Stranieri a Rovereto fra speranze e umiliazioni
Le testimonianze degli stranieri che frequentano i corsi di italiano.
La Terra è abitata da popolazioni in movimento. Dalle regioni ricche si parte, per lavoro o turismo, con biglietti di andata e ritorno, testimoni di una realtà economica privilegiata. Dalle zone povere gli spostamenti sono prevalentemente forzati, necessari, senza nessuna certezza del futuro. L’estraneazione, lo smarrimento, l’insicurezza del viaggio per il turista occidentale è stimolo di curiosità e sfida; di paura e soggezione per l’emigrante a confronto con una realtà diversa in senso geografico e climatico, ma soprattutto linguistico, culturale, religioso, sociale, economico, lavorativo.
Un passaggio importante per l’integrazione in un paese "altro" è la scuola. Da alcuni anni a Rovereto insegnanti delle 150 ore della scuola media "Paolo Orsi" e delle elementari "Fabio Filzi" si sono coordinati per l’attivazione di corsi di alfabetizzazione per adulti stranieri. Invitati ad esprimersi sul tema dell’estraneazione, i corsisti hanno realizzato questi scritti, raccolti non secondo una selezione del meglio, ma come composita espressione di una maggioranza di immigrati che vive, lavora, si integra silenziosamente in un mondo che li mostra solo come vu’ cumprà, clandestini e fuorilegge.
Sembra di camminare nel fango
Ho cominciato a sentirmi straniera da quando ho messo piede in Italia. Non è soltanto una sensazione, ma una realtà. Perché essere straniero vuol dire che non c’è la terra sulla quale poggi, non ci sono i tuoi amici che ti consolano, non c’è la tua mamma che ti è accanto e il peggio è che non c’è nessuno che ti capisce. Sei solo in un mondo sconosciuto, come un sordomuto e ti sembra di camminare nel fango.
La mia vita di straniera è cominciata così: con la solitudine e la vulnerabilità.
Mi chiudevo nella stanza e ascoltavo le canzoni cinesi che preferivo, anche le parole alle quali prima non facevo caso, ora mi colpivano il cuore. Mi mancava tutto, tutto quello che avevo. Continuavo a scrivere lettere in Cina perchè avevo bisogno di comunicare coi miei, avevo voglia di sapere come stavano. Ricevere la posta per me era molto importante.
Naturalmente non potevo esprimere la tristezza nelle mie lettere, non volevo che i miei soffrissero. Sfogavo questa infelicità nelle poesie, con tante lacrime, vivevo in un mondo di ricordi.
Volevo scappare da questo mondo...
Mi sono sentita straniera la prima volta che sono salita in corriera e attorno a me vedevo solo ragazzi bianchi della scuola. E anche quando ero nei banchi della scuola, mentre giocavo con loro: nella mia città non li avevo mai visti. Quando sono arrivata in Italia e anche quando camminavo per la strada e volevo scappare da questo mondo. Mentre stavo camminando un ragazzo mi ha detto "nera": mi sono sentita una rabbia forte e sarei andata a dirgli: "Perchè non prendi il sole per diventare come noi?".
Straniero dovunque
Non mi sento straniero in Italia perché anche nel mio paese, in Polonia, sono straniero. Perché faccio sempre solo quello che voglio e dico solo cosa penso. Per esempio in Polonia la maggior parte delle persone va in chiesa, ma io ho scelto di non andarci, perché credo che per parlare con Dio non serve la messa.
Tante cose che sono difficili per i miei amici e per la mia famiglia, sono facili per me. Mi piace rompere gli schemi di vita, così la vita è più interessante. Mi sento straniero quando devo fare qualcosa negli uffici pubblici e non conosco le parole giuste. Io sono arrabbiato per questo, perché qualcuno per me deve spiegare quello che mi serve.
Così mi sento un bambino che ha bisogno di qualcuno che lo aiuti.
Perché fa così freddo?
