Mele, immigrati e impronte digitali
Un’operazione molto discutibile: per fortuna effettuata con pazienza e buonsenso.
Prendere le impronte agli immigrati! Non è mai facile passare dai disinvolti proclami di piazza alla pratica concreta. Se ne sono accorti in Questura a Trento, dove c’è stato un disorientamento iniziale. Hanno dato l’impressione di non sapere da che parte cominciare e allora si sono appoggiati all’Unione Contadini, come se fosse l’unica organizzazione del mondo agricolo.
I lavoratori stranieri dovevano presentarsi a Cles nell’ufficio dell’U.C. dalle 18 alle 21, lunedì, mercoledì, venerdì, a farsi prendere le impronte dai funzionari della Questura, che venivano apposta da Trento. Con questo sistema sarebbero stati lì fino a Natale. Sono intervenute allora le altre due associazioni di contadini che hanno una cospicua parte di iscritti in Val di Non, l’A.I.C. (Associazione Italiana Coltivatori) e l’A.C.T. (Associazione Contadini Trentini). Dopo aver incassato le scuse della Questura per la gaffe della dimenticanza, hanno dato la loro disponibiltà ad aiutare i contadini iscritti a regolarizzare i lavoratori stranieri. L’A.I.C., con meno convinzione, l’A.C.T. con maggiore fervore, sentendosi schierata politicamente dalla parte di chi ha fatto la legge delle impronte, prendono gli appuntamenti per presentarsi alla caserma dei Carabinieri di Cles.
E noi, curiosi, siamo andati a vedere come andavano le cose.
La sede dell’Unione Contadini è nella casa di uno dei più importanti agricoltori di Cles, in centro paese: una sbarra interrompe la strada privata, con tanto di segnale di divieto di accesso, un cartello indica proprietà privata, un altro attenti al cane. Dentro, l’ambiente è disadorno, sembra fatto apposta per ospitare operazioni del tipo delle impronte. Esce una massaia nonesa con al seguito cinque o sei lavoratori stranieri che hanno appena terminato la cerimonia Dentro c’è un imprenditore con altrettanti operai che hanno iniziato. Due addetti della Questura maneggiano il rullo inchiostratore, lo passano più volte su ciascuna delle dieci dita, prendono le dieci impronte; poi lo passano sui palmi delle mani e stampano anche quelle. Gli stranieri che escono non sanno dove andare, non riescono a leggere dove c’è scritto "Servizi" per lavarsi.
Ma l’atmosfera è calma, ordinata: questi lavoratori dell’Est sono gente mite, abituata a ben altre durezze della vita. Sergej indossa una tuta militare consunta e un paio di scarpe sgangherate senza lacci. Si sottopone rassegnato a tutte le fasi della procedura: il passaporto, la fototessera, la misura dell’altezza, l’inchiostro sulle dita, sui palmi.
Il suo datore di lavoro aspetta con pazienza lui e i suoi compagni; una giornata è finita, sta per cominciare un perìodo duro e decisivo per il successo dell’annata. Eppure è li che aspetta con calma, senza sbuffare.
Tutta questa faccenda delle impronte digitali con la sua burocrazia incerta e le ineviatbili perdite di tempo, è sopportata di buon animo dai nostri contadini. Il fatto è che l’ordine pubblico è un problema molto sentito: sarebbero disposti a qualsiasi cosa per la prevenzione della criminalità.
Dopo il rifiuto di A.I.C. e A.C.T. di ospitare nelle loro sedi gli agenti della Questura, sono entrati in azione i Carabinieri nella loro caserma. Qui l’ambiente è molto più confortevole, i lavoratori in attesa sono almeno una ventina, di un’azienda agricola tra le più grosse dei dintorni. Anche in caserma l’atmosfera è buona: l’ora è tarda, fuori è buio e l’aria si è raffreddata per la prima neve caduta sulle cime intorno alla valle.
I due appuntati di guardia sono di buonumore; anzi, prima scherzano con i lavoratori chiedendo chi vuol bere qualcosa nell’ attesa. E poi, quando si accorgono che hanno capito, offrono a scelta caffè o cioccolata: meglio che essere al bar.
L’osservazione di scene come quelle accadute oggi rassicura sull’esistenza di bontà d’animo, di capacità di comprensione. Al contadino non seccava tanto cenare in fretta, caricare nel gippone gli operai e portarli fino a Cles. Gli premeva di più che Melinda avesse venduto sottocosto vagoni di mele ancora sull’albero, perché le celle del magazzino non erano stimate sufficienti a contenere tutto il raccolto.
In fin dei conti l’operazione impronte passa con una certa tranquillità per merito di contadini e lavoratori stranieri, che ad ogni modo sarebbero stati regolari, a posto con tutto.
Ma la legge Bossi-Fini non era fatta per loro, avrebbe dovuto colpire il lavoro nero di immigrati irregolari: da quanto abbiamo visto, questo è un altro discorso.