Sci: una legge miope
Obblighi e divieti per gli sciatori. Niente, invece, per i gestori degli impianti.
Ci piacerebbe aprire un dibattito con i consumatori trentini in ordine alla nuova legge sullo sci. Da parte nostra, modestamente, facciamo qualche osservazione in proposito, e ci attendiamo dagli sciatori-utenti, come esperti e fruitori del servizio, altre e più puntuali considerazioni.
Ci preme evidenziare anzitutto come la legge preveda obblighi solo per i consumatori e nessuno per i gestori degli impianti. Nella legge non è prevista alcuna informazione per il consumatore, solo sanzioni ed obblighi; per i gestori nessun obbligo, salvo un’assicurazione, ossia un rimedio a posteriori una volta che l’incidente è accaduto, neppure un investimento in sicurezza e miglioramento della qualità del servizio. Eppure gli estensori della legge avrebbero dovuto sapere che negli ultimi anni sono notevolmente aumentati gli incidenti sulle piste da sci; ciò è dovuto essenzialmente al fatto che lo sci è diventato, da sport elitario che era, fenomeno di massa, e c’è stato dunque un aumento esponenziale dei praticanti. Contestualmente, però, non c’è stato un analogo miglioramento del servizio: le piste non sono abbastanza larghe, sono aumentate meno che proporzionalmente rispetto al numero degli sportivi e la portata oraria degli impianti è ancora inadeguata rispetto, ad esempio, a quella della vicina Svizzera. Molte piste sono chiuse solo per mancanza di personale ed è pertanto ovvio che se gli sciatori che percorrono uno stesso tratto sono troppi, il rischio di incidenti aumenta.
Tracciamo ora alcune osservazioni su parti della nuova legge sugli sci che ci sembrano carenti, osservazioni da consegnare ai parlamentari trentini affinché si facciano promotori in senso migliorativo della legge.
- l’introduzione di un numero chiuso per ogni pista, ovvero la portata oraria degli impianti di risalita deve essere commisurata al numero degli sciatori che la pista può supportare, in relazione quindi alla sua lunghezza, larghezza e ai collegamenti possibili con altri impianti di risalita;
- l’obbligo di segnalare con un cartello il motivo che ha indotto il gestore a chiudere una pista, ad esempio per pericolo valanghe (così facendo, forse, gli amanti del fuoripista non sarebbero indotti a ritenere che la mancata apertura della discesa dipenda solo dalla sua mancata sistemazione ed eviterebbero di inoltrarsi pericolosamente lungo il pendio);
- la mancanza di segnali di pista chiusa, lasciando tutto alla discrezione dello sciatore, il quale, se non è un esperto di montagna, può finire inevitabilmente per mettere a rischio la sua incolumità e quella degli altri;
- l’obbligo del gestore dell’impianto affinché pubblicizzi, fin dalle biglietterie, gli articoli della legge che riguardano il consumatore (dal n. 8 al 19) e che indicano i comportamenti che gli sciatori devono tenere;
- la legge non prevede l’obbligo di diffondere nelle scuole la conoscenza delle regole di condotta e dovrebbe prevedere anche l’obbligo e non la sola possibilità del coinvolgimento dei gestori e degli esercenti degli impianti in iniziative destinate ad educare allo sport;
- occorre che venga esplicitata una vera e propria operazione trasparenza nel rapporto tra gestore-esercente degli impianti e cliente sciatore;
- è necessario che venga differenziato lo skipass giornaliero in base a: numero di piste aperte; piste battute; piste innevate; tipo di neve (artificiale o naturale); tempo perso in interminabili code;
- sconti sui biglietti in casi di forza maggiore (ad esempio si è convinti di poter fare una pista nera che ci piace particolarmente e poi, causa vento, si trova chiusa la seggiovia );
- costo variabile dei biglietti (all’interno di un intervallo minimo e massimo), a seconda della qualità del servizio offerto.
Mucca pazza. N. F. di Vallarsa ci chiede allarmato se esiste ancora il pericolo "mucca pazza ".
Il Codacons, dopo le notizie del primo caso di "mucca pazza" registrato negli USA e i provvedimenti di blocco alle importazioni adottati da 30 Paesi, ha chiesto alle autorità competenti di bloccare anche in Italia le carni provenienti dagli Stati Uniti.
Secondo noi una simile decisione si rende necessaria per tutelare i consumatori italiani dai rischi di una malattia non ancora debellata, ma che, al contrario, sembra estendersi in molte zone del mondo. Ed è proprio a garanzia dei cittadini che abbiamo chiesto assicurazioni alle catene di fast food americani presenti in Italia, primo fra tutti Mc Donald’s, affinché diano certezze sulle provenienze delle carni somministrate ai clienti.