Certe volte, quando sono sola in casa, mio marito lavora, fuori fa freddo, nessuno cammina per la strada, allora mi viene in mente il mio paese, il caldo, il sole, il carattere delle persone, la mia famiglia. Così comincio a parlare da sola a voce alta, nella mia lingua, e dico: "Perché fa così freddo, cosa ci faccio qui? Perché ho lasciato la mia famiglia laggiù e io sto qua?" Allora accendo il registratore e ascolto musica del mio paese, leggo la Bibbia e mi calmo.
Le donne anziane han paura di me...
Quando vado sola per la strada le donne anziane hanno paura di me. Mi guardano dalla testa ai piedi, tengono stretta la borsa, mi salutano con un sorriso. Non è un sorriso di amicizia, ma di paura: io sono straniera, ho la pelle scura e pensano che io possa far loro del male. Io saluto in fretta e vado via. Prima stavo male per questo, adesso sono abituata e non mi fa più male, penso: per loro sono proprio diversa, una straniera.
Ho visto cose che al mio paese non c’erano
Vengo da un piccolo paese del Marocco, abitavo in montagna. La prima volta che sono venuto in Italia, durante il viaggio, ho visto cose che al mio paese non c’erano: la luce e l’acqua nelle case, la televisione, belle macchine, le strade illuminate e con tanti negozi, le donne senza velo, le vie piene di gente. Mi sembravano cose belle, alcune non le avevo mai viste prima, ma non mi sentivo per questo uno straniero.
All’inizio facevo il vu cumprà a Modena, vendevo orologi, audiocassette, accendini, tappeti vicino ad un bocciodromo e ad un bowling. Il padrone del bowling era gentile con me e di notte mi faceva lasciare le mie cose dentro il suo locale. Un giorno è venuta una ragazza, Shara, a guardare quello che vendevo. Abbiamo fatto amicizia e abbiamo incominciato ad uscire insieme. Siamo stati insieme 15 - 20 giorni, poi non l’ho più vista per un po’ di tempo. Un giorno sono andato al mercato e l’ho incontrata, era con sua madre e non mi ha salutato. Dopo alcuni giorni ci siamo rivisti: era sola e mi ha parlato. Mi ha detto che la gente del suo paese raccontava che stava con uno straniero e sua madre era incazzata. Io non volevo problemi e ho cambiato zona, ma mi sono sentito un "marocchino" come dicono gli italiani, non uno straniero ma una persona che non vale niente, diverso completamente.
Quando sei al verde ti senti uno straniero
Quando sono arrivato in Italia non mi sono sentito subito uno straniero, perché c’erano i miei fratelli che erano partiti dal Marocco nel 1976. Ho iniziato a lavorare come muratore nei grandi cantieri di Milano. Lavoravo in nero, ma non mi sentivo straniero, mi sentivo un lavoratore come gli altri, c’erano italiani e stranieri. Poi per 8 mesi ho lavorato in una fabbrica dove si verniciava il ferro: era un lavoro duro, pesante, ma guadagnavo e potevo mandare soldi a casa.
Dopo un po’ sono ritornato in Marocco, ma là non c’era lavoro e sono ripartito per l’Italia.
La seconda volta è stato molto più difficile trovare lavoro; ho lavorato per un po’ di tempo in campagna, a Verona e a Foggia, ma si lavorava solo in alcuni periodi. Negli ultimi anni mi sono sentito straniero, non nei primi tempi. Mi sentivo straniero perché non trovavo un lavoro fisso e tante volte ero senza soldi. Quando sei senza soldi ti senti proprio straniero, quando hai soldi è diverso. Ho fatto anche il lava-vetri e il vu cumprà. Facendo il vu cumprà ti senti più straniero. Per vendere andavo nelle case; a volte, quando la gente apriva la porta e mi vedeva, si arrabbiava e io mi sentivo male. Quando fai il lava-vetri hai sempre paura che la polizia venga a mandarti via. Quando hai paura della polizia, dormi fuori perché non hai una casa, fai certi lavori, allora ti senti proprio uno straniero.
Cittadina italiana: ma non serve...
Vorrei iniziare la storia della mia vita che assomiglia a quella di tanti altri miei connazionali.
