Malossini e Grisenti: fatti, non parole
Elezioni: centro vincente, sinistra frammentata, e una inquietante vittoria del pragmatismo senza valori.
Sessanta e trenta è un ottimo rapporto proporzionale, anche perché esaurisce quasi l’intero: il resto sono minuzie scarsamente influenti. Rende pure superfluo, nella sua puntuale coincidenza, il premio di maggioranza, che quando scatta è comunque una pur plausibile forzatura. Che poi il 60 sia la quota conquistata dalla coalizione di centrosinistra guidata da Lorenzo Dellai rende il quadro uscito dalle elezioni del 26 ottobre definitivamente positivo.
Però con qualche ombra. La coalizione vincente si definisce di centrosinistra, ma è manifestamente assai più centro che sinistra. L’annessione delle Stelle Alpine, col loro culto un po’ retrò delle tradizioni, funge da elemento catalizzatore degli umori clientelari e affaristici già presenti nella Margherita. Tanto che è persino possibile che dall’interno della stessa maggioranza emergano le spinte e gli spunti che da sola l’opposizione non potrebbe far prevalere.
A contrastare un tale rischio ci sono soltanto la pattuglia dei DS e la verde Berasi, forse in qualche caso Benedetti e taluno della stessa Margherita. Perché infatti la sinistra, pur presente nella cultura e nel popolo del Trentino, ha perso un’altra occasione per far valere la sua potenzialità. Pensate che unificando tutte le quote delle liste di quest’area, da Rifondazione a Su la testa, dai Socialisti a Italia dei valori ai Comunisti Italiani, si totalizza un 21,90%. Tenendo conto della forza trainante sprigionata da una iniziativa unitaria che fosse capace di convincere anche fra gli astenuti, non sarebbe stato illusorio attendersi un risultato assai prossimo a quello della Margherita (25,88%). Con una ben diversa forza contrattuale. So benissimo che queste che ho mescolato sono tutte voci che cantano con timbri diversi. Ma ciò accade anche in un’orchestra. Ricordate la bella metafora felliniana, appunto in "Prova d’orchestra", ove il diverso fascino timbrico dei vari strumenti amorevolmente coccolati dai rispettivi esecutori si esalta infine in un assieme armonioso sotto la sapiente guida di una direttore teutonico? E’ davvero impensabile vincere l’angusta cultura che ingessa la sinistra trentina in tante sterili parrocchiette tutte prese a rimirare il proprio ombelico?
I DS ci hanno provato, almeno in parte. A un certo punto era persino parso che ce l’avessero fatta. L’intollerabile interferenza di Dellai sulla candidatura Casanova ha vanificato il lungimirante tentativo. E tuttavia ai DS non è andata male come si temeva. L’insistente azione di disturbo di Olivieri e dei sedicenti riformisti rientrata alla ventiquattresima ora, la rottura con Costruire Comunità, l’ostilità sprezzante del direttore di questo nostro periodico, erano tutti elementi che facevano temere un tracollo dei DS. Ed invece sono riusciti persino a battere Forza Italia, che pure si è giovata del robusto apporto di Malossini che, nonostante la superficiale patina di modernità, resta sempre il risultato di un languido impeto di nostalgia.
E’ appunto questo risultato personale di Malossini che costituisce l’aspetto più vistoso e inquietante di questa tornata elettorale. Non tanto per il fatto in sé, ma perché si accompagna, nella sua rilevanza e nella causa della sua origine, a un altro esito personale egualmente fortunato. Malossini ha distaccato il secondo della sua lista di oltre 8.000 preferenze. Silvano Grisenti ha messo fra sé e il suo secondo più di 6.000 voti. Dunque Malossini e Grisenti sono le due personalità che spiccano in questa competizione. Dellai ed Andreotti erano i candidati presidenti, per così dire in pole position, per virtù di legge in evidenza personale. Malossini e Grisenti invece no, erano candidati come centinaia di altri, immersi nella folla di aspiranti ad uno dei 34 seggi. E tuttavia hanno raccolto preferenze personali così numerose da distinguerli nettamente dagli altri eletti. Qual è il merito comune a questi due personaggi che ha procurato ad essi un così marcato personale successo? Qual è l’attitudine in cui entrambi eccellono e che è piaciuta tanto agli elettori?
La cultura, l’esperienza, l’intelligenza di cui sono particolarmente dotati? Forse l’onestà, privata e pubblica? Conoscendo la biografia politica del capolista di Forza Italia, pur prendendo atto dei suoi odierni buoni propositi, tenderei ad escludere l’onestà pubblica. Né ho elementi per ritenere che i due candidati così preferiti dagli elettori siano dotati di intelligenza, cultura ed esperienza in misura tale da distinguerli così nettamente. Ciò che invece costituisce un loro precipuo connotato, comune ad entrambi e distintivo rispetto agli altri, è la zelante propensione al fare, il febbrile pragmatismo, l’erogare contributi, l’avviare cantieri, il contatto con i poteri più o meno forti della società. Non a caso Grisenti è per designazione naturale l’assessore alle opere pubbliche, e Malossini è risorto alla politica attraverso la Compagnia delle Opere. Fatti e non parole: questa è la loro comune caratteristica, che così numerosi elettori hanno premiato. Fatti purché siano. Le parole, cioè le idee, non pagano.
La politica è certamente la più pratica delle azioni umane. Ma se non è toccata dal soffio del pensiero, cioè dei valori, diventa una ben misera cosa. Eppure vi è un corpo elettorale che in buona parte la apprezza così.
Se si candidasse padre Alex Zanotelli quanti voti pensate che riceverebbe da questo elettorato così trentino e così cattolico?