Il figlio di Dorelli? Una promessa
Più che un musical, una commedia musicale il "Promesse promesse" di Neil Simon e Hal David (da cui "L'appartamento" di Wylder). L'allestimento italiano è comunque ottimo, e Gianluca Guidi non fa rimpiangere addirittura Jack Lemmon!
Vi sembrerà strano ma "Promesse promesse", inserito nella stagione del musical, è in realtà una (ottima) commedia musicale. Che differenza c’è? Dipende dall’uso che si fa delle canzoni. Qui per lo più degli stacchetti godibili, che commentano le vicende, esprimono sogni, paure, emozioni dei personaggi; ma non raccontano, come invece avverrebbe in un musical. Qualcuno è addirittura pretestuoso, quasi appiccicato alle parti recitate, ma è un "limite" della pièce in sé, dovuto dunque agli stessi Neil Simon, Hal David e Burt Bacharach, tre artisti non per questo meno geniali.
L’allestimento italiano, diretto da Johnny Dorelli, fa leva su due cardini. Da un lato i dialoghi mai banali, ben tradotti e adattati da Giorgio Calabrese; dall’altro gli interpreti, tutti, che dimostrano come anche l’Italia vanti almeno due valide generazioni di attori-cantanti-ballerini. L’importante, come qui, è dar loro spazio, saperle valorizzare. Spesso, invece, chi produce mette in piedi compagnie dove ognuno sa ricoprire un solo ruolo e solo in quello viene impiegato. Guidi e Dorelli preferiscono rischiare, vincendo la sfida. Se proprio un rimprovero va mosso, è alle coreografie poco curate: i balletti esuberanti e elaborati si contano sulle dita di una mano. Poco male: la verve del cast, protagonisti in testa, tiene banco dall’inizio alla fine senza cadute di tono.
Guidi è un perfetto C.C. Baxter nei movimenti, nella voce, mentre Cristina Ginevri dà a Fran Kubelik tutta la sua forza e la sua fragilità, in perenne contraddizione. Ma Christian Ginepro (Mr. Vanderhof) non è certo da meno, come pure Gianni Fenzi (il Dr. Dreyfuss) e Renato Cortesi (Mr. Sheldrake). Questi ultimi, agli antipodi per impostazione e carattere, hanno in comune una professionalità che conferisce alla commedia la cosiddetta "marcia in più". E poi le musiche, tra cui spiccano la sfolgorante "Overture", la title track "Promesse promesse" ("Promises promises"), i cui continui cambi di tempo traducono in note la frenetica vita del business world americano, e soprattutto la celebre "No, non m’innamoro più" ("I’ll never fall in love again"), cantata sottovoce anche da alcuni spettatori.
Dulcis in fundo, i dialoghi immaginari che Baxter mette in bocca a Fran, forse la trovata più gustosa e intelligente di Neil Simon. Guidi ha saputo renderli con un’ingenua autoironia che fa tenerezza. Siamo convinti che, dopo un tale successo di pubblico e di critica, la sua carriera non potrà che proseguire verso una totale libertà d’espressione. Presto, glielo auguriamo davvero, l’attore-regista non sarà più ricordato come "il figlio di Dorelli", ma con nome e cognome come tutti i grandi artisti e mattatori del palcoscenico.