Sono partita dal mio paese molto giovane con l’uomo di cittadinanza italiana che dopo è diventato mio marito. La mia esistenza non era delle più facili. Problemi che vanno dalla difficoltà di comunicazione, dal rinnovo del permesso di soggiorno fino ai rapporti con la mia nuova famiglia. Con il passare del tempo mi sono fatta l’idea che le cose sarebbero cambiate in meglio. Invece era una illusione: dopo aver ottenuto la cittadinanza italiana mi consideravo cittadina italiana. Mi sono riavvicinata al mondo del lavoro, mi sembrava un salto di qualità, attraverso un annuncio apparso su un giornale locale nel quale si offriva un impiego come operaio/a; requisito richiesto: la cittadinanza italiana.
La mattina presto mi feci accompagnare da mio marito. Durante il breve viaggio, pensavo a come potevo essere utile nelle spese famigliari con il mio nuovo lavoro, e il mio cuore saltava di gioia. Dopo il colloquio la mia amarezza era enorme, perché era stato ribadito che il lavoro non era destinato agli immigrati. Il datore di lavoro non cambiò posizione neppure dopo l’intervento energico di mio marito che spiegava che ero a tutti gli effetti una cittadina italiana. Ho capito in quel momento che esistono dei diversi livelli, anche se non previsti dalla legge.
Un altro episodio, non meno importante, riguarda il mio diritto al voto. Come cittadina ho sempre creduto che il mio voto servisse a qualcosa, anche se non può cambiare molto. Ho sempre partecipato attivamente ad ogni elezione votando secondo le mie convinzioni.
Dopo tanti anni, durante i quali ho pensato che la mia situazione, come quella di tanti miei connazionali, potesse cambiare, non è cambiata una virgola. Spesso le mie figlie mi hanno chiesto che cosa andavo a fare e io spiegavo che lo facevo perché loro potessero avere un futuro migliore. Forse è ancora una volta una mia illusione.
Ogni volta che vado a visitare la mia famiglia in Africa sono considerata a tutti gli effetti, dalle autorità del mio paese, una straniera, con tutti i permessi, le autorizzazioni e i visti che devo avere prima di soggiornare nella mia città natale.
Sono una straniera nella mia madre patria, e sono cittadina in una terra straniera.
Sono figlia di un paese in cui ho perso tutti i diritti e sono cittadina di un paese nel quale non riesco a valorizzarmi.
Forse qualcuno dirà: un tronco d’albero rimasto per tanto tempo nel fiume non si trasformerà mai in un coccodrillo, un giorno il tronco marcirà nel fiume. E così mi considero una cittadina di serie B.
La traditrice
Quando per sposarmi avevo bisogno di alcuni documenti dell’ambasciata cinese in Italia, sono andata al consolato a Milano.
Ho pregato di farmi il documento. Il console, quando ha saputo il motivo, mi ha guardato male e mi ha detto: "Sei venuta in Italia solo per fare questo?!".
Mi ha trattata come una traditrice, una cretina. Di fronte a lui, pure cinese, mi sentivo una straniera, non solo, ma anche una che ha tradito il suo paese. Da quel giorno non sono più entrata da quella porta.
Straniera, con orgoglio
Anche dopo aver preso la cittadinanza italiana continuo a sentirmi straniera, non solo per la mia fisionomia, ma anche perché posso raccontare la nostra storia cinese, posso spiegare le differenze di mentalità, posso aiutare la gente che non capisce l’italiano, posso insegnare agli italiani la nostra lingua, la nostra cultura e ai piccoli i giochi cinesi.
Posso invitare i miei amici a cena di cucina cinese. Sono orgogliosa di essere una straniera perché ho la possibilità di essere a contatto e conoscere un’altra cultura e un’altra civiltà.
Il mio sogno: essere un canadese
Ogni uomo, quando decide di lasciare il suo paese, ha motivi forti; i motivi possono essere diversi, ma il più delle volte sono economici. Però ognuno porta il suo paese con sé, nel cuore, ovunque va. La nostalgia è un sentimento che arriva presto, e quelli che non l’hanno mai provata non possono neppure immaginare quanto è forte. C’è una cosa che conoscono solo quelli che hanno vissuto all’estero, e cioè che diventi straniero due volte. Una volta sei straniero là dove sei andato a lavorare, una volta nel tuo paese. In tutti e due i casi soffri. Nel primo caso è difficile però si può capire, è anche normale, ma essere straniero nella tua patria è troppo doloroso e all’inizio incomprensibile.
