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Acqua: ci vuole il referendum

Abbiamo letto sui giornali del disegno di legge proveniente dalla giunta provinciale, firmata dall’assessore UPT Gilmozzi, per ostacolare la privatizzazione forzata dell’acqua prevista dal decreto Ronchi, e ci sembra utile provare ad aprire una discussione, visto che sull’argomento sono state raccolte 1.400.000 firme per l’indizione di un referendum nazionale (11.000 nel Trentino). Vorremmo quindi avviare una discussione che è urgente, intrecciandosi qui da noi con il tema delle Comunità di Valle di prossima elezione (ottobre), visto che fra i compiti delle stesse è prevista anche la gestione associata degli acquedotti.

A quanto abbiamo capito, l’idea di Gilmozzi sarebbe quella di svincolare i comuni trentini dall’obbligo previsto da Ronchi di cedere i propri servizi idrici a società nelle quali, anche se miste pubblico/privato, i privati abbiano un ruolo di fatto dirigente, sviluppando quindi la vocazione a realizzare profitti privati sull’acqua. Ma bisogna ricordare che la gestione privata dell’acqua non è stata inventata da Ronchi, ma viene avanti da decenni sospinta da normative anche precedenti, e dalla sempre maggior difficoltà in cui si trovano i comuni, colpiti da continue sottrazioni di risorse, che rendono difficile condurre direttamente quelle che ormai devono essere gestioni industriali dei servizi idrici. Che la privatizzazione non l’abbia inventata Ronchi lo dimostra anche la situazione trentina, dove chi serve il maggior numero di utenze, circa il 40% (comprese le due aree urbane di Trento e Rovereto), è già una Spa con il privato a quota 38%, Dolomiti Reti, non molto lontano quindi da quell’ “almeno 40%” previsto dal decreto Ronchi. Gli abitanti di Trento e Rovereto, insomma, già pagano con le loro bollette, profitti ai privati. La proposta Gilmozzi quindi farebbe cadere gli obblighi ad una privatizzazione “tutto e subito”, ma lascerebbe operative le pressioni più soft che hanno già portato ad una privatizzazione in quelle aree in cui il servizio ha sicura ed immediata appetibilità per il privato.

La privatizzazione potrebbe poi procedere comunque lo stesso, solo più tortuosamente affidata ai problemi tecnici e di bilancio a cui i comuni verrebbero lasciati. Un’alternativa potrebbe essere invece puntare ad un consolidamento delle gestioni pubbliche tramite forme consorziali (Comunità di Valle?), in grado di partire da dimensioni adeguate per gestioni industriali del servizio, e mettendo risorse in comune, ma con gli strumenti di controllo in mano ai cittadini, tramite istituzioni pubbliche votate non a produrre profitti per qualcuno, ma servizi per tutti, ai soli costi di esercizio.

Ma c’è anche un’altra questione che ipoteca gli esiti della proposta di legge Gilmozzi. Il decreto Ronchi vale per tutto il territorio nazionale, mentre Gilmozzi tenta di creare delle protezioni locali basandosi sulle specificità locali. Una sorta di “via autonomistica”, ma quando è passato a livello nazionale il decreto Ronchi (autunno 2009) la Provincia non l’ha contestato in base alle proprie competenze primarie in materia di acqua, quindi la via è comunque stretta.

Noi crediamo dunque che solo l’effettiva indizione del referendum (come quasi un milione e mezzo di cittadini hanno chiesto) ed una vittoria del fronte anti-privatizzazione garantirebbe davvero il diritto pubblico (sociale) all’acqua, creando le condizioni per affrontare tutte le questioni relative nell’ottica del bene comune, invece che in quello dell’interesse privato di qualcuno. Invitamo quindi anche la giunta provinciale a prendere posizione a favore del referendum, ed a spendersi per un suo buon esito preparandosi a contribuire anche con i suoi mezzi a portare i cittadini al voto.

Roberto Antolini e Andrea Trentini, per il gruppo Nonsoloacqua di Rovereto e su Facebook Nonsolo Acqua