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“Autunno a New York”

Nell’ambito del genere sentimentale, è in cartellone "Autunno a NewYork", della cinese Joan Chen, trasferitasi da poco in America e nota finora come interprete ne "L’ultimo imperatore" di Bertolucci. Si tratta di una storia d’amore e morte, un amore senza futuro tra un donnaiolo impenitente, quasi cinquantenne, e una ragazza fantasiosa e assai infantile di 22 anni, minata da un grave morbo in fase terminale, naturalmente entrambi ricchi e belli. Un tema e una vicenda noti e frequentati nel cinema occidentale da sempre, ma qui messi in scena con modi inusitati, incerto se indizi della diversa cultura della regista o insiti nel suo stile.

Si è subito colpiti dall’uso forte del colore e del paesaggio, non sfondo ma parte integrante, che ovatta ogni emozione, imbrigliata e dispersa nella cura tenace della forma, la cui eleganza sconfina però nello stucchevole e nel lezioso, contagiando pure gesti ed espressioni dei protagonisti, Richard Gere e Winona Ryder, non all’altezza dell’abituale buon livello delle loro prestazioni. Avvezzi ad una NewYork realistica e brulicante di attiva umanità, la vediamo qui ricostruita con tratti idilliaci e incantati, da fiaba, in cui si scorgono qua e là tracce di una città cinese, lungo la baia e i canali, o in certi dettagli architettonici e negli arredi evanescenti. La predominanza formale fa dimenticare l’esiguità dei contenuti: non si dimentica lo scenario di NewYork, magari guardato con stupore da urbanisti e ambientalisti che progettano città a misura d’uomo, ma esso resta irreale e inanimato, appagante forse lo sguardo ma non l’emozione. E senza passione vi passa la storia d’amore e morte, non credibile, asettica, dove gioie e dolori, speranze e delusioni sono mute e astratte, come iscritte in un quadro, non vissute, dove l’evoluzione dei protagonisti, che pure c’è, sembra un cammino tracciato altrove e disposto sulla scena con malinteso senso dell’estetica, privo della vitalità della partecipazione. Anche gli interpreti, irreali come gli ambienti, artefatti come i dialoghi, paiono recitare una parte in cui non credono, perchè fasulla.

Un melodramma, genere che per definizione crea emozione e commozione, che lascia indifferenti e straniati, non fa piangere, e fa rimpiangere i vecchi mélo in cui tutto è vivo e palpitante.

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