Per spiegare meglio il secondo caso direi soltanto che quasi nessuno ti guarda come prima. I motivi sono economici e la frase che si sente spesso è : "Chi ha soldi non ha problemi". Non ti capiscono perché pensano che quando hai i soldi hai risolto tutto nella vita. Per fortuna ci sono anche quelli che non pensano così, ma sono pochi. Questo naturalmente riguarda la mia esperienza.
Sono in Italia dal 1992, un bellissimo stato, con gente divertente, gentile e umana. Non è stato difficile abituarsi a vivere con gente così, specialmente perché c’è tanta somiglianza con il mio popolo. La mia esperienza di questi 7 anni in sostanza non è male, però ci sono stati dei casi che mi hanno colpito profondamente, voglio raccontare uno di quei, non pochi, casi. Viaggio sempre per il mio lavoro, spesso incontro e faccio conoscenza con tante persone. Mi piace conoscere gente nuova e avere tanti amici. Non raramente mi succede di incontrare persone con le quali all’inizio parliamo in un certo modo, e quando dico o si accorgono che sono straniero, cambiano e mi guardano in modo diverso, come se da quel momento diventassi diverso: un sentimento doloroso. Forse soltanto perché sono straniero non valgo? Non guardano cosa penso o come mi comporto e, soprattutto, se sono oppure no un uomo bravo. Il fatto che sono straniero mette in ombra tutto il resto. Forse perché sono slavo? Si fa grande differenza tra gli stranieri, cioè dal paese di provenienza. Casualmente una volta, scherzando, ho detto che sono canadese. E’ stato bellissimo, ho desiderato di essere sempre canadese: mi guardavano come un idolo, mi chiamavano tutti, mi offrivano da bere, mi aiutavano anche quando non c’era bisogno, da non credere. Questo è successo in una fiera in Germania, dove dovevo prendere una macchina da portare a Padova. Ragazzi italiani, dopo avermi caricato la macchina, mi hanno detto che mi cercava il loro padrone, per farmi provare il miglior vino della loro zona. Loro di me non sapevano niente, solo che ero canadese. All’inizio ero sorpreso, poi ho inteso che sono tante le persone che fanno queste differenze, come quelli che badano a come ti vesti e che macchina hai.
La nostalgia
Sono a casa da sola tutto il giorno e ho tempo di pensare. Penso sempre ai miei genitori, ai miei due fratelli e alla mia sorellina. Ho molta nostalgia di loro. Quando cammino per la strada sempre mi chiedo perché sono qui, se ho fatto la cosa giusta a venire qui, però sono contenta perché Rovereto è una città tranquilla, mi sento sicura e mi piace.
In fondo abbiamo tutti un’anima
Sono una ragazza pakistana e sono in Italia come una straniera. Mi sentivo un po’ straniera quando non sapevo parlare l’italiano, quando ho visto la gente diversa da quella del Pakistan, quando ho conosciuto le abitudini e la tradizione diverse. In classe mi sento un po’ straniera, anche se tutti sono uguali: c’è solo la differenza degli stati e delle abitudini, ma - in fondo - abbiamo tutti un’anima, abbiamo tutti un cuore, anche un uomo cattivo, in fondo in fondo, ha una piccolissima parte di buona volontà nascosta nel cuore.
Mi sono sentita straniera quando ho parlato per la prima volta con un italiano, un maestro: non capivo cosa mi diceva, in quel momento mi sono sentita proprio come una vera straniera. Quando ho lasciato il Pakistan ho lasciato i miei nonni, ho lasciato i miei parenti, mi sono sentita come una stella cadente che si separa dai suoi famigliari. L’anno scorso, quando sono ritornata in Pakistan, mi sentivo diversa nella mia classe perché ero l’unica che sapeva disegnare e conosceva l’italiano; era proprio bello quando le mie compagne mi chiedevano di fare la traduzione in italiano.
Mi sento straniera quando vedo una madre felice con i suoi figli.
