In strada a Trento
Sono molte le persone che vivono in città senza una casa. Oltre a freddo, povertà e tensione, devono affrontare anche il senso di esclusione dal resto della cittadinanza. E il progetto di rinnovamento di Piazza Dante apre nuovi interrogativi.
“Fino a nove anni fa dirigevo una ditta familiare; stavo bene, non avevo grosse preoccupazioni, il mio lavoro mi dava soddisfazione. All’improvviso, senza che me l’aspettassi, la mia famiglia è andata in crisi. Ho perso contemporaneamente moglie, figlia e metà dell’azienda, che non ce l’ha fatta. Ho fatto tutti i mestieri che potevo, finché trovarne è stato sempre più difficile. Dopo trent’anni di lavoro edile è difficile trovare anche un posto come mulettista” racconta Orlando Zandonella, in strada da un anno.
“Io ho sempre lavorato in magazzino. - dice invece un ragazzo - Stavo bene, il mio datore di lavoro si fidava di me. Da quando ho avuto un brutto incidente in macchina, non ho più potuto lavorare per molto. Se sei in affitto, ci vuole poco a finire qua”.
A Trento, ormai da anni, vivono molte di quelle persone che gli scienziati sociali amano definire “marginali”. Persone che non hanno una dimora o che sono comunque escluse da molti dei benefici lavorativi, economici e sociali che la grande maggioranza dei trentini considera dei fatti scontati. Gruppi che intrecciano tra loro e con la città relazioni diversificate e complesse. Relazioni che varrebbe la pena comprendere, la cui complessità è invece troppo spesso inghiottita dalla banalità del discorso mediatico e della speculazione politica. Infatti c’è molto di più, dietro a chi vive in strada, della “non voglia di lavorare” e della vita di espedienti che viene loro attribuita dal senso comune. “L’incomprensione è uno dei problemi più grossi. - ci dice Claudio Bertolli, che da tre anni va ogni settimana in piazza Dante con l’associazione Volontarinstrada - La maggioranza della gente non capisce che coloro che vivono in strada sono esattamente come loro, non sono persone verso cui provare diffidenza o timore. Semplicemente, in alcune circostanze chiave della loro vita hanno avuto più sfortuna”.
Che sia così, bastano poche ore di chiacchiere per rendersene conto; in strada ci sono molte storie diverse tra loro, ma spesso con un filo conduttore simile. In moltissimi casi, vite affettive e lavorative “normali” hanno conosciuto rotture troppo nette per essere ricomposte, lasciandosi dietro segni psicologici, e spesso fisici, difficili da cancellare.
La crisi economica pesa molto, con i suoi effetti sul lavoro. Per chi non ha una rete familiare solida il salto dalle stelle alle stalle è molto più rapido di quanto si possa pensare, una volta persa la propria fonte di reddito. Discorso che vale soprattutto per gli stranieri, che hanno da affrontare anche una burocrazia sempre più ostile ed irrazionale. “Ho lavorato dieci anni qui, ho girato tutte le fabbriche del Nord Italia, e ora dormo sulla strada e rischio di perdere il permesso di soggiorno. Ti sembra giusto?” è un’affermazione che si sente spesso. Ci sono poi i giovani e giovanissimi, che pagano spesso il dazio di aver attraversato le abituali difficoltà dell’adolescenza in ambienti ostili, o semplicemente impreparati.
L’incubo della notte
Tutte queste persone devono fare conto sulle poche risorse a disposizione per soddisfare le esigenze di cui ogni essere umano sente la necessità. Un pasto sufficiente, un luogo dove dormire senza congelare, il contatto con altri esseri umani, minime forme di sostentamento. A Trento, mangiare non è un grosso problema. Il Punto d’incontro a pranzo ed i frati cappuccini a cena offrono pasti soddisfacenti per qualità e quantità.
Diversa è la questione per tutto il resto. Il freddo invernale è al momento il maggior problema da affrontare. I dormitori ci sono, ma sono pochi. Un calcolo preciso è difficile da fare, ma il numero di persone che ogni notte, a Trento, deve arrangiarsi per cercarsi un rifugio di fortuna va dal centinaio all’insù. Ci si distribuisce tra case e fabbriche abbandonate, garage e sottoscala concessi da conoscenze. Qualcuno possiede delle tende, altri un’automobile da usare come rifugio. In ogni caso, senza un piumino od un sacco a pelo da alta montagna, è facile immaginare come il dormire in questi posti possa essere un’esperienza estrema.
