Acquedotto di Trento: rimandato a novembre
Le accuse de lprof. Mattei deflagrano sulla proposta del sindaco di “riacquisto” delle canne dell’acqua
Quando martedì 18 giugno il sindaco di Trento Andreatta si è presentato al consiglio comunale che doveva decidere sulla nuova società per la gestione di acquedotto e rifiuti dicendo che ritirava la parte sull’acquedotto (rimandando la discussione a dopo l’estate), e mandava invece avanti solo la parte sui rifiuti, c’è stato un generale sospiro di sollievo. Le opposizioni - coalizzate destra e sinistra - avevano annunciato un pesante ostruzionismo che avrebbe potuto paralizzare il consiglio per numerose settimane.
La scelta del sindaco provava a rasserenare gli animi, dando ulteriore spazio ad un confronto tirato fuori dal freezer ideologico-elettorale in realtà solo da qualche settimana, grazie all’intervento del professor Ugo Mattei (giurista di fama internazionale specialista di beni comuni, docente all’università di Trento negli anni ‘90), che è entrato nel merito delle scelte proposte dall’amministrazione tramite interviste ai quotidiani e grazie ad un video-collegamento con un gruppo di consiglieri comunali della città, mettendo in campo una carica di concretezza giuridico-amministrativa che prima era mancata, non disgiunta naturalmente dal ruolo di custode del referendum sull’acqua del 2011, di cui è stato uno degli estensori.
Quella che è esplosa in mano al sindaco è stata una questione della quale questa testata aveva segnalato la difficoltà fin da subito dopo i referendum (vedere QT del gennaio 2012): il fatto cioè che la privatizzazione dei servizi idrici a Trento era già arrivata ad un livello così spinto da creare problemi per l’applicazione del referendum, avendo comportato, grazie ad un non recente gioco di scatole cinesi fra società-contenitori, la perdita del controllo proprietario sulla stessa rete (le “canne dell’acqua”), cosa insolita in Italia (è il caso controverso di un’unica fra le grandi città: Genova). Chi controlla le “canne dell’acqua”, che sono il collegamento con il consumatore finale, ovviamente ha un potere sostanziale su tutto il processo dei servizi idrici, perché ha in mano un monopolio naturale che può condizionare la determinazione del costo del servizio (se chi ce l’ha in mano, un domani, decide di voler raddoppiare il profitto che ne ricava?). La proposta del sindaco era quella di scorporare il ramo acqua da Dolomiti Energia (DE), la Società per azioni mista (con dentro privati) che gestisce ora il servizio per conto del comune, e costituire assieme al comune di Rovereto (e ad altri comuni, eventualmente) una nuova Spa, con le azioni tutte in mano agli enti pubblici, che dovrebbe riacquistare la rete della città al carissimo prezzo chiesto da DE: 37 milioni (anche se il sindaco sostiene di non aver usato il termine “acquistare”, ma la sostanza è questa).
Rovereto aveva già votato una analoga delibera d’indirizzo, senza problemi perché non ha la palla al piede di una rete appartenente a qualcun altro. Infatti nel momento del passaggio dei servizi idrici roveretani, a fine anni ‘90, dalla municipalizzata alla società mista che poi sarebbe diventata DE, aveva conservato al comune la proprietà delle “canne dell’acqua”, quelle che c’erano allora, ovviamente. Ora, al momento della ripubblicizzazione chiesta dal referendum, ha il problema di rimborsare DE di quanto fatto direttamente dalla Spa negli anni successivi fino ad oggi (per qualche milione), ma non di dover riacquisire tutta una rete scappata di mano.
