Santi e navigatori
Della tendenza italica al trasformismo; nonchè alla santificazione, da Andreotti oggi a (forse) Previti domani.
E’ terra affollata da eroi, navigatori e santi questa nostra bella Italia. Così è stato detto e così ancora oggi pare che sia. Eroi veri o fasulli, incastonati nel sacrario della storia o nell’almanacco della cronaca, piccoli o grandi, proclamati sull’onda emotiva di un popolo intensamente emotivo.
Ma più numerosa è la schiera dei navigatori, come è naturale che sia, circondati come siamo dal mare. Tanto più che anche sulla terraferma la navigazione, intesa come trasmigrazione galleggiante da un campo al campo opposto, è stata ed è una pratica molto diffusa. Essa ha addirittura caratterizzato una fase tipica della nostra storia unitaria con il trasformismo dei tempi di Depretis, ed è stata sempre presente più o meno nelle aule parlamentari. E non solo in esse, se consideriamo con quanta disinvolta naturalezza ai vari mutamenti di regime vaste porzioni di popolo hanno cambiato casacca. Del resto uno dei più significativi libri della nostra letteratura, il romanzo storico di Tommasi di Lampedusa, "Il gattopardo", mette a fuoco appunto questa raffinata attitudine delle élites dirigenti siciliane a cambiare tutto perché nulla cambi.
Ma il gattopardismo non è solo siciliano, è salito su su fino a contaminare l’intera penisola. Ed ai nostri tempi ha raggiunto una evidenza clamorosa per alcuni suoi caratteri fin qui inconsueti. In altri tempi la navigazione trasmigratrice era più cauta perché avveniva fra porti abbastanza vicini, o si spezzava in più tappe mitigando lo strappo dal lido originario, o rispondeva, appunto con Depretis, ad una prassi istituzionale condivisa. Oggi invece la trasmigrazione ha acquisito connotati di arditezza vertiginosa ed è stata intrapresa da una ciurma compatta e persino egemone. Giuliano Ferrara, Sandro Bondi, Ferdinando Adornato, Paolo Guzzanti, Renzo Foa, Fabrizio Cicchitto: erano tutti comunisti o, quanto a Cicchitto, socialista lombardiano, ed ora li ritroviamo con ruoli importanti ed influenti in Forza Italia, alla corte di Berlusconi. Ebbene, "seguir virtute e conoscenza" è un nobile impulso della natura umana. E per questo incontenibile anelito di esplorazione il navigare è un mezzo eccellente, da Ulisse a Cristoforo Colombo. Ma per il nostro equipaggio, conoscendo l’identikit dell’armatore, l’ingaggio ha tutti i crismi di una operazione di mercato.
Quanto ai santi, persino Karol Wojtyla, pur essendo polacco, ha risentito dell’ambiente in cui vive da venticinque anni. Tra beati e santi ne ha annunciati qualche migliaio, tanto che comincio a covare la speranza di finire anch’io sul calendario.
Ma sono i santi laici che in queste settimane hanno dominato la scena. Giulio Andreotti, che pure ha i tratti del cardinale di curia, era anche amico di Lima, di Ciancimino, dei fratelli Salvo, tutti noti mafiosi. Qualche pentito ha anche sparlato di lui. Per averne l’appoggio elettorale pareva che avesse fatto qualche favore alla mafia, la quale, per un eccesso di zelo, avrebbe ricambiato il favore eliminando Pecorelli. Solo ipotesi, che però se fondate sarebbero state assai gravi. Poteva la magistratura inquirente chiudere gli occhi ed insabbiare tutto? No certo, posto che le ipotesi apparivano verosimili. La lunga indagine e gli interminabili processi sono finiti bene per l’eminente politico, anche se con qualche ombra, perché fino al 1981 lo ha salvato la prescrizione. Comunque i processi non si fanno solo per condannare ma anche per assolvere, e così è andata. Tutti a genuflettersi innanzi al divo Giulio per lo scampato pericolo, a lamentare il supplizio inflittogli, a cantare le sue lodi, insomma a santificarlo.
Così Gianfranco Fini che, dopo aver frequentato in questi ultimi tempi l’Europa, si è reso conto che le ascendenze fasciste di AN erano proprio impresentabili. Ed a Gerusalemme ha scoperto l’acqua calda, si è dichiarato antifascista. Meglio tardi che mai, d’accordo. Ma da qui a farne uno statista, a decantarne il coraggio, a consacrarlo nuovo leader di una destra decente, insomma a santificarlo, ci corre. Eppure questo sta accadendo.
Se bastasse così poco avrebbe ragione Previti a giubilare per essere stato condannato, dopo i primi 11 anni, soltanto ad altri cinque anni di galera. Ed infatti anche lui ha recitato la parte del santo martire, ottenendo i calorosi complimenti del suo augusto cliente. Sono sentenze di primo grado e quindi è ancora possibile che la divina o l’umana provvidenza finiscano in un modo o nell’altro per graziarlo.
Se ciò avverrà, anche al nostro piccolo Cesare sarà garantita una pallida aureola di santità.