Le relazioni sociali hanno invece il loro fulcro nella centralissima piazza Dante. Pur non essendo luogo di pernottamento, è lì che da anni si intrecciano i rapporti di una parte consistente di chi vive in strada a Trento. “La cosa più impattante- afferma Claudio Bertolli - è l’incredibile umanità che vedo nei rapporti tra le persone in piazza. Una solidarietà che è poco comune in tanti altri contesti”. In effetti, di fronte alle comuni difficoltà nascono rapporti di grande solidarietà. Che però subiscono anche le conseguenze dei traumi passati e delle difficoltà presenti, provocando tensioni. Principali cause di nervosismo sono il freddo e l’alcool, dipendenza dalla quale è piuttosto difficile sfuggire quando si è in condizioni disperate.
A queste si aggiungono anche fattori esterni. “Italiani e stranieri - continua Bertolli - non dovrebbero essere in tensione tra di loro. Invece il clima politico di questo periodo sembra metterli uno contro l’altro senza motivo”. Anche Orlando Zandonella è d’accordo: “Gli italiani ce l’hanno con gli stranieri perché credono che loro abbiano più vantaggi, gli stranieri dicono che gli italiani sono razzisti. Sono le stesse motivazione che sento in ogni altro posto”.
Così, per quanto i rapporti profondi tra italiani e stranieri siano piuttosto frequenti, la divisione in gruppi della piazza è evidente: italiani, tunisini, marocchini, sub-sahariani, più qualche singolo o coppia che si ritrova completamente isolata, stanno per i fatti loro, e spesso nascono diatribe ed incomprensioni.
C’è poi quello che forse è il più importante fattore di tensione, il totale isolamento dal resto della società. Sentirsi esclusi è frustrante, e questa condizione è rimarcata da ogni sguardo diffidente dei passanti. “La gente vede in piazza persone che bevono sempre e ha paura, ma non sa che questi hanno lavorato tutta la vita ed ora non hanno più niente, ed è molto difficile, in queste situazioni, sforzarsi per fare qualcosa d’altro” chiosa Zandonella. Si crea in questo modo un circolo vizioso, per il quale chi è finito per strada viene spinto sempre più lontano dal resto della collettività. La conseguenza è spesso che le uniche forme di minimo guadagno siano collegate con attività di microcriminalità, in generale attraverso lo spaccio di piccole quantità di hashish, guadagnando poco e rischiando molto, per conto di racket molto distanti. In alcuni casi, spesso i più disperati, si tenta direttamente con il furto. Ovviamente, questo non fa che aumentare la diffidenza dei cittadini ed alimentare il circolo vizioso.
Ad invertire questo processo, stabilendo un ponte tra due mondi distanti, provano da anni realtà come l’associazione Volontarinstrada, o la più strutturata e professionalizzata Unità di Strada, nata nel 2005, con l’aiuto di molti altri.
Le mosse del Comune
Ora sembra avere cominciato ad intervenire direttamente anche l’amministrazione comunale. Negli ultimi due anni, infatti, il Comune si è messo in moto per “restituire Piazza Dante ai cittadini”. Nel 2010 è stata riqualificata la zona del parco giochi, soprattutto attraverso l’iniziativa Animadante, che ha coinvolto molte associazioni del territorio nell’organizzare attività ricreative per bambini. Un successo ripetuto anche quest’anno. In ottobre, poi, l’assessorato ai Lavori Pubblici ha sbloccato i fondi necessari per la ristrutturazione, a sud della piazza, della palazzina Liberty che, chiusa da anni, dovrebbe diventare un luogo di ristorazione, e dell’area dei laghetti.
A sentire l’assessore comunale alle politiche sociali, Violetta Plotegher, l’ambizione fondamentale di questo progetto è non lasciare indietro nessuno. “Il Comune, su piazza Dante, ha agito su tre fronti: la cura del luogo dal punto di vista urbanistico, il rinforzo della percezione della piazza come luogo sicuro, ed iniziative, come Animadante, che creino uno spazio di socializzazione aperto. Il nostro obiettivo è che tutti i si sentano protagonisti, non può essere un luogo apprezzato da alcuni ed escludente altri. Per questo vogliamo spezzare quel legame che fa percepire la presenza di persone fragili immediatamente come una ragione di insicurezza”. Un obiettivo sicuramente cruciale.
