L’economia della casta
Le fabbriche chiudono ma i risultati non contano, la casta si blinda e prosegue negli sprechi milionari.
A Gardolo la Whirlpool chiude, in 450 vanno a casa. Colpa di Dellai, dicono in tanti, che sei anni fa comprò alla multinazionale il capannone, regalandole 45 milioni, per trovarsi con un pugno di mosche in mano. Non siamo d’accordo: il capannone è rimasto di proprietà provinciale e quindi i 45 milioni non sono svaniti; in compenso in sei anni Whirlpool ha liquidato 120 milioni di stipendi e 60 milioni di commesse ad aziende trentine. Qui Dellai non ha sbagliato. È invece tutta la politica economica, la concrezione di interessi rappresentata dal Trentino dellaiano, da rivedere.
Nell’editoriale di Piergiorgio Cattani spiega bene la blindatura del ceto politico, fermo nell’impedire ogni rinnovamento, all’insegna del totale immobilismo degli uomini e delle idee.
Qui vediamo come questo principio si applichi alla società e soprattutto all’economia, immobilizzata anch’essa.
I “valori” di Schelfi
Primi di giugno, l’Upt propone, come candidato governatore del centrosinistra il presidente della Federazione Cooperative Diego Schelfi. Così risponde il segretario del Pd Michele Nicoletti: “Da parte mia c’è un apprezzamento positivo di questo nome, per le competenze e perché esprime valori comuni della coalizione”. Vale a dire: il fatto che Schelfi rappresenti la compromissione più evidente con i poteri forti (la finanziaria Isa, di cui è stato presidente e verso cui ha benedetto il trasferimento di soldi dagli ignari contadini della LaVis), l’inamovibilità al potere (4 mandati), il vuoto spinto in fatto di riforme in un settore che arranca: tutto questo non ci interessa. Anzi l’uomo “esprime valori comuni”. È l’appartenenza alla casta il vero valore. Che poi questo si traduca in progressiva paralisi di un ambito vitale dell’economia e della società come la cooperazione, non interessa.
È questa la gente che decide la politica economica del Trentino.
Contemporaneamente viene in superficie un tentativo di differenziare la rappresentanza economica. A livello nazionale Coldiretti ha dato vita a una nuova centrale cooperativa, Ue.coop, “perché c’è l’esigenza di avere una rappresentanza diversa, più adeguata ai tempi attuali, in un mondo che si è arroccato attorno alle posizioni di potere”- ci dice il Presidente della Coldiretti trentina Gabriele Calliari, che si è dato da fare per raccogliere anche in provincia adesioni di coop alla nuova centrale. “C’è uno scollamento evidente fra gli interessi dei soci e quelli dei vertici, meno drammatico da noi, pur tuttavia presente”.
Non lo avesse mai fatto! Il bonario Schelfi, dimessi gli abiti del pacioccone, gli si è scagliato contro con inusitata virulenza, sulla stampa, nelle assemblee, perfino a una cena di beneficienza, mentre tra le coop veniva fatta circolare la voce che chi aderisce alla nuova rappresentanza si troverà contro il sistema, dalle casse rurali per i finanziamenti al Sait per gli acquisti dalle coop agricole.
Insomma, in Trentino non può, non deve esserci concorrenza. La casta deve controllare tutto. Tanto più se è inefficiente, come nel caso della Federazione di Schelfi, e se un’eventuale concorrenza potrebbe portare a un rinnovamento.
Ma Schelfi, certifica Nicoletti, è un uomo d’onore, “esprime valori comuni”.
E gli sprechi continuano
Dei grandi sprechi di Dellai, a centinaia di milioni, ai settori, alle aziende, nonché alle finanziarie amiche, abbiamo parlato in molti servizi. Ora, con il grande capo a Roma, in questi tempi grigi, si penserebbe che la musica sia cambiata. Non è cambiato invece nulla, la giunta Pacher prosegue sulla stessa rotta, mangiandosi gli ultimi milioni.
Apprendiamo da un’interrogazione del consigliere Bruno Firmani (Italia dei Valori) che con una recente delibera la Giunta ha deciso di acquistare a Trento, in via Roberto da Sanseverino, “un’area limitrofa al Not, segnatamente la zona ex Enderle, ad un costo stimato di circa 6.000.0000 di euro... area che, solo pochi anni fa, nel 2006, era stata stimata per un valore di 2.500.000 euro”.
“È una zona di futura espansione del NOT” risponde il presidente Pacher. Nella cartina del Catasto che riportiamo a fianco si chiarisce meglio: l’area azzurrina è quella attribuita al Nuovo Ospedale, l’area in questione è la D7, di color violetto. Non si capisce bene perché:
1) il NOT abbia bisogno di “future espansioni”, dal momento che il Comune ha riservato per l’ospedale un’area di ben 17 ettari (il vecchio ne occupa meno di 6) all’interno di un’area di 23 ettari. Quindi esistono già 6 ettari di “futura espansione”, non si vede perché acquistarne altri. Anche perché 17 ettari per un ospedale sono uno sproposito, solo uno dei 4 progetti del concorso (ahinoi, quello vincitore) li ha occupati tutti sparpagliando casette, gli altri tre hanno occupato poco più della metà dell’area;
2) ci si debba espandere verso la D7, che con l’ospedale è poco contigua, perché di mezzo c’è la B1, dove sorgono dei condomini (vedi la mappa a lato).
3) ammesso e non concesso che sia così vitale espandersi, come mai lo si è deciso ora, e non nel 2006, quando già ci si apprestava a varare il Not.
