Delicatezze e ipocrisie
Un tempo esisteva il mongoloide; ma quando il termine cominciò ad essere frequentemente utilizzato come insulto, si passò a persona down. Operazione sacrosanta. Analoga dinamica produsse la correzione di negro in nero. Qui sono meno chiare le motivazioni: forse fu una meccanica ripetizione di quanto accaduto negli USA (dal razzista nigger al “corretto” black), anche se in Italia negro non aveva connotazione negativa. Due esempi, comunque, di sensibilità sociale.
Ma a volta la delicatezza deborda nell’idiozia: vedi il cieco diventato non vedente e il muto non-udente (questo usato solo in televisione, per rimandare all’apposita pagina del Televideo o annunciare i Tg dedicati). Per fortuna la stupidità si è fermata davanti ai sordomuti, perché non-udenti-non-parlanti sarebbe stato decisamente troppo.
C’è poi il caso complesso dell’invalido, termine anodino con cui si indicava chi aveva dei guai fisici; per le patologie psichiche c’erano invece espressioni orribili, da ritardato a deficiente, a matto. Costoro, d’altronde, se ne stavano chiusi in manicomi, istituti o in una reclusione domestica dettata dalla vergogna. Quando il clima cominciò a cambiare, nacque l’handicappato (cioè svantaggiato), fisico o psichico, che fu una soluzione accettabile finché anche questo vocabolo, al pari di mongoloide, fu utilizzato soprattutto come insulto. Nacque allora disabile (anche qui: fisico o psichico), e a questo punto ci si poteva finalmente fermare. Ma no, non bastava ancora ed ecco il bugiardo diversamente abile, che giustamente ha dato la stura alle gag televisive: l’impotente presentato come diversamente trombante.
Forse se invece di inventare ridicole espressioni (che spesso imbarazzano per primi i soggetti che si vorrebbe tutelare), ci si dedicasse con più impegno all’eliminazione delle barriere architettoniche, i disabili - o come diavolo volete chiamarli - sarebbero più contenti.