L’attenzione dell’amministrazione a queste tematiche è confermata anche da chi opera quotidianamente. “Lo scorso anno la nostra partecipazione ad Animadante è stata richiesta, - dice Nadia Brandalise, operatrice dell’Unità di strada - quest’anno no, ma abbiamo comunque notato l’intenzione da parte di molti soggetti di includere gli utenti della piazza nelle attività”.
Tuttavia, gli operatori individuano anche i rischi che queste iniziative comportano. “Il problema sorge quando tra chi vive la piazza passa il messaggio che per questioni di decoro non c’è più spazio per loro. Purtroppo sembra che ultimamente siano stati recepiti proprio messaggi di questo tipo, soprattutto per le ore serali”.
“Negli ultimi tempi - le fa eco Bruno Crepaldi, altro operatore - il nostro lavoro è diventato più difficile. Persone con una fiducia in se stesse e nei servizi già molto bassa si sentono ancora più indesiderabili, e non si fanno trovare”. Preoccupazione condivisa anche dai volontari: “Ho il timore che la riqualificazione porti all’allontanamento dei senza fissa dimora, che non possono certo evaporare” dice Claudio Bertolli.
Insomma, il rischio è quello di produrre un semplice spostamento delle dinamiche di strada da piazza Dante a qualche altra parte, senza risolvere molti problemi, sbattendo oltretutto l’ennesima porta in faccia a chi ha già avuto abbastanza delusioni. “Capisco che esista questo rischio - replica l’assessore - e serve un grande sforzo per evitare che ciò succeda. È importante sottolineare che i problemi di fragilità sociale non è certo in piazza Dante che possiamo risolverli, ma attraverso i servizi ed altre iniziative. Ad esempio, stiamo investendo sulla possibilità di avere uno spazio diurno di accoglienza più ampio di quelli attualmente esistenti”
Siamo quindi in un momento delicato per le dinamiche di strada a Trento, del quale le istituzioni appaiono consapevoli. Perché, con il tempo, si arrivi a dei risultati, sarà indispensabile che tutti, a partire dalla stampa e dalla politica, prediligano le analisi ai comodi proclami e alle facili generalizzazioni. Ricordando che la gente comune può fare molto per creare un clima diverso, come spiega efficacemente Orlando: “Spesso mi stupisco quando le persone, anche gli operatori, mi chiedono come si può fare a mettersi in contatto con chi vive in strada. Mi sembra evidente che un buon modo per cominciare sarebbe salutarli.”
I servizi per le persone senza fissa dimora
Per quanto concerne la qualità dei servizi rivolti ai soggetti senza fissa dimora, vanno considerati diversi aspetti. Se da un lato i comuni trentini mostrano una maggiore sensibilità verso il tema, stanziando fondi (rispetto alla popolazione residente) che risultano quasi doppi rispetto ai quelli erogati in media dai comuni delle regioni del Nord-Est e a livello nazionale, dall’altro, facendo riferimento al rapporto 2010 della Caritas di Trento, permangono molteplici problematiche. Negli ultimi anni, complice la crisi economica, il numero di ospiti nelle strutture della Fondazione comunità Solidale (presenti nei comuni di Trento e Rovereto) ha conosciuto un forte incremento, passando dalle 1.884 unità nel 2007 alle 2.234 nel 2010. In netta crescita anche il numero di pacchi viveri erogati dai vari servizi della Caritas (+30% rispetto al 2009). Nonostante questo, come denuncia il rapporto, sono molti i soggetti ai quali non è stato possibile garantire accoglienza: in media, 10 al giorno nel periodo invernale, 13 al giorno in primavera ed state, quando alcune strutture chiudono. Purtroppo queste difficoltà potrebbero acuirsi nei prossimi anni. Il fenomeno dei senza fissa dimora, come sottolineato nel Rapporto, si sta complicando. Sempre più spesso le persone incontrate manifestano una pluralità di disagi non solo di carattere materiale, ma anche legati al disturbo mentale, alla tossicodipendenza, all’alcolismo e a problemi giudiziari. Inoltre, se in passato l’accesso ai servizi della Caritas era legato a fasi temporanee di difficoltà, negli ultimi anni la fruizione sta divenendo sempre più prolungata nel tempo.
Cristiano Buizza