di se stessa. La sua affannata e disperata ricerca di identità sembrava aver raggiunto un equilibrio positivo. Così non era. Rimane il mistero su una vita esaurita troppo in fretta.
Impossibile trarre significati univoci da questa triste vicenda. Ognuno potrà fare le sue osservazioni. Ma personalmente ritengo di poter dire che né ovviamente la repressione della diversità, né la sua esaltazione sono le vie giuste per il rispetto di ogni persona. Evidentemente quando l’identità biologica confligge con l’identità sessuale autopercepita (mi perdonino gli esperti se utilizzo un linguaggio poco tecnico), sorgono problemi gravissimi e di difficile soluzione. Non risolvibili di certo con leggi omofobe o con normative libertarie.
Certamente l’aspetto fondamentale non è quello di trovare una via mediana, andando oltre gli opposti estremismi, quasi che la repressione venga messa sullo stesso piano del riconoscimento di diritti umani e civili fondamentali. Non mi sembra questo il punto. Sappiamo da che parte stare.
Tuttavia penso che sia illusorio, e anche alla fine sbagliato, inseguire un’omologazione dei transessuali (meglio dire, delle minoranze sessuali) a schemi identici a quelli degli altri. Quando c’è di mezzo l’identità sessuale, non bisogna lasciarsi andare al facile giudizio, alle soluzioni immediate. Sono situazioni di per sé molto ardue che rimandano agli abissi della libertà e dell’essenza della specie umana. Non si può buttare tutto “in politica”, tentando di razionalizzare sempre, cercando sempre un colpevole. Ma la questione resta aperta.