4) si intendano pagare 6 milioni. È una cifra fuori di testa. Gli acquirenti avevano pagato il terreno due milioni e mezzo prima della crisi. Poi - ci risulta - avevano tentato di rivenderlo senza successo. In ogni caso su quell’area le norme urbanistiche, nel frattempo rimaste immutate, consentono costruzioni per una cubatura complessiva di 14.432 metri cubi. Un terreno vale in funzione dei metri cubi edificabili, ad un valore - oggi, con la crisi - fra i 150 e i 200 euro a metro cubo. Quindi il valore massimo, se si vuole essere generosi, è 14.432 x 200, cioè 2.886.000 euro. Come mai si vogliono spendere sei milioni?
Qui Pacher dà il meglio: “I sei milioni sono la cifra massima che siamo disposti a pagare”. Ma come? Fai una trattativa e dici: io sono disposto a pagare più del doppio? Ma Pacher fa così con i suoi soldi?
In conclusione: anche due milioni e mezzo sarebbero buttati dalla finestra. Essere disposti a darne 6 è la prova che siamo di fronte a una regalia. Cara, costosa. Sei milioni sono i tagli alla scuola.
È la solita storia: la Giunta ha gli amici, e questi vengono generosamente foraggiati.
La cultura dei due (?) presidenti
Il 21 giugno c’è l’assemblea degli industriali. Il presidente Paolo Mazzalai si scaglia contro la Giunta provinciale. Per via della burocrazia (d’accordo) perché non fa la PiRuBi (ma per favore!), perché “i nostri investimenti sciistici sono condizionati dai canti del gallo forcello”. E qui non ci siamo proprio: perché “gli investimenti sciistici” sono, come ampiamente noto, sostenuti dall’ente pubblico, che concede fantastici contributi all’atto della costruzione e poi ripiana i debiti agli “investitori”; ma soprattutto perché il turismo vive di naturalità; contrapporlo all’ambiente è una contraddizione in termini, Mazzalai applica all’ospitalità la cultura del padrone delle ferriere.
Ma il peggio è la risposta dell’assessore di riferimento, Alessandro Olivi: “Nella prossima legislatura metteremo assieme, in un unico assessorato, Industria e Ambiente”. Il che vuol dire riconoscere il contrasto fra industria e ambiente, con buona pace della green economy verso cui (vedi il servizio d’apertura sul Muse) le menti minimamente lungimiranti cercano di indirizzare il Trentino.
E Olivi è un autorevole candidato, grazie alla blindatura partitica delle primarie, alla prossima presidenza. Con questa cultura sorpassata da almeno un decennio, con questa casta abbarbicata al potere, dove può andare il Trentino?
Quali risposte potranno mai dare costoro alle prossime Whirlpool?
Firmani: “Io ci ho provato, inutilmente”
L’ imminente chiusura della Whirpool, che abbandonerà il Trentino lasciando senza lavoro 468 lavoratori, più 300 dell’indotto, è caduta come una tegola sulla testa di assessori, dirigenti e sindacati, nonostante il contratto di lease back fosse prossimo alla scadenza.
Bruno Firmani, docente universitario con una passionaccia per la matematica applicata, in Consiglio Provinciale suona l’allarme dal 2008, provando a riproporre ogni volta il tema dell’urgenza di attività produttive innovative al centro del confronto politico. Nel 2009 con un convegno a Pergine dal titolo “Occupazione e riconversione industriale”, poi con la proposta della creazione di un tavolo attorno al quale convocare tutti i soggetti interessati (Provincia, parti sociali, banche, cooperazione) per selezionare 4 o 5 progetti adeguati a varare lo start up in Trentino. Da ultimo cercando di portare in Trentino realtà produttive da fuori provincia. Peccato che si sia trovato di fronte un muro di gomma.
Per quale motivo consigliere Firmani?
“Non lo so. Posso solo dire che è stato un calvario. Nel maggio scorso mi hanno presentato un’azienda tecnologica, molto innovativa, che produce plastica da cereali. L’azienda darebbe lavoro, da subito, a circa 100 operai. Occorreva un capannone molto grande e soprattutto molto alto, che in Trentino non esiste. Avrò fatto quattro o cinque incontri con dirigenti provinciali, con Trentino Sviluppo, con l’assessore all’industria. Un decorso che oserei definire surreale per la lentezza. Tra un incontro e l’altro passano mesi per avere una mezza risposta, con sollecitazioni continue. In Trentino abbiamo un esercito di dirigenti che fanno continuamente riunioni, ma non si arriva mai a niente”.
A che punto è l’iter?
“Si è stabilito che serve un bando europeo e poi bisogna trovare l’area, progettare, approvare e costruire. Morale: tre anni per aprire un’attività di un certo rilievo, più il tempo perso fino ad ora.. Ma come volete che facciano gli imprenditori a lavorare con questi tempi?”.
Si potrebbe fare a Spini di Gardolo, al posto della Whirpool?
“Non lo so, ho sollecitato il presidente di Trentino Sviluppo, le dimensioni del capannone potrebbero andare bene, però ho letto anche di altri progetti industriali. Ciò che conta è creare lavoro e fare in fretta”.
Che ne pensa della vicenda Whirpool?
“Abbiamo perso Malerba, poi Sony ed altre... possibile che non si sia ancora presa coscienza che l’archeologia industriale non sopravvivrà?, Bisogna attirare produzioni innovative e si sarebbe dovuto cominciare almeno dieci anni fa!”
Elena Baiguera Beltrami