Come eravamo…
Immaginate di andare in cantina, o in soffitta (se ce l’avete), e lì ritrovare vecchie foto, abbandonate da chissà quanto tempo. Datate sì, ma vive mentre ci mostrano chi è venuto prima di noi. Questa è "Felicita Colombo", la commedia di Adami andata in scena all’Auditorium fino al 25 marzo, briosa e sanguigna come la sua protagonista alla quale, come avrete capito, deve il titolo. Felicita, è stato notato, prende un po’ da Gozzano e un po’ dal navigatore che scoprì l’America. Che intraprendenza questa donna, provetta salumiera che difende a spada tratta figlia, onore e bottega! Se poi la "spada" è un mattarello…
Valeria Valeri è innamorata del suo personaggio, lo vive sulla sua pelle e lo trasforma quasi in una nuova Signorina Felicita, legata alle piccole cose, quelle che più contano nella vita. Gozzano, non è difficile crederlo, è uno dei poeti preferiti dell’attrice che sciorina come niente quel "non amo che le rose che non colsi".
C’è una leggerezza in questo testo, una semplicità che sconcerta chi è alla continua ricerca di secondi significati, camuffati ad arte o inesistenti che siano. Qualcuno, purtroppo, non ha capito e si è affrettato a liquidare lo spettacolo come fosse di serie B, troppo facile, troppo scontato; e non ha avuto, invece, altrettanto coraggio nello stroncare un’operazione commerciale quale è stata il "Macbeth" di Cobelli.
I gusti sono gusti, è vero; "Felicita Colombo" può piacere o non piacere. Ma non dovremmo mai di-menticare d’essere onesti con noi stessi, e che ciò che scriviamo dobbiamo anche pensarlo. Per chi non ama malignare o affossare un allestimento perché non ha potuto farlo con quello precedente, il testo di Adami appare fresco, genuino, e illumina con un sorriso le debolezze dei personaggi, dipingendoli a volte come macchiette. Nella salumeria, e poi nella villa del conte decaduto, il cui rampollo ha sposato la figlia di Felicita (splendida, a proposito, la Rosetta di Linda Manganelli), passa tutta un’Italia un po’ troppo imborghesita, attaccata a valori improbabili eppur duri a morire: classe, denaro, casato.
Qualcosa, forse, ora non fa più effetto. A meno di chiamarsi Savoia o Vacca Agusta, la nobiltà è ormai un’opinione. Ma come non accorgersi che i problemi di ieri sono anche quelli di oggi? Aggiornati, certo, al passo coi tempi, ma il sugo ha pur sempre lo stesso sapore adulterato: preti che estorcono elemosine ai fedeli, debitori insolventi, intrallazzi vari. E poi, se a teatro non si dovesse più rappresentare una commedia o una tragedia solo perché sembrano "inattuali", quanto credete che ci resterebbe da vedere? Perciò, lasciate che Felicita agiti in aria il suo mattarello… "e lasciateci divertire!"