Il conflitto d’interessi
L’opinione pubblica appare indifferente alla questione, l’Ulivo pensa a litigare, e così Berlusconi continua a praticare una commistione fra affari e politica inconcepibile in democrazia.
Il "conflitto di interessi" è un nodo irrisolto ormai da otto anni e sembra destinato a imputridire. Rimane silente nel sottofondo e ogni tanto zampilla come un geyser provocando turbolenze sul piano politico e dei mass-media, nel disinteresse però della grande maggioranza dell’opinione pubblica. Intervengono soltanto alcuni giuristi, politologi e uomini politici, oltre naturalmente ai giornalisti. Ma la maggioranza degli italiani resta indifferente.
La colpa più grave del centro-sinistra durante questi otto anni è di non avere neppure tentato di trasformare il "conflitto di interessi" in una questione nazionale, di cui i cittadini comprendessero la gravità e l’importanza per la vita della democrazia. Probabilmente ormai è troppo tardi, perché l’opinione pubblica è anestetizzata dal lungo tempo trascorso, oppure è infastidita dall’astruseria dell’argomento, e una parte è addirittura invaghita dal mito dell’uomo che "si è fatto da sé". Invano il prof. Sartori avverte allarmato che il conflitto di interessi è una malattia di cui può morire la democrazia italiana e che ormai siamo all’ultima spiaggia, tanto da invocare un intervento del Presidente della Repubblica. Nessuno sembra davvero convinto che le cose siano arrivate a questo punto, anche se Berlusconi stesso aveva avvertito con brutale chiarezza nel corso di un’intervista a Biagi: "Sono sceso in politica per salvare l’azienda e per evitare la galera".
C’è riuscito e il risultato sintetizza il conflitto: quando governa Berlusconi agisce per i suoi interessi, o per quelli dell’Italia? Il dubbio è più che legittimo, specie dopo le tre famose leggi (falso in bilancio, rogatorie, rientro senza controlli dei capitali all’estero), l’ostruzionismo eversivo nei vari processi in cui è imputato, e la minaccia di arrestare i giudici scomodi e di cambiare la Costituzione, abolendo l’obbligo dell’azione penale e l’indipendenza dei PM.
E’ bene precisare che il conflitto di interessi non è un’invenzione giornalistica ma è previsto da chiarissime leggi dello Stato. Una è l’articolo 2373 del Codice Civile, il quale stabilisce che il diritto di voto non può essere esercitato dal socio che ha, per conto proprio o di terzi, un interesse personale in conflitto con quello della società. L’altra è il decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957 n° 361, che così dispone all’articolo 10: "Non sono eleggibili coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica...".
Berlusconi dunque, che aveva e ha tre reti televisive in concessione dallo Stato, ed è proprietario di un impero economico e finanziario, non avrebbe potuto essere eletto deputato né essere nominato Presidente del Consiglio sia nel 1994 che nel 2001. "Le leggi son, ma chi pon mano ad elle?" Già lo sapeva padre Dante sette secoli fa, ma sembra che non lo sappia la sinistra di oggi, e neppure il centro.
Il conflitto di interessi non è solo una grave violazione di regole democratiche, ma è fonte di corruzione e di inquinamento. L’on. Mastella, non sospettabile di estremismo giacobino, ha dichiarato che "i soldi stanno ammazzando la politica. Berlusconi se potesse si comprerebbe anche D’Alema". L’economista Sylos Labini ha osservato: "Il potere di influenzare la politica rafforza il potere economico, che a sua volta rafforza il potere politico. Berlusconi è sceso in campo con migliaia di miliardi di debiti, e ora ha un attivo di 15.000 miliardi". Il centro-sinistra e l’Ulivo hanno pagato le conseguenze della loro politica miope: in termini di voti, di credibilità, di fiducia e purtroppo anche di dignità. E dopo aver perso le elezioni il 13 maggio e consegnato il Governo a Berlusconi, non si sono ancora riavuti dallo stordimento. Stentano a trovare le parole adatte a scuotere dall’inerzia l’opinione pubblica.
Edward Luttwak, detto il mastino del Pentagono, uomo di destra apparso più volte in TV col suo faccione quadrato e i capelli tagliati a spazzola, sempre schierato in difesa della politica estera americana, ha scritto: "Berlusconi cura i suoi affari mentre è al governo, e non si separa dalle sue proprietà pur dovendo fare leggi su quasi tutti i settori in cui opera. Non si accorge di violare i punti più sacri del capitalismo (che per Luttwak s’identifica con la democrazia, n.d.r.) Questa commistione fra un alto personaggio politico e i suoi estesissimi affari personali è una metastasi ".
Riuscirà il Parlamento, con uno scatto di dignità e di saggezza, a obbligare Berlusconi a separarsi effettivamente dalle sue proprietà e concessioni, oppure a dimettersi? Se ciò non dovesse accadere, vorrà dire che gli Italiani si meritano di "stare sotto padrone".