La soluzione scelta dal sindaco di Trento avrebbe forse potuto passare qualche anno fa, in tempi di vacche grasse e dellaismo trionfante, che considerava una virtù dare soldi ai privati (meglio se politicamente amici). Ma ha portato male in tempi di austerità e crisi economica. Le opposizioni hanno fatto muro, e a questo punto s’è inserito Mattei dicendo che il possesso della rete da parte di DE ha un intrinseco vizio di legalità, perché gli acquedotti sono demanio pubblico fin dal primo codice civile italiano, quello napoleonico del 1804, ed il principio della loro demanialità è sempre rimasto centrale nella normativa civilistica italiana, attraversando indenne ogni mutazione di forma dello stato. Era in vigore quindi anche quando, sotto il regime fascista, la rete di Trento è finita - disattendendo il Codice Civile - nelle mani di una prima società, confluita in tempi recenti in DE.
Dunque il problema dell’acquisto non si porrebbe nemmeno; si tratterebbe - secondo Mattei - di computare un rimborso delle spese, detraendo naturalmente i contributi pubblici intervenuti in questi anni, ma non di acquistare a prezzo di mercato. Aggiungendo minacciosamente, nell’intervista all’Adige del 7 giugno che “chiunque può impugnare al TAR una procedura di questo tipo. Ripeto: le reti idriche non possono essere di proprietà privata”.
Andreatta per la verità è sempre stato conciliante, si è offerto di stralciare dalla delibera gli oneri dell’acquisto della rete, rimandando la cosa a successivi “approfondimenti”. Ma è stato delegittimato dai suoi stessi funzionari comunali, che hanno sostenuto la necessità dell’acquisto (con qualche conflitto di interesse, secondo le opposizioni, dato che sono presenti negli organismi dirigenti di società coinvolte nell’operazione), e soprattutto dall’amministratore delegato di DE Merler, che in una intervista all’Adige dell’8 giugno, ha sostenuto che “nel momento in cui un bene transita da un soggetto all’altro c’è sempre un indenizzo, un rimborso di valore, chiamiamolo come vogliamo”, e che il prezzo risulta dall’applicazione della legge provinciale 6/2004, che “stabilisce dei criteri, e sulla base di quelli abbiamo provvisoriamente calcolato un dato, che poi dovrà essere verificato con precisione al momento di fare l’operazione”. Cioè: cacciate i soldi se volete la rete (dimostrando nel modo migliore che una Spa, anche se è a maggioranza pubblica come DE, agisce sempre in una logica aziendalistica orientata al profitto, e quindi non è proprio l’ideale per fare semplicemente l’interesse generale).
Adesso la questione slitta a novembre. Evidentemente l’amministrazione spera che, passate le elezioni provinciali, in vista delle quali si è certamente infiammato qualche animo in più, e fatta qualche verifica sui costi che indubbiamente mancava, la cosa possa prendere un altro binario. Ma le questioni, quelle di fondo indicate da Mattei, resteranno sul tappeto se non si affronteranno in altro modo. E l’ultima intervista di Andreatta all’Adige del 20 giugno, nonostante il bon ton e l’annunciata disponibilità al confronto, ripropone la questione fondamentale della proprietà della rete in modo non dissimile.
All’affermazione di Mattei che la proprietà della rete di Trento in mano a DE sarebbe “usurpazione di un bene demaniale”, risponde di avere “pareri che sostengono che invece è possibile”. Per questa via non solo restano sullo sfondo le prospettive più fosche adombrate da Mattei (ricorsi, ma addirittura una possibile “responsabilità erariale” per gli amministratori che acconsentissero all’acquisto), ma proprio non verrebbe affrontata la questione di fondo: il recupero della proprietà della rete all’unico legittimo proprietario, l’ente pubblico. Il transito della proprietà da una società mista pubblico-privata non al comune ma ad un’altra società, seppur non mista, evidentemente non risolve la sostanza della questione. Il rischio che, dopo l’estate, la questione si riproponga senza poter fare gran passi avanti non è scongiurato. E quindi anche la possibilità che continui tutto a trascinarsi così com’è, nonostante il referendum.
Il Pdl, nonostante l’impegno sicuramente onesto di qualche suo consigliere, dichiarava fin dall’inizio all’Adige del 24 maggio che “tutto sommato si potrebbero lasciare le cose così come sono”. Non a caso sono il partito di Andrea Ronchi, quello che gli acquedotti pubblici voleva farli decadere per decreto.