Cacciatori in movimento
Le tensioni nel mondo venatorio trentino e la necessità di un rinnovamento.
Nell’Associazione dei cacciatori è polemica, polemica dura contro il suo presidente Claudio Betta, consigliere repubblicano e assessore provinciale al turismo negli anni ’80, cacciatore e politico aspro, più disponibile al comando che al confronto, personaggio non certo amato nella sua valle, né tanto meno nell’ambiente venatorio. Da sette anni è presidente dell’Associazione dei cacciatori, una presidenza caratterizzata dai contorni spigolosi del suo più autorevole rappresentante. Durante questi anni prende corpo la presenza di un’associazione alternativa, l’Unione dei cacciatori; questa presenza associativa non viene riconosciuta dalla Provincia in quanto non arriva a toccare il 5% del totale dei cacciatori, un risultato d’altronde inevitabile in una situazione di gestione monopolistica.
Altre vicende, negli ultimi mesi, sono illuminanti.
La stagione della caccia inizia con lo sciopero-assemblea dei guardacaccia dipendenti dai cacciatori (il controllore dipendente dal controllato, un’assurdità nella gestione di un bene pubblico); si è arrivati allo sciopero perché l’associazione nemmeno risponde alle proposte avanzate dai dipendenti. Questi ultimi chiedevano solo il rispetto di diritti minimali, come il riconoscimento della qualità del servizio svolto e il rinnovo del contratto. Durante l’astensione dal lavoro avvengono atti di bracconaggio incredibile: a passo Lavazè da una stessa persona vengono abbattuti due cervi senza che siano segnati, mentre altri casi meno gravi sono annunciati da tutta la provincia; e pochi giorni più tardi, nelle valli di Fiemme e Fassa, si viene a conoscenza di altre pesanti irregolarità, benché la stampa ed i servizi pubblici di controllo non diano la minima informazione.
Si arriva ad un contrasto interno all’associazione, con Betta che non dispone più della maggioranza in direzione. A sua difesa interviene la destra (dall’ex assessore Nerio Giovanazzi a Maurizio Toffol), e chi vede nella caccia un diritto indiscusso e da anni rifiuta il confronto con la società civile sulla gestione della fauna selvatica.
Questi personaggi, imitando Berlusconi, inventano complotti del centro-sinistra contro il presidente, ripercorrono i luoghi comuni sulla riconoscibilità positiva del ruolo del cacciatore-gestore, sulla sua funzione nel mondo della scuola per costruire educazione, sul cacciatore-ambientalista che raccoglie rifiuti nei boschi. L’esistenza di un complotto verrebbe poi confermata da un altro fatto increscioso: le segretarie dipendenti dall’associazione si iscrivono al sindacato e proprio alla Cgil: uno scandalo, insomma.
E'auspicabile che l’attuale disputa si risolva in tempi brevi, in quanto fra pochi mesi ci sarà il confronto pubblico sul primo piano faunistico provinciale. Non è pensabile che tale confronto venga gestito da un presidente tanto altezzoso, che vuole l’asfaltatura delle strade di montagna perché il transito delle automobili provoca polvere; che vede nell’arrivo dei predatori naturali (linci, orsi e lupi) un’incompatibilità totale con la presenza dell’uomo; che mai si è esposto per difendere il territorio dall’avanzante urbanizzazione, dall’invasione dei boschi ad opera delle piste da sci e di infrastrutture pesanti; chi insomma è sempre stato favorevole all’assalto all’ambiente naturale.
Nel Trentino è invece presente una minoranza di cacciatori altamente sensibili verso l’ambiente, che comprendono come la fauna sia un bene collettivo e non un semplice bersaglio da prendere a fucilate, persone disposte a sopportare qualche sacrificio pur di vivere con orgoglio la presenza sul nostro territorio dei predatori.
C’è un mondo venatorio che vuole avere voce in capitolo su questi argomenti, che vuole instaurare, come da anni avviene in Alto Adige, un dialogo costruttivo con l’associazionismo ambientalista.
C’è un mondo venatorio che guarda con attenzione a quanto avviene in Friuli, dove si è finalmente vietata la caccia alla pernice bianca e alla lepre variabile, e che non gioisce davanti alla possibilità di cacciare i passerotti, i fringuelli o le allodole. Questi passi di maturazione culturale e sociale non sono certo attuabili con la presidenza Betta.
Quest’uomo non sembra proprio capace di dialogo e non è nemmeno più riconosciuto come leader nella sua valle. Non è infatti vero quanto egli afferma sull’Adige: all’intervistatore che gli chiede se è la prima volta che viene costretto a lasciare un incarico, Betta risponde che è così. Ma dimentica che solo lo scorso anno, a Cavalese, è stato sonoramente sconfitto, nella sua Regola, alle elezioni per il Consiglio della Comunità: un segnale chiaro che proviene da un elettorato tradizionalmente conservatore.
Il mondo venatorio ha bisogno di un profondo rinnovamento, ha bisogno di stimoli culturali, di confronti ad ampio respiro; non è più sufficiente fare la conta degli ungulati.
Per quanto tempo ancora la società trentina dovrà confrontarsi con Giovanazzi, Betta, Toffol, o il professor Eccher?
La risposta la avremo fra pochissimi giorni.