Pensieri deboli
E così Matteo Renzi è passato dalle rivoluzioni una al mese (“A marzo nuova legge elettorale, ad aprile il Jobs Act, a maggio la giustizia, a giugno la pubblica amministrazione...”) ai “mille giorni” al “passo dopo passo”, alle risposte puntute a chi - Draghi o altri - gli chiede di muoversi con tempi adeguati.
Bene, alle precedenti sbruffonate non credevamo proprio. E probabilmente non ci credevano nemmeno gli italiani che massicciamente lo hanno votato, più perché ha saputo rappresentare l’esigenza di un cambiamento radicale, che non i contenuti, latitanti o arruffati. Bene quindi che ora ai contenuti si voglia arrivare, lasciandosi alle spalle l’ansia di rappresentare la velocità a tutti i costi.
Qui però ci sembra convivano sia benemerite impostazioni, sia sconcertanti superficialità e carenze. Tra le prime, ottimo, inserito in una visione strategica di ampio respiro (la crisi affrontata attraverso una redistribuzione del reddito) è il provvedimento degli 80 euro ai lavoratori; e così l’obiettivo di risolvere alla radice il precariato nella scuola. Tra le seconde, la figuraccia internazionale sull’Alto Rappresentante per la Politica Estera Europea, con il nostro che aveva esordito con “non contano i nomi, ma le politiche” per poi invece incaponirsi nel volere assolutamente il “suo” nome (e chissà quanto stiamo pagando la soddisfazione di questo sfizio partitico, anzi personalistico, per una carica in realtà poco significativa); le drammatiche oscillazioni sul tema pensioni\allungamento della vita\durata del lavoro, con un’indecorosa altalena tra prepensionamenti anche forzati e forzati prolungamenti dell’età pensionabile; la conclamata nuova centralità della scuola (nuova? Anche Prodi diceva “i tre primi punti del programma sono: 1. Scuola 2. Scuola 3. Scuola” e poi abbiamo visto) e giunti al dunque, la polpa della riforma sarebbe togliere un anno di scuola; la condiscendenza verso il pensiero unico che invoca nuova flessibilità sul lavoro, quando di flessibilità ce n’è stata anche troppa, e il tema vero, se si vuole un tessuto industriale di qualità, è avere maestranze preparate e quindi non certo raccogliticce e precarie, oppure sotto sotto si pensa di mettersi in concorrenza con i serbi e magari i vietnamiti?
Anche in Trentino stiamo vedendo gli effetti di questa debolezza di pensiero. Si vuole “sbloccare” la PiRuBi perché i conseguenti lavori porterebbero a un incremento del PIL, incuranti del fatto che un’autostrada inutile e quindi in perdita (vedi a pag. 6) viene pagata da aumenti di pedaggio nelle autostrade utili, e da un dirottamento di finanziamenti dal trasporto su ferro ancora a quello su gomma. Insomma, nella migliore delle ipotesi (c’è poi l’altra, si fanno queste cose perché ci sono le lobby e i ministri - Lupi in questo caso - alle loro dipendenze) si tratta di stanca subalternità al frusto mito del PIL, visto come unico parametro cui improntare la politica economica, anche a costo di fare “investimenti” dannosi, che in realtà rendono il sistema più inefficiente. Insomma, cascano le braccia.
Anche in Provincia registriamo un’analoga debolezza di pensiero, peraltro non accompagnata da una pur confusa volontà riformatrice. A meno di non considerare riforme il doveroso smantellamento delle più dispendiose velleità dellaiane, da Metroland alle scuole a Piedicastello alle Comunità di Valle (ma qui il percorso è più complesso).
Debolezza di pensiero, dicevamo: solo quella può spingere a sostituire il Trentino oasi naturale degli orsi con quello fatto di kartodromi, motorazze, motoslitte, quad. Solo un pensiero debole può depotenziare i controlli ambientali, quando è sulla riconosciuta naturalità del territorio che si basa la nascente filiera dell’impresa ecosostenibile. Solo quello può attentare alle biblioteche, autentico presidio di cultura e istruzione soprattutto per le classi non abbienti. Solo quello ancora preferisce il vecchio esausto invece del nuovo che sta nascendo, accanendosi con milioni regalati a imprese decotte (e magari gestite allegramente) invece che favorire la crescita di nuova imprenditorialità. E ci stiamo limitando a casi, come il lettore vedrà, trattati in questo numero.
La realtà è che in piazza Dante si naviga ancora con gli obsoleti strumenti della politica dorotea: clientela, nomine di sottopancia nei posti che contano, allergia per eventuali vincoli al potere del boss di turno. Questi, che erano difetti gravi nei decenni scorsi, oggi sono peccati capitali. E accompagnati a una mancanza di visione complessiva, generano un potere che rischia di essere del tutto inadeguato.
Si dice di Ugo Rossi che abbia tutti i pesanti difetti di Dellai, senza averne i pregi. Ed è in questa sostanziale mancanza di visione e quindi di guida, aggravata dalle tare del partitismo, che rischiano di impantanarsi l’Italia e il Trentino.