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Religione e scuola

Francesco Passerini

Su QT di novembre Renato Ballardini rilevava che la religione “è un fenomeno troppo vasto ed importante per essere trascurata dalla nostra considerazione” e che, conseguentemente, “ragionare attorno al fenomeno religioso ed alla sua storia” è “un impegno culturalmente necessario. Anche nelle scuole”.

Avrebbero condiviso i ragazzi della scuola di Barbiana. Da “Lettera a una professoressa”: “Tre anni su tre brutte traduzioni di poemi antichi (Iliade, Odiessea, Eneide). Tre anni su Dante. Neanche un minuto solo sul Vangelo. Non dite che il Vangelo tocca ai preti. Anche levando il problema religioso restava il libro da studiare in ogni scuola e in ogni classe. (...) Come mai non ci avete pensato? Forse chi v’ha costruito la scuola Gesù l’aveva un po’ in sospetto: troppo amico dei poveri e troppo poco amico della roba”.

Nella conclusione del suo editoriale, però, Ballardini dubitava della presenza di una sufficiente maturità per affrontare la questione religiosa liberamente e senza scadere in polemiche tra fazioni contrapposte. Argomenti religiosi rientrano già ora, direttamente o indirettamente, nei programmi scolastici: durante le ore di storia si insegna la cristianizzazione d’Europa, durante quelle di filosofia il pensiero di Agostino d’Ippona, durante quelle di italiano la concezione manzoniana della Provvidenza... L’elenco potrebbe essere lungo. La qualità di questi insegnamenti dipende, più che altro, dalla qualità degli insegnanti. Va quindi posta un’altra questione: il sistema formativo italiano prepara persone in grado di insegnare materie quali “storia delle religioni” o “pensiero religioso”?

Continuavano i ragazzi di don Milani: “Quando avrete dato al Vangelo il posto che gli spetta la lezione di religione diventerà una cosa seria. Si tratterà solo di guidare i ragazzi nell’interpretazione del testo. Lo potrebbe fare il prete e magari in discussione con un professore non credente. (..) Nella ricerca di questi professori verranno a galla i limiti della vostra cultura. A Firenze ci sono decine di preti capaci di una lezione di alto livello. (..) Mi sapreste fare il nome d’un laicista seriamente preparato a tenergli testa? Ma uscito dalle vostre scuole non di seminario.”

E anche oggi i segnali sono tutt’altro che incoraggianti. Sul Corriere della Sera del 1° dicembre il prof. Alberto Melloni, notando che “le materie studiate nelle università stanno per essere unificate in grandi blocchi”, segnalava con preoccupazione la soppressione di “Storia del cristianesimo”: è tra i docenti di quell’insegnamento “che s’è posto il problema di come dare dignità culturale all’insegnamento religioso nelle scuole e come riportare la teologia nelle Università da cui l’aveva esiliata il patto tra anticlericali e ultraclericali che dal 1873 azzoppa l’Italia”.

In Italia quindi sia la Chiesa cattolica che correnti culturali anti-religiose non hanno avuto interesse a una formazione religiosa libera da appartenenze confessionali: la Chiesa per mantenere una sorta di monopolio, le correnti anti-religiose perché consideravano il tema indegno di essere affrontato. È chiaro quindi che serve una svolta. Considerando che il contesto culturale e sociale negli ultimi decenni è mutato in profondità, la Chiesa cattolica avrebbe ancora motivo per opporsi a tale svolta?

Renato Ballardini pensa che, consci del pluralismo religioso, gli studenti possano chiedersi se “non sia stato Dio a creare l’uomo ma piuttosto l’uomo a creare Dio”.

Rispetto alla questione della molteplicità delle religioni sosteneva invece Simone Weil in “Lettera a un religioso”: “La religione cattolica contiene esplicitamente verità che altre religioni contengono in modo implicito. E inversamente, altre religioni contengono esplicitamente verità che nel cristianesimo sono soltanto implicite. (...) Le diverse tradizioni religiose autentiche sono differenti riflessi della stessa verità, e forse in egual misura preziosi. Ma di questo non ci si rende conto, perché ciascuno vive una sola di queste tradizioni e percepisce le altre dall’esterno. Ebbene, una religione si conosce solo dall’interno, come i cattolici giustamente non si stancano di ripetere ai non credenti”.

In “La scoperta di Dio” il sociologo statunitense Rodney Stark presenta la tesi - sostenuta da documentazione archeologica e studi etnografici - secondo la quale la maggior parte delle religioni “primitive” venerava un Essere supremo. Solo poi, con la nascita delle civiltà urbane, si sarebbe imposto il culto politeista di divinità antropomorfiche, moralmente meno esigenti e da soddisfare attraverso sacrifici di cui beneficiava il ceto sacerdotale.

La Chiesa  dovrebbe temere il disinteresse e le conoscenze confuse, non la cultura religiosa. Altrimenti dimostrerebbe solo scarsa fiducia nella propria proposta. Sarebbe imperdonabile.

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