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L’ultimo assolo

L’autore saluta i lettori e chiude la sua rubrica.

Dicesi assolo quel particolare momento dell’esecuzione di un brano musicale in cui l’orchestra si fa in disparte per consentire a un singolo musicista di mostrare le sue doti.

A Sparta gli assoli erano proibiti, il canto doveva essere esclusivamente corale. Si narra che un re, evidentemente troppo narciso per quel simpatico paese di guerrieri, fosse stato severamente punito dall’assemblea per aver svettato più degli altri nella performance di un inno. Pensate un po’ che ridere: sarebbe come oggi il parlamento appioppasse una bella multa al cavaliere per le sue prodezze napulitane con l’Apicella. Un po’ di rigore spartano a Roma non guasterebbe.

Nell’epoca barocca i re degli assoli erano i castrati. A dispetto del loro status, evocativo di mutilazioni radicali, non tagliavano mai le loro esecuzioni ma dilagavano in virtuosismi, melismi e gargarismi che inebriavano il pubblico ignorante ma spazientivano i compositori che vedevano cialtronescamente massacrate le loro opere. Ci pensa Gluck (l’unico musicista classico che in Italia conoscono davvero tutti, grazie al Celentano) a mettere in riga i cantanti troppo espansivi imponendo nuove tabelle di marcia. Oggi, nel Jazz, l’assolo riveste molto spesso il momento più pregnante, perché estemporaneamente creativo ed emotivamente intenso…

Anche i rondò (venessiani) sono assoli. Tanti assoli in cui ho espresso quello che mi pareva, senza mai ricevere una nota polemica. Non ho mai capito bene la causa di tutto ‘sto silenzio: imbarazzo, sgomento, indifferenza…? Oppure potrebbe essere che effettivamente non abbia mai detto puttanate tali, degne di essere giornalisticamente stigmatizzate?

Se fosse vera l’ultima ipotesi ne sarei felice perché significherebbe che ho affrontato gli argomenti con equilibrio. Però sarei stato vieppiù felice se qualche mia affermazione spinosa su certa musica, certa scuola, certa politica fosse stata ripresa da qualcuno, lettore o collega, in disaccordo: "A Pisà, checcazzo stai addì?".

Molti fra amici, conoscenti e anche occasionali interlocutori non mi hanno risparmiato elogi. Grazie a tutti di cuore, ma, diamine, come dice il Baricco, anche la guerra ha un suo ineludibile appeal estetico: perché me lo avete negato? In ogni caso spero che si sia colto che sotto la prosa un po’ sbarazzina dei rondò covava sempre un intento serio.

Come si evince dal titolo e dal tono il rondò di oggi non è solo l’ennesimo assolo, ma anche l’ultimo. Uno dei motivi è che in questo periodo c’ho da sbrigare un sacco di lavoro e non sento attrazioni particolari verso la mondanità. Diciamola con più franchezza: non me ne frega granché di andare al concerto di Zucchero, della Haydn, o di musica etnica… mi stufo a leggere i giornali e stento ad appassionarmi alle querelle attuali. Vivo un momento di raccoglimento che non si concilia col giornalismo, attività proverbialmente inscindibile da socialità, estroversione e curiosità. Una parentesi esistenziale sperabilmente transitoria, ma che ora mi impedisce di scrivere senza dare l’impressione di stare a menarlo disteso sul lettino del dottor Freud.

Ringrazio i lettori per aver letto ciò che la redazione mi ha concesso di scrivere nella completa libertà. Sono riconoscente a Carlo e Ettore per cose che interiormente sento e afasicamente trasmetto. Auguro a Questotrentino di procedere nel suo cammino continuando a fare le cose utili che fa e specialmente quella, oltremodo preziosa, di offrire a tanti giovani in gamba motivazioni e opportunità per sviluppare talento, cultura e coscienza politica. Spero di riprendere più avanti la collaborazione con QT anche perché… le parole dell’assolo si stemperano soggiogate da un irresistibile crescendo orchestrale. Riepilogo finale del tema affidato agli ottoni, possente tappeto degli archi, rullo dei timpani… Tadah!

Clap clap clap.

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