La “fronda” a Dellai: critici o nostalgici?
Gli oppositori di Dellai: tra tensioni ideali e nostalgie partitiche della vecchia, cara Dc.
Se a Roma, a Piazza Navona, andava in scena la crisi dell’Ulivo (vedi La sera in cui la nomenklatura rimase nuda), a Trento, in termini forse meno eclatanti eppur chiari, è andata in scena la crisi della Margherita locale e del suo leader Dellai. L’occasione è sorta in entrambi i casi da due manifestazioni "autoconvocate": quella nazionale da parte di un gruppo di parlamentari insoddisfatti della gestione del problema giustizia, quella locale dalla presentazione del libro "Ho un sogno popolare" del giovane Piergiorgio Cattani, margheritino deluso.
La crisi del dellaismo, a nostro parere, ha due motivi di fondo. Il primo è lo svelarsi ormai impietoso, dopo due anni di governo, di un equivoco di fondo: la Margherita nel ‘98 aveva fatto campagna elettorale, e preso una buona fetta di voti, con lo slogan "Voltare pagina"; invece la pratica di governo è risultata improntata all’ormai consunta politica dorotea, fatta di clientelismo, favori, piccolo cabotaggio. Respiro programmatico? Solo chiacchiere (basti pensare che il tema a parole centrale, l’istruzione, è stato svilito a sinecura con l’assunzione, dopo varie vicissitudini, del relativo assessorato dallo stesso Dellai, che giocoforza vi dedica i ritagli di tempo).
Ma un governo potrebbe pur reggersi sul tradizionale mix di favori e appoggi dei poteri forti. Qui però entra in gioco il secondo motivo: la giunta Dellai non riesce ad essere efficiente nemmeno su questo fronte. Per contrasti interni, perché la sinistra pur umiliata e subalterna, è sempre malmostosa, perché il programma "reale" è impopolare e facilmente impallinabile dalla stampa e dall’opposizione.
Di qui il convergere di due pur opposte disillusioni: degli idealisti e dei maneggioni.
Questo lo sfondo, su cui si inseriscono motivi più "politici" (leggi: partitici). In buona sostanza la liquidazione operata da Dellai del Partito Popolare e la sua sostituzione con un’organizzazione non democratica, la Margherita, fondata sulla fedeltà alla sua persona (o ai suoi più fidati luogotenenti). Di qui l’allontanamento dalla politica di tutto il personale che non si riconosce come suo seguace, a iniziare dall’on. Luciano Azzolini e dal sen. Alberto Robol, per finire con il giovane idealista Piergiorgio Cattani.
In questa opposizione ci sembra però di cogliere un limite: il sovrapporsi di tensioni ideali a nostalgie partitiche, soprattutto in quei notabili - come l’on. Azzolini - la cui storia politica peraltro è più che dignitosa. Insomma, serpeggia una grande voglia di DC, o di Partito Popolare, o di partito dei cattolici.
Perché mai? Perché i valori, i meriti, gli ideali che pur ci sono stati in quella storia (stendiamo un velo sul resto) debbono necessariamente rivivere solo attraverso una "rifondazione"? Perché invece non si pensa ad operare attraverso nuovi strumenti, che non riprendano antichi steccati oggi senza senso? Perché questo sguardo sempre rivolto all’indietro?
E perché la critica è sempre e solo partitica (aver rotto con Valduga, non aver coinvolto il Patt, ecc ecc) e non coinvolge invece gli abissali limiti di pratica di governo? Forse perché si ha paura a dire quello che, scandalizzando tutti, ha proclamato l’on. Kessler: questa è una Giunta dorotea.
E’ questo limite di fondo – ci pare – che concorre a dare ancora degli spazi al pur bolso presidente. Che può più facilmente additare come patetici nostalgici i suoi critici, e bollarli come incapaci di una reale alternativa.