Mi sono sentita straniera quando ho visto l’aiutante di mio nonno: era molto povero e io mi sono sentita superiore ma ero molto addolorata, volevo che anche lui fosse come me, non mi piace che la gente sia inferiore a me. Quando vedo qualcuno soffrire, non riesco a sopportare il dolore e, quasi quasi, piango nel cuore e in quel momento mi sento straniera. Uno dei miei desideri è aiutare l’aiutante di mio nonno quando sarò grande e sarò in grado di lavorare; voglio migliorare la condizione della sua famiglia.
A volte sono così sentimentale ma, a volte, sono talmente crudele che non mi importa più niente di nessuno, neanche di me stessa, anche questo è strano per me.
Mi chiedevano e io non rispondevo
Quando sono venuto in Italia mi sentivo uno straniero perché non capivo l’italiano. Quando andavo in giro sentivo la gente che parlava e non capivo niente. Qualche volta veniva qualcuno a chiedere qualcosa e io non rispondevo; lui credeva che io lo stavo prendendo in giro e alla fine mi diceva qualche brutta parola. Io non sapevo neppure cosa voleva dire quella parola: questo significa essere in una situazione di estraneità. A casa ho detto a mio padre di trovarci qualche scuola per imparare l’italiano, lui è andato a cercare e l’ha trovata. Io e mio fratello ci siamo iscritti. Dopo tre mesi sapevo rispondere un po’ e così non mi sono sentito più uno straniero, mi sentivo come in Marocco.
Vivere bene vuol dire vivere con gli altri
Sono venuta in Italia per la prima volta come turista. Ho visto soltanto quello che vedono i turisti: i monumenti, i mosaici, l’arte, l’architettura, i palazzi, i bellissimi posti nel mondo. Ho visto tanti turisti così curiosi. Ho visto bella gente che mi ha dato informazioni. Per una straniera fare la turista è una novità piacevole. Ero felicissima di vedere l’Italia, così bella e famosa.
Poi di nuovo ho lasciato tutte le cose che avevo. Ho lasciato la mia famiglia, la mia lingua, la mia cultura, la mia gente, le mie abitudini, così la mia vita è cambiata. L’Italia è la mia nuova speranza, la mia nuova vita, e il motivo per cui sono qui è la mia nuova famiglia. Sono venuta in un piccolo paese dove c’è poca gente: non ero più turista, qui è tutto diverso dalla terra in cui sono nata. E’ tutto nuovo: la gente, la lingua, il modo di vivere, di mangiare, il cambio delle stagioni. Io sono diversa, la mia razza è diversa, mi sento straniera, mi sento diversa, sono come la pecora nera, mi sento così sempre.
I primi mesi mi sono chiusa in me stessa, avevo paura di incontrare la gente perché tutti mi guardavano stranamente. Mi ritorna sempre in mente la nostalgia per la mia terra calda, per la mia famiglia che mi ha dato tanto affetto e tanto amore; così stavo male.
E’ passato del tempo, dovevo fare qualcosa, non potevo più fare la straniera in un paese straniero, ormai è qui che vivo, qui è la mia seconda casa, devo migliorare le cose, devo imparare l’italiano, devo cominciare ad incontrare la gente. Parlavo molto male l’italiano, ma è normale perché non è la mia madrelingua. Oggi posso migliorare perché, grazie alla scuola, sono diventata un personaggio. Ho amici a cui apro il mio cuore e mi sento viva, ho parenti della mia nuova famiglia qui che mi aiutano molto. I miei primi passi non erano facili, ma pieni di emozioni . Ci vuole tempo per abituarsi a tutte le cose.
Oggi mi sento importante perché sono contenta di essere unica, nessuno è come me. Mi sento reale! Adesso straniera o non straniera c’è poca differenza! Sì perché siamo uguali agli altri: vivi, sani, forti, buoni, intelligenti, tranquilli, umani! L’estraneità fa parte di me, ma può appartenere a qualsiasi persona che incontro. Oggi mi sento bene come straniera perché il mondo non è cattivo se non penso solo a me stessa, perché vivere bene vuol dire vivere con gli altri in un mondo dove nessuno si sente straniero.