Marmolada: uno storico accordo
Dopo anni di conflitto ambientalisti e imprenditori progettano insieme la rinascita di una grande montagna
Strano destino quello della Marmolada. Nei primi anni del secolo scorso, grazie alla maestosità e alla verticalità della parete Sud, era la meta più ambita dei grandi alpinisti. E poi è stata il primo campo di sci alpino in Europa nel periodo tra le due guerre, dopo le violenze delle battaglie della prima guerra mondiale. Con l’invenzione geniale da parte delle truppe austriache della Città di ghiaccio. Ed ancora ha ospitato uno dei primi impianti di risalita dell’Europa, la costruzione della complessa diga di Passo Fedaja e l’avvio di un turismo importante: fino a trent’anni fa la Marmolada era la montagna mito, la montagna perfetta, la montagna, nel bene e nel male, dell’innovazione.
Con gli anni ‘80 è iniziato il declino. Fino alla assoluta marginalità d’oggi. Canazei ha puntato tutte le attenzioni verso Passo Pordoi: un comune, come del resto tutta la valle di Fassa, sottomessa ai voleri della SITC (Società di Incremento Turistico Canazei). La Marmolada è così divenuta terra di conquista: una funivia fino a Punta Rocca aggressiva che ha stravolto paesaggio e senso della montagna, esercizi alberghieri semi abbandonati, il CAI che vende il rifugio Castiglioni, l’alpinismo impostato sulla velocità che trasforma la parete Sud in una palestra artificiale. E questo è avvenuto nonostante le imprese pulite di Reinhold Messner, di Alessandro Gogna, del trentino Maurizio Giordani. Una decadenza non solo paesaggistica, ma soprattutto culturale, come dimostra la trentennale guerra dei confini fra Canazei e Veneto.
Perfino le associazioni ambientaliste nazionali l’avevano abbandonata (anni ‘80): sia in Veneto che in Trentino, la definivano una montagna perduta, ormai inutile. Ed il CAI su di essa ha sempre mantenuto un colpevole silenzio, fingendo di non vedere quanto vi accadeva.
Ma cosa accadeva di tanto grave? Nei seracchi del ghiacciaio si gettavano tonnellate di rifiuti, dall’arrivo della funivia lungo la parete Sud scendeva ogni genere di oggetto e le grandi vie erano solcate dai liquami di fognature, dal getto di oli esausti, i massi del ghiaione sottostante erano nascosti da una diffusa discarica, anche per responsabilità del mondo alpinistico. Sulla parete Nord, la conca che ospita il ghiacciaio, sprazzi di imprenditoria trentina venivano umiliati dai veneti a colpi di esplosivo (1973), ogni etica era andata perduta. Tanto da portare in vetta a Punta Rocca il campo di atterraggio degli elicotteri, da imporre una partita di golf sul ghiacciaio (1997), piste aperte abusivamente (2002), il ghiacciaio strappato per i lavori di rifacimento della funivia, ed ancora l’uso dell’esplosivo per far posto a scale e terrazze.
Neppure le istituzioni vedevano quanto vi accadeva: la montagna era destinata al silenzio, alla decadenza. Solo una associazione si è fatta carico dei problemi presenti sulla montagna, dai rifiuti all’uso improprio dell’elicottero, dalla pulizia alle scelte di sviluppo, con una campagna aspra, arrivata più volte anche nelle sale dei tribunali, Mountain Wilderness.
I risultati di un dialogo che sembrava impossibile
Mountain Wilderness non ha solo tenuto continuità di impegno, ma ha portato in Marmolada un nuovo modo di fare ambientalismo. Un modo propositivo, che ha sempre cercato di imporre agli enti pubblici il confronto, che li ha snidati. Un ambientalismo forte perché costruito su amicizie personali, basato sulla fantasia, anche sul gioco, sollevando temi diversi, dall’acqua bene pubblico (2 agosto 2003) alla democrazia diretta, dalla pianificazione su vasta scala al coinvolgimento di istituzioni come la Chiesa (intenso il rapporto con la diocesi di Belluno). E tanto coraggio, con notti passate in vetta, subendo minacce e venendo vissuti dalle popolazioni locali come un disturbo.
