Una tendenza pericolosa
Il problema populismo dopo l’adunata oceanica di Roma.
Le manifestazioni di piazza contro il Governo in carica sono perfettamente legittime in un regime democratico come il nostro. In questo siamo d’accordo. Due milioni o settecentomila partecipanti sono sempre una massa imponente, ma in ogni caso sempre meno numerosa, molto meno numerosa degli oppositori a questo Governo, come abbiamo appreso dall’esito delle elezioni di aprile. Si può verosimilmente ritenere che a coloro che in quella consultazione votarono a destra si siano aggiunti, in questi mesi, anche elettrici ed elettori di sinistra rimasti delusi dai primi atti di governo. D’altra parte si sa, in una situazione critica quale è quella in cui navighiamo dopo cinque anni di governo Berlusconi, per tentare di raddrizzare le cose sono necessari anche interventi impopolari che daranno i loro frutti a medio termine, con fondata speranza che i malcontenti di queste settimane si possano ravvedere. Ciò che conta è durare e procedere nell’attuazione del programma che infine darà i suoi risultati anche di consenso. Del resto anche a destra le cose non vanno benissimo, vista la rottura di Casini che ha tutta l’aria di essere risolutiva con il passato, anche se resta piuttosto ambigua per il futuro.
Tutto bene dunque? Temo proprio di no. Sarebbe un grave errore di leggerezza sottovalutare il significato di avvenimenti come la grande manifestazione di Roma, con una così estesa ed accesa partecipazione di popolo attorno ad un personaggio come Berlusconi. Essa è infatti rivelatrice di una tendenza che può avere sviluppi assai pericolosi. Attribuirla soltanto alla grande disponibilità di mezzi finanziari utilizzati per organizzarla può essere una consolazione comoda ma ingannevole. Tali risorse hanno avuto un loro ruolo, ma sono state investite su un terreno reso fecondo da una favorevole predisposizione culturale. Nel fenomeno complessivo si riscontrano tre caratteri ben precisi.
La composizione sociale dei partecipanti è in prevalenza formata da ceto medio. La middle class, i lavoratori autonomi, le partite IVA come si dice oggi. In essa ristagnano insofferenza a pagare le tasse, disagio per gli impacci burocratici nei rapporti con l’amministrazione, insensibilità verso gli interessi pubblici e comunitari, insicurezza per il proprio futuro. Sentimenti che facilmente convergono nella fiduciosa ammirazione di uno come loro che è riuscito a non pagare le tasse, a piegare i poteri dello Stato al proprio privato interesse e a consolidare la sua ricchezza. E specularmente gli stessi sentimenti si coagulano in una sorda ostilità verso la sinistra, che invece vuole far pagare le tasse, potenziare lo stato sociale, ed è affine ai sindacati. E’ lo stesso ceto medio che fu la base di massa di tutte le avventure autoritarie del ventesimo secolo in Europa.
Il simbolo vivente nel quale si incarna questa corale aspirazione è Silvio Berlusconi. Dispone di un partito di plastica, cioè inesistente come strumento di democrazia. La sua forza sta nella sua ricchezza privata e nella sua capacità di interpretare i sentimenti di una vasta massa di popolo. Come leader della coalizione non c’è che lui. E’ insostituibile. E’ l’unico ad avere il carisma necessario per tenere assieme i contraddittori segmenti del suo blocco sociale. E’ sentito come una sorta di uomo della provvidenza. Parafrasando Brecht, verrebbe da dire beati i popoli che non hanno bisogno di capi carismatici. Ed invece c’è una parte di italiani, la metà, che ha bisogno di un capo carismatico.
Il terzo carattere della situazione è la denigrazione dei meccanismi tipici della democrazia e l’antipolitica. La polemica sui brogli elettorali mira a screditare il suffragio universale. La stessa legge elettorale, il Caldarellum, che fra l’altro aveva delegato alle oligarchie dei partiti la scelta degli eletti, mirava a svuotare il suffragio elettorale.
Tutto questo – ceto medio, capo carismatico, discredito della democrazia – forma un quadro che fa intravedere il rischio di una degenerazione populista della nostra democrazia.
L’esperienza storica ci insegna che questo pericolo si è sempre manifestato nei momenti di crisi della democrazia. Una democrazia scalcinata, frantumata, parolaia ed inconcludente, crea un vuoto che evoca supplenze autoritarie. L’enorme responsabilità che grava su Prodi ed alleati non è solo quella di trarre il paese delle secche economiche in cui l’aveva portato il governo precedente. E’ anche quella di ridare dignità e forza alla democrazia, di dimostrare che la dialettica interna di una coalizione può essere convertita in un’azione di governo chiara nei suoi significati e fertile nei suoi risultati.