Che qualcosa stesse cambiando lo si è notato con la pubblicazione nel luglio 2011del libro “Marmolada” di CIERRE editore. Un libro nuovo, un modo innovativo di proporre la montagna, dove scienza, cultura, identità, storia, economia, mito si intrecciavano, con straordinarie foto: un nuovo modo di descrivere le montagne. L’interesse che ne è seguito lasciava presagire cambiamenti ben più importanti, i cui attori sono stati l’imprenditoria impiantistica locale, la Società Funivie che gestisce la funivia che da Malga Ciapèla sale a Punta Rocca, e Mountain Wilderness. Fra questi due soggetti, tanto era aspro il conflitto fino al novembre scorso, che l’avvio di un dialogo sembrava impossibile. Ma la pazienza e la fiducia reciproca e l’intelligenza degli avvocati delle parti sono invece riusciti dove la politica, trentina e veneta, aveva fallito, offrendo alla società civile un progetto di sviluppo d’area.
Tutto è iniziato con una scelta coraggiosa. La società ha chiesto a MW cosa volesse in cambio di un dialogo. Una risposta secca: togliere agli elicotteri la possibilità di atterraggio in vetta. Detto fatto, pochi giorni dopo, il 27 dicembre 2011.
Da quel momento il confronto è stato intenso con l’obiettivo di arrivare a rendere espliciti gli obiettivi dello sviluppo della montagna, attività sciistica compresa. Per svegliare il mondo politico, superare i limiti del patto fra Regione Veneto e Provincia di Trento del 2003, e superare la concezione centralistica del progetto della Provincia del 2005. Per portare i due comuni, Canazei e Rocca Pietore a ridimensionare assurde ambizioni in un ulteriore assalto infrastrutturale alla montagna (Canazei aveva rifiutato nel 2005 un piano di rilancio finanziato con 50 milioni della Provincia solo perché non conteneva la previsione dell’arrivo di un impianto a Punta Rocca). In pratica la società e l’associazione si sono impadroniti della scena, costruendo un passaggio di cittadinanza attiva e facilitando i prossimi percorsi istituzionali.
In concreto...
Cosa sta scritto nel progetto? La cornice è salda: ogni previsione è basata sul rispetto dei protocolli della Convenzione delle Alpi e di Dolomiti UNESCO. Si è affrontato il tema dell’accessibilità e della mobilità, il più possibile pubblica, anche in ferrovia. Per lo sci si prevede una pulizia delle strutture e il collegamento fra area trentina e veneta, rispettando il ghiacciaio. Si prevede una riqualificazione paesaggistica di Passo Fedaja, la realizzazione della pista ciclabile attorno al lago, un forte investimento in cultura naturalistica e nella conservazione, con la strutturazione di Rete Natura 2000, il recupero di tante nicchie ambientali finora trascurate, la lettura della Grande Guerra, la varietà geologica della montagna.
Ma l’insieme, più che un piano ambientale, come sottolineato dal Presidente della società Mario Vascellari, è un piano sociale. Infatti si chiede agli enti pubblici di diversificare le offerte di lavoro nel turismo, di attivare formazione continua, di sostenere i servizi pubblici, dalla sanità all’aiuto alle famiglie, di evitare la fuga dei giovani e dei saperi.
Una particolare attenzione è riservata al risparmio energetico, alla gestione delle risorse limitate, alla sostenibilità degli interventi. Il tutto è sostenuto da una necessaria politica di marketing per pubblicizzare un prodotto di alta qualità: il distretto culturale della Marmolada.
E come ambizione ultima i due attori chiedono ad altre realtà alpine di recuperare questo metodo di lavoro, utilizzandolo come laboratorio di innovazione, di democrazia diretta.
Ora tocca alle istituzioni raccogliere la scommessa: il terreno è stato liberato da quello che pareva l’ostacolo insormontabile, l’eterno conflitto fra sensibilità ambientalista e interessi imprenditoriali. Ed è un passaggio per ora unico in Italia. Questi due soggetti hanno elaborato una proposta forte, che apre ad altri interlocutori, sia dell’associazionismo che della imprenditoria. È ora compito della politica cogliere l’opportunità, fare sintesi e specialmente intervenire per risolvere le troppe emergenze che si sono accumulate attorno alla Regina delle Dolomiti.